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Taranto, si chiude il processo
Ambiente Svenduto,
ma la gente è ancora arrabbiata.
Ecco perché è un buon segnale

  • di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

2 giugno 2021

Taranto, si chiude il processo Ambiente Svenduto, ma la gente è ancora arrabbiata. Ecco perché è un buon segnale
Una pioggia di condanne ha investito gli imputati del processo “Ambiente Svenduto” che vedeva coinvolti i fratelli Riva, l’ex presidente della Regione Puglia Nicky Vendola, il portaborse dei Riva, Girolamo Archinà, il fu Presidente della Provincia di Taranto, Giovanni Florido, il direttore dell’ARPA Giorgio Assennato. Ma la gente per le strade continua a masticare amaro, divisa tra rabbia e disillusione. Ecco perché questo è il segnale che, forse, per una volta, il solito gattopardismo del tutto cambia per non cambiare, non avrà ancora la meglio

di Lorenzo Monfredi Lorenzo Monfredi

Una domanda che viene fatta spesso è: ma come si vive a Taranto? Anni di prime pagine e servizi televisivi hanno dipinto la città come un posto infernale senza remissione dei peccati, un luogo dove gli abitanti hanno polmoni gonfi di acciaio (e non per resistenza o capienza d’ossigeno) e ciascun nucleo familiare si piange un morto di tumore a San Brunone, il cimitero trincerato tra Tamburi e stabilimento siderurgico. Chi è di passaggio da Taranto, per lavoro o semplicemente di transito in direzione Salento Leccese, racconta di guard-rail e battistrada verniciati a polvere rossa da acciaieria. 

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Le tombe del cimitero monumentale di Taranto, ricoperte di polvere di scarto prodotta dalle vicine acciaierie in una foto del dicembre 2017

Per assurdo, meglio così. Meglio che si continui a parlare dell’Ilva, dell’Eni, dell’inquinamento che assedia la città. Perché per anni le giunte comunali, provinciali, regionali e i governi di Stato hanno messo una pezza a colori sopra il caso-Taranto, ignorando e sorridendo davanti alle evidenze scientifiche che parlavano di malattie polmonari, leucemie e linfomi in crescita spaventosa nelle corsie d’ospedale della città. Diossina? Cos’è, si mangia? Tracce di pcb e benzopirene nei corpi dei tarantini? Sì sì certo, ma perché non mettiamo anche un bel rigassificatore a Taranto?

Ieri c’è stata la sentenza di primo grado di “Ambiente Svenduto”, il processo che ha sconvolto l’opinione pubblica e certificato a tutta Italia il disastro ambientale dell’ex Italsider. La proclamazione del primo grado di giudizio si è tenuta alle scuole CEMM, una struttura della Marina Militare in una frazione di Taranto addossata al mare, San Vito. Palme, odore di sale e vento, treruote abusivi che vendono le mitiche “cérase” (ciliegie) a tre, quattro euro al chilo. Gli imputati sono nomi pesanti: i fratelli Riva, l’ex presidente della Regione Puglia Nicky Vendola, il portaborse dei Riva, Girolamo Archinà, Giovanni Florido il fu Presidente della Provincia di Taranto, il direttore dell’ARPA Giorgio Assennato. Una piramide di rapporti sociali e potere che, sostanzialmente, ammansiva e addolciva la questione Ilva. 

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Un ragazzo passa davanti a un graffito con la scritta: "Fermiamo l'Ilva" a Taranto, Italia, martedì 22 maggio 2018. L'impianto siderurgico Ilva SpA è stato sottoposto ad amministrazione straordinaria nel 2015

Soltanto dieci, quindici anni fa, parlare di ecologia e di chiusura degli impianti, a Taranto era considerata follia. Le lotte ambientaliste erano fatte di poche persone, che hanno poi macinato sempre più consensi, passando dalla famosa marcia di AltaMarea con Marescotti del 2008 alla formazione del comitato Liberi e Pensanti nel luglio 2012, da cui poi è partito il 1° maggio tarantino, il contro-concertone della Rai. Oggi è facile dire che i tarantini vogliono la chiusura della fabbrica. Ma quando il GIP Patrizia Todisco eseguiva le indagini, quando gli inquirenti registravano le conversazioni telefoniche di scherno e connivenza tra Archinà, responsabile dei rapporti istituzionali dell’ILVA, e Vendola, allora presidente di regione, quando c’erano taciti accordi di non belligeranza tra politica, fabbrica e mass media, quando Bersani finanziava la sua campagna elettorale con 80k direttamente scuciti dalla buonanima di Emilio Riva, in quegli anni a Taranto era davvero tutto sottotraccia, tutto minimizzato. Le persone morivano di tumori come i pesci piccoli finiscono nelle reti a strascico, ma che ci vuoi fare? Mors tua vita mea…

Le sentenze del processo “Ambiente Svenduto” sono state pesanti, sulla carta: 22 anni di carcere a Fabio Riva, 20 al fratello Nicola. 3 anni e mezzo a Nicky Vendola per aver censurato il report dell’ARPA dove si parlava di abbassare il ciclo produttivo dell’ILVA per ridurre l’inquinamento e migliorare la qualità dell’aria. Gianni Florido si becca tre anni. Assennato, direttore ARPA, 2 anni per favoreggiamento. Archinà? 21 anni e 6 mesi.

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Un'icona religiosa nel quartiere Tamburi di Taranto. L'impianto siderurgico Ilva SpA è grande il doppio della stessa città di Taranto

“Giustizia è fatta!” hanno detto diverse realtà dell’attivismo tarantino, nella giornata di ieri. Si è festeggiato sia per le sentenze che per il sequestro rinnovato dell’area a caldo. Peccato che ci sia la facoltà d’uso dell’impianto nonostante il verdetto, poiché, dal 2012, l’ILVA è considerata strategica per l’economia italiana. Vittorio Feltri disse testualmente “meglio morire sicuramente di fame, o morire forse di tumore?” in un editoriale su Il Giornale, e questa posizione è stata la stessa del Partito Democratico e dei governi che si sono succeduti negli anni. Decreti Salva-Ilva, Autorizzazione Integrata Ambientale, schiaffi in faccia alla popolazione. Non si possono contare le ingiustizie che Taranto ha subìto negli anni da parte delle istituzioni. Declassamenti, insulti, finto pietismo di chi vorrebbe tanto dare un calcio in bocca al barbone che sta sempre sotto casa tua ma c’è la telecamera e allora niente, sorridi al barbone e allungagli una monetina.

Non c’è niente da festeggiare. Taranto è stata spolpata e disossata da personaggi senza dignità, senza cultura, senza remore. Chi festeggia faccia pure. C’è chi è davvero felice per le sentenze, perché c’è comunque della soddisfazione nel vedere certi personaggi scandalosi condannati, ma è una vittoria di Pirro, un po’ come quando la squadra rivale esce dalla Champions League e di riflesso ci godi, ma tanto la tua squadra manco ci è arrivata in Champions quindi che cosa esulti? Poi ci sono quei gruppi di persone che gioiscono perché potranno sventolare questo risultato come una bambola voodoo davanti ad un gruppo di esoterici soggiogati dal fascino della magia nera, un feticcio su cui edificare una campagna elettorale alle prossime elezioni del Comune di Taranto. D’altronde, l’arrivismo conquista anche chi una volta partiva dal basso.

Ma i veri tarantini, quelli da sangue amaro e bestemmie a denti stretti, quelli che pur consapevoli dei problemi amano la loro città come fosse un paradiso inalterato, quelli che si sono subissati pioggia e vento e sole bollente e insulti e denunce per le manifestazioni, non festeggeranno granché. Hanno solo tanto rancore dentro. Verso tutti, in maniera indiscriminata.

Non c’è da stupirsi quindi se i tarantini non sorridono e non accolgono gli incartamenti bollati del Tribunale come una salvezza esistenziale. Taranto ha un atteggiamento storicamente drammatico insito in sé: attendere la manna dal cielo, l’ancora che risolva i casini. L’Arsenale, l’Ilva… ci si adagia e si aspetta che qualcuno venga a conquistare e a portare la soluzione. Ecco, se i tarantini avessero festeggiato e stappato birre Raffo a pioggia, per questa sentenza, sarebbe stato l’ennesimo segnale da Gattopardo, della serie che tutto cambia ma nulla cambia. Invece, vedere e sentire per le strade la rabbia e la disillusione, è un buon segnale. Vuol dire che qualcosa, sotto sotto, sta cambiando.

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