Esperienza immersiva. Leggi queste due parole e ti viene subito in mente una delle tante puttanate che, quotidianamente, ti invadono la mail, provenienti da un qualche ufficio stampa e relazioni pubbliche di qualche azienda che ruota intorno a Milano. Qualcosa che potrebbe avere a che fare con l’assaggiare un formaggio stagionato come vedere una mostra di volantini, chiamati flyers, ovviamente, o qualsiasi altra stramberia che preveda il solo fatto di uscire di casa e andare in un posto, esperienza immersiva, appunto. I più fighi, ma anche qui dico l’ovvio, direbbero Immersive Experience, ma poco cambia. Beh, stavolta ho fatto un’esperienza immersiva, e l’ho fatta senza bisogno di essere invitato da nessuno, anche perché in genere quelle mail le cestino a una velocità nel tempo affinità quasi da record olimpionico. Ho fatto un’esperienza immersiva e l’ho fatta lontano da Milano, nella mia città natale, Ancona. Faccio un passo indietro, giusto per prendere la rincorsa. Vivo da ventisette anni a Milano. Per amore. Non per amore di Milano. Poi, è chiaro, è grazie al fatto che vivo a Milano che negli anni mi sono fatto una professione, professione in un campo che, fossi rimasto in Ancona, così diciamo noi anconetani, in Ancona al posto di ad Ancona, non mi sarebbe stato possibile sviluppare: faccio cose. In realtà scrivo, siete qui che mi leggete, lo sapete, e scrivere avrei potuto farlo anche rimanendo in loco, ma oltre a scrivere, e scrivere per editori che mi interessano, che ho conosciuto per quella rete che vivendo a Milano ho costruito, faccio quel giro di lavori, le cose di cui sopra, che ruotano intorno alla scrittura, dal lavorare in radio, in tv, a teatro, al cinema, con cantanti, che stando in provincia mi sarebbe risultato impossibile, forse addirittura impensabile. Resta che io non viva a Milano per amore di Milano, città che, specie quando arriva la bella stagione, mi risulta particolarmente ostile. Perché? Perché sono nato in una città di mare, e per me, col primo caldo, diciamo anche tiepido, vivere equivaleva andare al mare. Andare anche al mare, siamo onesti. A Milano, checché cianci il sindaco Beppe Sala, non c’è. Chiamare così l’Idroscalo, a fianco del quale mi sono trovato a lavorare per qualche anno, quando lavoravo per Mondadori, per dire le esperienze lavorative che Milano mi ha consentito, chiamare così l’Idroscalo il “mare di Milano” è una aberrazione che, immagino, costerà al sindaco Sala, o meglio al candidato che si candiderà a sostituirlo nell’alveo del centro sinistra, la possibilità di vincere, più di una svendita della città, delle piste ciclabili fatte ad minchiam unite a politiche green che cozzano pesantemente con una costruzione selvaggia di grattacieli, di una disattenzione violenta nei confronti delle periferie e di chi in periferia vive e tante altre nefandezze di cui si è macchiato, l’Idroscalo non è un mare, non è neanche un lago. E a proposito di laghi, pur vivendo a Milano da ventisette anni, mi sono sempre rifiutato di considerare una gita al lago come qualcosa che somigli, anche vagamente, a una giornata al mare. Al punto che, in ventisette anni, mi sarà si e no ritrovato a farci il bagno, sempre che si chiami così anche immergersi in quelle acque poco accoglienti, fredde, con piante, verdure e fango sul fondo, due o tre volte, quasi tutte nei periodi particolarmente caldi degli anni del covid, quando uscire dalla regione era impossibile ma il caldo rimaneva caldo. Anzi, più caldo. Quindi niente Idroscalo, figuriamoci, e niente laghi, tanto per fare il quadro. Potrei aggiungere anche niente Liguria, vuoi per la rinomata ospitalità con la quale vieni accolto non appena varchi il confine, vuoi per l’idea di stare in un fazzoletto di spiaggia incollato a qualcun altro, pagando cifre che ti consentirebbero, credo, di stare là dove Gauguin era convinto, a ragione, di aver trovato il Paradiso Terrestre, le ore passate in coda in autostrada le medesime di volo che ci si impiegherebbe a arrivare.
Chiamatemi campanilista, ma sono nato a due passi dal Conero, e per me andare al mare, tranne quando poi vado in vacanza, ricorderete l’anno scorso il mio diario dall’Albania, che tuttora consiglio a tutti, è andare lì, sul Conero. O meglio, ai suoi piedi, unica montagna che abbia un senso, quella che serve a donare un po’ di ombra a chi va al mare. Ci ho anche scritto un libro, tanti anni fa, Seppellite il mio cuore sul Monte Conero, ipotizzando quindi un mio ritorno a casa, da morto, perché non amo Milano, è chiaro, ma da Ancona sono scappato, in esilio, quindi non è che ci tornerei in vita, per essere chiari. Seppur io mi sia ritrovato a più riprese a chiedere all’amministrazione, prima di centrosinistra, da sempre, e ora di centrodestra, di farmi dono della Torre di Portonovo, lì a due passi dal Clandestino di Moreno Cedroni e dalla chiesetta romanica che tanto infatuò Andreij Tarkovskij, al momento un b&b gestito dai proprietari, gli eredi dello scrittore De Bosis, ma sembra che la cosa non abbia seguito. Torno al tema, l’esperienza immersiva da cui eravamo partiti. Sono di passaggio in città, in Ancona, perché ho festeggiato il venticinquesimo di nozze a Assisi, e con mia moglie abbiamo deciso di fermarci una settimanella, prima di tornarcene per l’ultimo rush prima delle ferie a Milano. I nostri quattro figli vanno al mare, noi stiamo in casa a lavorare, lei per la multinazionale per cui, ai tempi, si è trasferita a Milano, io a seguirla per amore, io a lavorare per voi, che ve ne state magari al mare a leggermi. Ieri faceva particolarmente caldo. Ancora più caldo, per me, tenendo conto che vivo a Milano, città che quest’anno ha visto una quantità di giornate di pioggia paragonabili a una qualsiasi nazione equatoriale durante la stagione dei monsoni, quindi con poche giornate, ancora, o almeno ancora quando sono partito, da considerarsi torride. Finito di lavorare, comunque, con mia moglie abbiamo deciso di andare a fare un bagno serale a Portonovo, che è appunto quel lembo della costiera del Conero che si trova a nord, quindi ancora dentro il perimetro cittadino di Ancona, pur essendo distante dal centro abitato. In genere, se vai a Portonovo dopo le nove di mattino non trovi parcheggio, quindi o ci vai perché sei in ferie o non ci vai proprio. I weekend sono praticamente impraticabili, a meno che tu non sia tra quanti intendano l’andare al mare con il non andare neanche a dormire per trovarsi in spiaggia prima dell’alba. Il posto è bellissimo, ma ha a disposizione pochi parcheggi, e il servizio MareComodo, che preveda che tu lasci la macchina in cima al monte, per poi scendere con una navetta gratuita (gratuita una sega, paghi il parcheggio e la navetta è parte del pacchetto) è Comodo solo nella mente di chi ha concepito il copy, immagino un sadico degno di De Sade. Andarci di sera, quindi, diventa una soluzione praticabile. Chi è lì dalla mattina se ne sta tornando verso casa, il mare si calma, ci si gode un bagno senza neanche il solleone. Questo in teoria. Ieri, invece, arrivati siamo riusciti a stento a trovare un parcheggio, uno, faticando anche a trovarlo. Arrivati in spiaggia, noi andiamo dalla parte del Molo, dove si trova la baia di Portonovo su cui affaccia anche il Fortino Napoleonico, per intendersi, arrivati in spiaggia non c’era un fazzoletto libero su cui appoggiare gli asciugamani prima di tuffarci nelle verdi acque, verdi in quanto riflettenti i boschi sovrastanti. Quindi prima di fermarci ci siamo fatti un po’ di passi a piedi, neanche pochi, andando in direzione di Mezzavalle, che è la spiaggia più bella della zona, ma alla quale si accede solo passando dal monte, con un paio di stradelli per percorrere i quali tocca farsi una mezzora di scarpinata. Trovato uno spazio ci siamo apparecchiati, eravamo tutti e sei, io, mia moglie e i nostri quattro figli, pronti a tuffarci in acqua. E qui arriviamo alla esperienza immersiva. Uno potrebbe pensare, se distrattamente non ha nelle ultime settimane letto le pagine di cronaca, o almeno le pagine di cronaca locale di una qualsiasi località balneare affacciata sull’Adriatico, che per esperienza immersiva io intenda ora raccontarvi che ho fatto un bagno rilassante, come se ci trovassimo in uno di quei pezzi, spesso editoriali pagati da una SPA o da un Ente del turismo, dove si esaltano le bellezze di un determinato luogo. Pur non scrivendo editoriali, in passato, quando ero un reporter per GenteViaggi mi è capitato a più riprese di essere invitato da aziende e Enti del turismo a visitare luoghi belli, a volte anche esotici, in giro per il mondo, così che io potessi raccontarli, e poco conta che poi li facessi costantemente incazzare raccontando più aspetti singolari che quelli prettamente turistici, son fatto così, mi piace andare per strade che piacciono prevalentemente a me. Solo che, e in questo suppongo che il titolo avrebbe dovuto quantomeno mettervi la pulce nell’orecchio, io per esperienza immersiva intendevo altro, e quell’altro ha a che fare con la fantomatica mucillagine.
Sì, perché quest’anno l’Adriatico è afflitto dal problema, serio, della mucillagine. Quella sorta di melma giallastra composta da alghe morte, in decomposione, che sta impedendo la pesca e, spesso, anche un turismo sereno, perché col cazzo che vai a fare il bagno in mezzo a una melma giallastra composta di alghe morte in decomposizione. Questo seppur gli esperti ci abbiano rassicurato che non c’è nulla di tossico o pericoloso. Mettiamola così, anni e anni di esperienza ci hanno detto che immergerci nella merda sia cosa poco edificante, a meno che non si sia una mosca o qualcuno a cui piace stare immerso nella merda, farlo di propria volontà in mare rientra in una gamma di possibilità che difficilmente decideremmo di percorrere, anche a ragione. Solo che oggi le mucillagini non c’erano. Nel senso, a vista il mare sembrava bello limpido, pulito, al punto che, al mio primo bagno stagionale, neanche ho pensato ai tanti e tanti articoli letti a riguardo, come ai racconti dei miei due figli piccoli, in zona già da qualche settimana, che mi hanno raccontato con dovizia di particolari di quanto il mare fosse in effetti pieno di mucillagini. Non ci ho pensato proprio, o fossi in malafede potrei dire di aver pensato “vedi, il fenomeno delle mucillagini è passato, riparta il turismo di massa sul Conero”. Del resto, proprio quando anni fa ero un reporter per GenteViaggi, quando mi sono trovato a cantare le bellezze di Portonovo e di Mezzavalle in un servizio finito addirittura in copertina, ero una delle prime firme, ancora innamorato della mia terra natale, che mi aveva già abbondantemente accoltellato alle spalle, ma non mortalmente, i miei concittadini si erano come rivoltati contro di me, insultandomi per aver reso noto un segreto tutto locale, la spiaggia è piccola, i parcheggi pochi, che diavolo mi veniva in mente di far sapere su un magazine nazionale di quanto fosse bello Portonovo?, a rischio di vedere un aumento spaventoso del turismo? Diciamo che l’accoglienza non è un tratto distintivo della città che mi ha dato i natali, certo con tante eccezioni, ma son sicuro che leggendo la prima parte di questo pezzo, soprattutto il momento in cui ho fatto cenno alle mucillagini, qualche anconetano stavolta avrà esultato, della serie “state lontani turisti, ci sono le mucillagini, la spiaggia ce la godiamo tutta noi”. Pensate solo a cosa succede quando qualcuno prova a raccontare, che so, la zona delle grotte del Passetto, unico lacerto di mare disponibile ai bagnanti in centro, sembra quasi che tu abbia sputtanato un parente stretto, perché ciò che è nostro è nostro, gli altri non devono sapere e soprattutto non devono venire qui. Solo che stavolta le cose vanno diversamente. Perché in apparenza non ci sono le mucillagini, al punto che sono entrato del tutto incurante del fenomeno, ma fatti pochi passi ho realizzato che ci sono, eccome, solo che oggi non sono visibili. Quindi, niente melma gialla e uniforme, che forse qui, per la conformazione della zona, il Monte, la baia, le correnti che rendono l’acqua generalmente particolarmente limpida, non è mai arrivata da queste parti, ma una serie di scorie, so che non sono tossiche ma non saprei come chiamare quei filamenti, pezzetti, strisce, che rendono l’acqua particolarmente viscida e poco gradevole. E fortuna che, prima di entrare, non so neanche perché, forse per quello spirito di salvaguardia che ci fa sopravvivere, parlo di noi umani, ho legato i miei lunghi capelli in uno chignon sopra la testa, come certi samurai o maestri sensei giapponesi, perché, arriviamo all’esperienza immersiva, mi fossi incautamente bagnato i capelli ora starei, immagino, da un qualche parrucchiere cinese, in città sono rimasti praticamente solo loro, a farmi radere a zero. Perché la mucillagine si appiccica addosso all’uomo come neanche Claudio Gentile alle caviglie di Diego Armando Maradona, sono un uomo anziano e uso le immagini che fanno parte del mio corredo storico, non me ne vogliano i più giovani. Stai in acqua e provi un lieve senso di fastidio, per quel viscidume, ma quando esci il lieve se ne va e rimane proprio un fastidio fastidio, con la pelle che subito si fa dura e secca, come se il classico effetto del sale fosse amplificato, fatto strano considerando che ormai sono le sette di sera e il sole non è poi così forte. Anche dopo una doccia fredda, questa offre questa porzione di spiaggia, con forti sfregamenti, la pelle resta rigida, e i peli, sono un uomo, ho peli sul petto, sulle braccia e sulle gambe, non ricorrendo io alla depilazione da nuotatore olimpico o da ballerino classico, e i peli, quindi, sono tutti intrecciati con i resti della mucillagine, che se ne sta lì a intrecciarsi, come può capitare col filo spinato quando si prova a toglierselo di dosso. Una cosa orribile, lo dico senza se e senza ma, e anche senza intento di ridonare Portonovo agli anconetani. Mia figlia piccola, riccia, che incautamente ha bagnato anche i suoi lunghi capelli, credo passerà il resto delle sue vacanze a provare a sbrogliarseli, io passerò almeno mezzora sotto la doccia, una volta arrivato a fatica a casa, guidare con la pelle rigida è davvero fastidioso, a provare a togliere tutta quella merda lì, una cosa raccapricciante.
Nella mia città natale, sempre lì, esiste un termine piuttosto buffo, col quale si tende, specie da bambini, a chiamare quell’intreccio di peli e sporcizia che in genere si trova dalle parti del culo, e non vado nel dettaglio. Il termine è “tarzanello”, e immagino faccia riferimento a una certa similitudine con le liane, intreccio di foglie e rami che Tarzan usava per lanciarsi da albero in albero. So che in altre parti di Italia ce ne sono di simili, a Milano qualcuno mi ha parlato di “tarzanetto”, ma proprio per questo mio disamore per la città che comunque mi ha accolto in esilio, ventisette anni fa, tendo a non voler apprendere la lingua locale, felice quando mi si dice che non ho assunto cadenze o linguaggi autoctoni. Comunque, ecco, è come se tutto il mio corpo, nel momento in cui sono uscito dall’acqua, fosse pieno di tarzanelli, specie gambe, braccia e petto. Anche la schiena, a dirla tutta. Non uno spettacolo edificante, immagino, non fosse che intorno a me tutti vivevano nel medesimo incubo. Ecco, devo dire che ero il solo a lamentare un certo disagio, sintomo forse di un certo imborghesimento, o del fatto che, alla lunga, ho perso abitudini più provinciali, divenendo un po’ troppo metropolitano, vallo a sapere. Di fatto me ne sono lamentano in loco, l’ho fatto in auto, l’ho fatto prima, durante e dopo la doccia, durante parlando da solo come i matti, e ho continuato anche durante la cena, proclamando la mia ferma intenzione, stando così le cose, di non fare più in bagno al mare fino all’anno prossimo. Intenzione che, immagino, quando prossimamente tornerò giù per qualche giorno di vacanze, capitolerà sotto il caldo torrido, ma che al momento è salda e radicale. La mucillagine è un fenomeno passeggero, dicono gli esperti, ma nessuno sembra troppo certo su cosa si intenda per essere passeggeri. Nel caso vi capitasse di trovarvela di fronte, e se andate in un qualche luogo di villeggiatura sulla costa Adriatica di questi tempi capiterà, sappiate che non è affatto pericolosa per la vostra salute, almeno per quella fisica, sulla mentale non posso garantire, ma piuttosto fastidiosa. Ora vado a farmi un’altra doccia, perché sono sicuro che da qualche parte, lì dove non sono riuscito a sfregare bene, ci sarà ancora qualche residuo rimasto, come l’ultimo giapponese sull’isola deserta a guerra mondiale già finita.