In quel giro e mezzo gli sceneggiatori o gli scrittori, quelli bravi, ci avrebbero ambientato un libro, un romanzo, una serie, fatta di flash back e dubbi e ricordi e di inevitabilità della vita. Ché alla fine Valentino Rossi il sorpasso su Luca Marini l’ha fatto, ma l’ha detto lui stesso: «Ci ho messo un po’. È stata una sensazione strana superare mio fratello». Ché alla fine, comunque, subito dopo Valentino è caduto, tra i sassi, la ghiaia, le imprecazioni e i dispiaceri. E in pista è rimasto il giovane, come è giusto che sarà (prima o poi).
Ciò che è emerso, forte, in questo weekend di MotoGP a Portimao è il lato umano. Tutti a parlare di tecnica, di gomme, ma gli episodi su cui vale la pena soffermarsi sono tre: questo di cui ho appena raccontato, Marquez che piange e che spiega: “Non era per il dolore e né per lo sforzo di aver finito la gara, ma perché mi sono sentito di nuovo un pilota”, rivelando che il primo ad avere dei dubbi sul come e sul se sarebbe tornato non eravamo noi ma lui. E Mir che al giro numero uno entra cattivo proprio su Marquez, come a dirgli: “Amico mio, a me frega un cazzo che sei ancora infortunato, ti faccio capire immediatamente che dal momento che sei qui sconti non te ne faccio, che il campione del mondo sono io e che gli equilibri sono cambiati”. Anche questo un atteggiamento umano, fin troppo umano. Arroganza e, allo stesso tempo, paura.
E però mi soffermo sul primo, che non ce la faccio, devo essere sincero. Non ce la faccio a sentire Valentino dire che la sua “è stata una gara decente”. Decente? Dai, no. Non ce la faccio a sentire chi sostiene che è quasi un bene che sia caduto, perché "se è andato oltre il limite è perché percepiva che la moto glielo consientiva" e che quindi una scivolata, in questo caso, è un segno più positivo che negativo. Queste frasi sono come le sedute parlamentari trasmesse da Radio Radicale: non si possono proprio sentire. So che prendere il buono dalle situazioni difficili è forse l’unico metodo per uscirne fuori, ma so anche che la forza psicologica ha un limite e infatti è stato proprio lo stesso Valentino a sottolineare che finire la gara con il passo che aveva acquisito negli ultimi giri sarebbe stata una manna per il morale, che avrebbe fatto bene alla sua testa e a quella di tutti i componenti del team.
Il lato umano l’ha fatto emergere venerdì anche il gran capo della Dorna Carmelo Ezpeleta: “Non è bello vedere che Valentino non è felice”. Leggendo quella dichiarazione ho percepito un segnale di allarme potente. Perché se si prendono quelle parole e si abbinano alle altre pronunciate post gara dallo stesso Vale e cioè il “non serve niente arrabbiarsi”, il “so che se sono nelle condizioni giuste riesco ad esprimermi” non so quanta distanza resta tra la voglia di continuare a lottare e la rassegnazione, tra la perseveranza e un arrendersi in modo consapevole e pacifico.
È vero che accettare che qualcosa non va è il primo passo per risolvere una situazione ma può essere anche l’ultimo prima di alzare definitivamente le mani. E quindi sì, preferirei un Vale meno sorridente, più incazzato, meno comprensivo anche davanti alle telecamere, perché dietro magari non lo è per niente. Ma se lo è anche dietro c’è un problema. Se c’è bisogno di un Vale rabbioso ora è il momento di vederlo. Ora. “Jerez mi piace molto, l’anno scorso ho fatto podio” ha concluso Vale nell’intervista post gara. Insomma, la prossima gara a Jerez diventa fondamentale. Se anche lì le cose non gireranno ho l’impressione che qualcosa cambierà. In una carriera. Ma anche nella testa e nel morale. Che sono la cosa più importante.