“Ma no, ma sì, ma su, ma dai”. Lo sgradevolissimo ritornello del tormentone estivo di parecchie estati fa descrive alla perfezione l’atteggiamento che la Nazionale Italiana di Calcio sta avendo durante questi Europei riguardo all’opportunità di inginocchiarsi o meno contro il razzismo prima dell’inizio di ogni partita. Stasera, venerdì 2 luglio 2021, gli Azzurri concederanno ai milioni di telespettatori il simbolico gesto, ma solo perché lo farà anche la squadra avversaria, il Belgio. Tutto ciò, dopo un’estenuante settimana di dibattito infuocato alimentato dallo strafalcione di Chiellini che in un’intervista confonde “razzismo” con “nazismo” e da una tonante nota della FIGC che, tra le altre cose, fa sapere “Non condividiamo la causa”. Siamo a Milano e, reduci da giornate molto calde sul tema (avete presente i ragazzini di colore manganellati dalla polizia al Mc Donald’s?), abbiamo fatto un giro sui Navigli con in testa una semplice domanda da chiedere ai passanti: “Tu ti inginocchieresti contro il razzismo?”.
Considerato che alla Nazionale pare risulti così difficile farlo con buona pace del movimento #blacklivesmatter, abbiamo voluto appurare dove stesse la difficoltà del gesto e, soprattutto, se i tanti indignati social contro il “gran rifiuto” degli Azzurri trovassero riscontro anche nella vita reale, quella senza hashtag. Il risultato? Molti si prostrano all’istante e senza indugio, altri parlano di “sedi opportune” o del pochissimo interesse che nutrono nei confronti della questione. La domanda più ficcante, tra i detrattori del gesto, resta una: “Sì, ma anche se lo facessero, cosa cambierebbe?”.
Eppure di cose che cambiano, per trend topic o anche nel quotidiano 3D, pare ce ne siano. Me lo raccontano Davide e Martina (nomi di fantasia) che hanno appena fatto la tesina di terza media su “George-quello-famoso-americano-che-non-respirava” (sic) perché “il razzismo aveva tanti collegamenti”. Il papà di Davide ha un bar in zona e il ragazzo mi racconta, pane al pane, che “le teste di cavolo non sono mica di un colore solo, eh? Prendersela con le persone nere per le risse qui sui Navigli sarebbe come prendersela con le persone bionde, non ha senso”. “Sarete molto orgogliosi della vostra Nazionale”, mi bullizza una signora ungherese che, insieme all’amica, si inginocchia prontamente sull’erba dicendo: “Siamo donne, mostriamo a questi maschi come si fa”.
“Se avessero chiesto di fare il saluto romano prima della partita e gli Azzurri si fossero rifiutati, li staremmo tutti chiamando eroi” si sente di dire Giacomo, fervente sostenitore della “libertà di pensiero individuale che non può essere vincolata da un’imposizione esterna, giusta o sbagliata che sia”. “Sono ridicoli” epitaffiano in coro quattro ragazzine davanti alle loro poké. “E poi a livello comunicativo è un suicidio”, approfondisce Marta che si inginocchia immantinente mentre Giovanni, sulla cinquantina, non ha dubbi: “Trovo che inginocchiarsi sia un gesto pericoloso perché farebbe credere alle persone che possa bastare quello a risolvere, come per magia, il problema del razzismo, invece la questione è molto più complessa”.
Infine Jacques, originario del Congo, vive in Italia da 30 anni e, con La Verità in mano, si professa molto dispiaciuto: “Gli Azzurri hanno perso un’occasione per dimostrare che siamo tutti uguali”. “Sì, ma con tutti i calciatori neri che abbiamo nelle squadre italiane davvero stiamo qui a dire che l’Italia e il mondo del calcio siano razzisti?”, risponde Roberta, totalmente contraria al gesto e dalla parte della Nazionale che lo rifiuta (nei giorni pari).
Posto che la maggior parte degli intervistati si è inginocchiata senza problemi (ma non abbiamo la presunzione di pensare che questo campione random sia indicativo di alcunché), le risposte e le reazioni che abbiamo collezionato sono interessanti punti di vista sul nuovo tormentone estivo che ci siamo meritati perché, evidentemente, più di tutto conta da sempre un solo e unico credo: dammi una polemica e ti inginocchierò il mondo (del calcio). Ma no, ma sì, ma su, ma dai.