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Trattativa Stato-mafia, Alfonso Sabella:
“Trattativa ci fu per ragion di Stato.
Ma non si scrive la storia con le sentenze”

  • di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

24 settembre 2021

Trattativa Stato-mafia, Alfonso Sabella: “Trattativa ci fu per ragion di Stato. Ma non si scrive la storia con le sentenze”
Cadono le accuse per gli ufficiali dei carabinieri Mori, Subranni e De Donno e anche per Marcello Dell’Utri. Quanto ai boss, prescrizione per Brusca, pena ridotta a Bagarella, condanna confermata per Cinà. Il magistrato Alfonso Sabella, che abbiamo contattato, non si dice sorpreso. Anche perché è convinto che le forze dell’ordine abbiano agito per la “ragion di Stato” e non per favorire la mafia. Ma è convinto anche che la questione non andasse discussa in tribunale: “Serviva una commissione parlamentare d’inchiesta”

di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

Trattativa Stato-mafia: sono stati assolti i carabinieri e Dell'Utri. Dichiarate prescritte le accuse al pentito Giovanni Brusca. Pena ridotta al boss Leoluca Bagarella. Confermata la condanna del capomafia Nino Cinà. Per Bagarella i giudici hanno riqualificato il reato in tentata minaccia a Corpo politico dello Stato, dichiarando le accuse parzialmente prescritte. Ciò ha comportato una lieve riduzione della pena passata da 28 a 27 anni. Confermati i 12 anni a Cinà. Gli ex ufficiali del Ros Mario Mori, Antonio Subranni e Giuseppe De Donno sono stati assolti con la formula perché il "fatto non costituisce reato", mentre Dell'Utri "per non aver commesso il fatto". Confermata la prescrizione delle accuse al pentito Giovanni Brusca. L'appello, nel corso del quale è stata riaperta l'istruttoria dibattimentale, è cominciato il 29 aprile del 2019. Nel corso del processo è uscito di scena, per la prescrizione dei reati, un altro imputato, Massimo Ciancimino, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo Vito, che rispondeva di calunnia aggravata all'ex capo della polizia Gianni De Gennaro e concorso in associazione mafiosa. Una sentenza che, naturalmente, sta facendo molto discutere. Per cercare di capirne di più, abbiamo chiesto ad Alfonso Sabella, già magistrato, sostituto procuratore del pool antimafia di Palermo di Gian Carlo Caselli ed ex Assessore alla legalità di Roma Capitale, il quale ci ha spiegato di non essere per niente stupito.

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Dottor Sabella, come valuta questa sentenza sulla trattativa Stato-mafia che sembra aver scontentato coloro che ritenevano colpevoli alcuni appartenenti alle forze dell’ordine?

Non mi ha stupito più di tanto. Questa sentenza, da quello che dice il dispositivo, conferma com’era pressoché inevitabile l’esistenza della trattativa ma proscioglie, come era forse giusto, i vertici delle forze dell’ordine entrati in contatto con i mafiosi che minacciavano lo Stato per la mancanza dell’elemento soggettivo, il dolo, la volontà di minacciare lo Stato stesso.

Eppure, qualcuno ha parlato di una sentenza con due pesi e due misure.

Non c’è nulla di strano. La sentenza ha una sua logica chiara ed evidente. Bagarella viene condannato perché ha minacciato lo stato, così come Cinà. Mori, D eDonno e Subranni vengono assolti, non perché il fatto non sussiste, ma perché la loro condotta non aveva la volontà di minacciare lo Stato. Hanno agito, come dico da anni, per una ragion di Stato, giusta o sbagliata che fosse l’impostazione della lotta alla mafia per far cessare le stragi. Io in quel periodo ho preferito darne un’altra senza dover trattare.

Quindi era possibile combattere la mafia anche senza scendere a patti con i suoi appartenenti?

Guardi, questi fatti non andavano trattati in un’aula di giustizia, la storia non si scrive in questo modo. Le sentenze hanno diverse variabili. Questi fatti andavano affrontati in una commissione parlamentare. Il problema è che in questo paese gli unici a cercare la verità sono i magistrati e sono costretti a cercarla con le regole del diritto.

È la politica la vera assente in questa vicenda?

Se Mori, Subranni e De Donno hanno trattato con Ciancimino, facendo capire a Cosa Nostra che c’erano margini per ottenere una sorta di “pace”, lo hanno fatto non al fine, come sono convinto anch’io, di favorire la mafia, ma anzi per far cessare le stragi in un paese che era in ginocchio. Quindi, tutto sommato questo non ha rilevanza penale. La sentenza non li assolve per non aver commesso il fatto perché non sussiste, da atto che sussiste. L’unico che viene assolto perché il fatto non sussiste è Marcello Dell’Utri, che però in questo caso appartiene a una vicenda a parte.

Cosa intende?

Che la sua posizione riguarda una seconda fase della trattativa e in questa posso dire di sentirmi in disaccordo con la sentenza. Non conosco gli atti, però trovo arduo che Dell’Utri fosse sceso a patti con chi aveva ammazzato Stefano Bontate.

Sulla politica, però, non mi ha risposto…

Nel nostro paese si compie l’errore di fondo che la storia si scrive con le sentenze. In questo modo, avremmo dovuto dire che l’associazione mafiosa Cosa Nostra fino al 1992 non esisteva. La prima sentenza che la riconosce è di quell’anno. L’ho detto anche sulla vicenda Casamonica. Io so che sono mafiosi anche se non ho una sentenza dei magistrati. Se li condannano sono contento, così pagheranno. Ma da cittadino italiano non ho bisogno di sapere che si è trattato con la mafia. Che si sia trattato lo dice la sentenza, attenzione: c’è chi lo ha fatto da parte dello Stato, non per favorire la mafia, ma per ragioni che leggeremo nella sentenza. Probabilmente per la cosiddetta “ragion di Stato”, cioè la convinzione di non poter contrastare Cosa Nostra con gli strumenti ordinari, che secondo me era sbagliata come abbiamo dimostrato noi, ma in definitiva più che legittima. Per rispondere alla sua domanda ribadisco: era necessaria una commissione di inchiesta parlamentare.

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