Ducati ha appena rilasciato il nuovo motore V4 Granturismo da 170 cavalli, il quale andrà ad equipaggiare la prossima Multistrada per poi essere impiegato su modelli futuri. Più potente e più leggero (1,2kg in meno del Testastretta montato sulla 1260), il neonato della casa bolognese sembra portare con sé un solo, grande difetto: il “desmo” è stato abbandonato in favore di una più tradizionale distribuzione a molle. Poco importa se gli intervalli di manutenzione sono stati spostati a 60.000 chilometri (!) e se il motore gira ora più fluido, per alcuni Ducatisti la scelta degli ingegneri di Borgo Panigale non è niente di meno che una coltellata nella schiena.
Ma a ben vedere l’evoluzione è ciò che permette ad un marchio di sopravvivere, affinarsi e - nel caso di brand premium come lo è Ducati - distinguersi dai produttori generalisti. Soltanto che a Borgo Panigale ci sono clienti così appassionati al proprio lignaggio che ogni rinuncia alla tradizione viene enormemente sofferta. Lo è stato dapprima con l’addio al telaio tubolare a traliccio, poi con la scampanellante frizione a secco e, in tempi più recenti, con l’addio del bicilindrico in favore del V4.
Quanto si stava meglio quando la moto viaggiava a carburatori ed il polso del pilota fungeva da controllo di trazione, ABS e mappature motore? A pensarci bene non così tanto. Eravamo più giovani e la memoria tende a mettere in risalto ciò che c’è stato di buono per una forma di salvaguardia personale (la memoria è selettiva) ma qualcuno dovrà pur ricordare il carburatore soffrire in alta quota, o magari la moto che si imbizzarrisce dopo una maldestra apertura del gas su asfalto umido.
D’altro canto quando sali su una Panigale V4 con sospensioni a regolazione elettronica e ti basta qualche click del joystick per cambiare il precarico, la sensazione è tutt’altro che spiacevole. Che poi, a ben vedere, quanti sanno che cos’è la distribuzione desmodromica e a cosa serve in un motore? Diciamolo in parole povere: eliminare le molle dalla distribuzione permette regimi di rotazione più elevati. Quindi il motore spinge più in alto. Che questo possa fare la differenza nel momento in cui affrontate un curvane di montagna a novanta all’ora, tuttavia, è ancora da dimostrare.
Nel mondo dell’automotive esempi simili sono all’ordine del giorno. Solo qualche anno fa BMW ha riprogettato la Serie 1 con la trazione anteriore. Il motivo che ha portato a questa scelta è stato spiegato più volte dai tecnici dell’Elica: più spazio a bordo (da sempre motivo di critiche per i possessori), un bagagliaio più capiente ed un prezzo più competitivo rispetto a prima. Ma soprattutto, la stragrande maggioranza dei clienti della Serie 1 non aveva idea di cosa fosse la trazione posteriore, ne ignorava completamente sia l’esistenza che le peculiarità. Discorso simile quando Porsche decise di raffreddare a liquido il motore boxer che, fino alla 911 993, veniva raffreddato ad aria per la gioia dei puristi della meccanica. Il raffreddamento a liquido è più efficace e permette prestazioni migliori, ma al tempo si pensò che per la Casa di Stoccarda sarebbe stata un’ecatombe.
Stesso discorso, ancora, per l’introduzione del motore turbo in sostituzione dell’aspirato, scelta condivisa sia da Porsche che Ferrari e, a pensarci, ben più drastica rispetto alla rinuncia del desmodromico per Ducati. Ad oggi gli unici che possono schifare una Ferrari V8 perché ha un motore turbo (tra l’altro ripetutamente premiato agli Engine of the Year) sono coloro che non l’hanno mai provato.
Il mondo dei motori, che siano due o quattro ruote, non risponde più al Dio della tradizione ma a quello della prestazione. Andare più veloce con meno problemi possibili, come farebbe un pilota. Ecco, ad un pilota puoi dare anche la più brutta delle moto, ma se funziona meglio delle altre non sarà certo lui a voler fare scambio.
In tutto questo Ducati potrebbe, in futuro, dividersi su diverse linee di sviluppo, garantendo in qualche modo la soddisfazione di ogni tipo di cliente. Da un lato ci sarebbero le bandiere tecnologiche del marchio, rappresentate da moto come lo sono oggi le varie declinazioni della Panigale: pensate per la massima prestazione sempre, a prescindere dalla conformazione di telaio e motore. Hanno le alette per andare più forte, una sella posteriore che è uno scherzo e un'impostazione difficile da digerire su strada. Ma basta portarle in un circuito come Portimao e per vederle girare a pochi decimi dalle MotoGP. Non certo un segmento per fare utili e volumi, ma un punto di riferimento per la tecnica.
Dall’altro lato invece, troveremmo il vero cuore dell’azienda, quello che permette a tutto il resto (corse incluse) di andare avanti. Lì troverebbero posto moto come Multistrada, Monster e Scrambler, fatte per durare e appagare i loro possessori, offrendo, al contempo, una vera e propria esperienza premium ai propri clienti.
Con questi due pilastri, Ducati potrebbe poi dedicare una terza linea di sviluppo al mondo heritage, dove invece soluzioni tradizionali vengono impiegate appositamente per ricreare quelle sensazioni che hanno reso il marchio bolognese così celebre negli anni. Via libera a traliccio, frizione a secco e bicilindrico, magari non più raffreddato ad aria ma forse desmodromico sì.
Per fare tutto questo però, un’evoluzione è più che mai necessaria. Ed essere Ducatisti è certamente più bello se da Borgo Panigale arrivano soluzioni innovative e inedite per il resto del mondo. Noi, almeno, la vediamo così.