C'è anche Leo Turrini al festival Rockshopia di Civitanova Marche, " un viaggio verso le radici culturali della musica", come lo hanno descritto gli organizzatori dell'evento. E uno si chiede: perché hanno invitato Leo Turrini? Vorrano sapere delle ultime mosse della Ferrari? O commentare gli ultimi exploit del tennis italiano? No. Leo Turrini ha infatti incontrato il pubblico per parlare di musica, per parlare di Vasco Rossi. Infatti, alla kermesse sul lungomare marchigiano, venerdì sera la filosofa Ilaria Gasparri ha analizzato, con il contributo di Turrini, il legame fra La Recherche di Marcel Proust e il Blasco, che ha rivelato in un'intervista a Repubblica di essere un appassionato dell'opera dello scrittore francese. In questo dialogo musical-culturale, Leo Turrini ha ripercorso i principali passaggi della carriera di Vasco. E noi non potevamo che raggiungerlo per farci raccontare alcune cose sulla rockstar emiliana - e, ovviamente, essendo lui una Bibbia giornalistica, anche tante altre cose.
Leo Turrini, cosa è stato per te Vasco Rossi?
Conosco Vasco da tantissimi anni, abbiamo un legame molto musicale. Perché prima di essere un rocker, un cantante, un artista, Vasco è stato innanzitutto un deejay e uno speaker radiofonico. Negli anni Settanta, ai tempi delle radio libere, lui aveva buttato su la prima radio libera italiana, Punto radio, a Zocca (cittadina d'origine di Vasco Rossi, ndr) e metteva musica che a noi giovani piaceva. Quella che, insomma, la radio di Stato non trasmetteva. Si esibiva poi in una discoteca, il Picchio Rosso, in un paesino emiliano dove suonò anche De André con la PFM nel 1979 - e io anche lì c'ero. Bene, una sera un artista internazionale, di questi che ogni tanto si esibivano lì, non riesce a venire e all'ultimo fanno suonare Vasco, che si sapeva essere bravo anche a suonare la chitarra. E' stato un delirio. Poi lo intervistai - una delle mie prime volte, per una televisione di Sassuolo, Telesassuolo. Era dopo un concerto in cui eravamo in tre. In tre a sentire Vasco Rossi e la sua band negli anni Settanta. Se ci penso oggi mi sembra ancora incredibile: è stata un'esperienza fra le più memorabili della mia carriera. E comunque, gli feci un'ora di intervista.
Oggi il Vasco ventenne - anticonvenzionale rocketman dalle passioni stravaganti - come sarebbe stato accolto dall'opinione pubblica?
Questa è una domanda interessante. Sai c'è un passaggio in una delle sue canzoni più famose, Colpa d'Alfredo, in cui in un verso lui dice "E' andata a casa col negro/quella troia". Tu pensi che oggi avrebbe mai potuto dire una cosa del genere? Eppure la mia generazione era molto più sensibile su quei tempi rispetto alle nuove di oggi. E Vasco uguale. Ai tempi, per lui e per noi, pur senza essere affatto razzisti o sessisti, appellativi come negro o troia erano una cosa a cui non si prestava così tanta attenzione, eppure non c'era alcun tipo di offesa quando si utilizzavano questi termini. Né se lo dicevo io, né Vasco nella sua canzone. Anzi, io credo che Vasco Rossi sia stato fra i più apolitici, libertini e antiproibizionisti star che ci fosse fra le star del tempo. Non a caso, l'unico partito che abbia mai votato Vasco sono stati i Radicali ed era un grande amico di Pannella. Oggi, anche in buona fede, utilizzare termini del genere non è comprensibile, mentre una volta lo era anche per un artista era normale. Il suo linguaggio era figlio dei tempi, pur essendo totalmente antirazzista. Ma anche io. Una volta, qualche anno fa, quando scrivevo di Hamilton ogni tanto mi riferivo a lui come il Re nero. Poi mia figlia mi ha detto: "Ma tu non hai mai chiamato Vettel il Re bianco, perché con Hamilton lo fai?". Da quando lei, che è di un'altra generazione, me lo ha fatto notare, allora ho smesso di scriverlo. Anche se non c'era nulla di razzismo. Oggi c'è un'altra sensibilità per il linguaggio.
Quanto è cambiato il giornalismo di oggi da quello degli anni Ottanta?
Il web è quello che ha stravolto tutto. Adesso viviamo in un'epoca in cui tutti possono informarsi. Si sono moltiplicate le fonti di informazione ed è una cosa buona. Perché tutti possono dire quello che pensano, è una forma di libertà e tutti possono, non so, aprire un food blog o dire la sua su Berrettini. Un capolavoro di democrazia. Una volta se volevi esprimere un concetto, una tua opinione, potevi farlo solo se avevi la fortuna o il merito di lavorare in un giornale o in radio. Ma allo stesso tempo c'è un fatto fondamentale e pericolosissimo, commesso alle basi della creazione di Internet. Internet non può essere anonimo, non si può vivere dietro lo scudo dell'anonimato. Non si può scrivere un'opinione o un commento e nascondersi dietro una falsa identità, dietro un nome fittizio. Soprattutto quando si parla di scienza, di medicina, di economia e in generale di cose serie. Se insulti uno sportivo sotto falso nome non cambia il mondo, ma se dici la tua su un'opinione scientifica si rischiano danni clamorosi. E' proprio come diceva il buon Umberto Eco: "Internet è la palestra degli imbecilli, nella quale il parere del premio Nobel conta come quella dell'ubriaco al bar. Uno come uno non vale un cazzo, l'opinione scientifica di un medico non può essere uguale a quella del primo che passa. E tutto questo si fa in virtù dell'anonimato. In Italia, e non lo dico soltanto io ma anche Enrico Mentana, questo è l'erroe fatale che ci porterà a una catastrofe.
Giusto per rimanere in tema giornalistico: cosa ne pensi dei paragoni? Del fatto di accostare sportivi del presente a quelli del passato.
Credo sia una cosa naturale. C'è sempre stato una tendenza all'accostamento, ai paragoni fra grandi. Viene un po' spontaneo, che so, guardare Messi e dire "Ha quei colpi che ricordano Maradona". La differenza la fa la credibilità, quella è una cosa discutibile. Come si dice, ogni campione appartiene al suo tempo ed è il giornalista che deve poi filtrare, che deve saper spiegare le differenze, quando ci sono, e ci sono quasi sempre. Ti faccio un esempio. Io ho seguito tutta la carriera di Alberto Tomba e lui sciava con scii lunghi due metri, mentre oggi sono molto più corti. Questo fa la differenza nella prestazione, prova a curvare in pista con degli scii lunghi due metri. Oppure prendi la Formula 1, dove i paragoni sono molto difficili. Oggi le macchine sono molto più accessoriate, hanno più elettronica, utilizzano motori ibridi rispetto a quando correvano Senna o Schumacher. Uno esperto che è informato di Formula 1 ti dice che non puoi fare i paragoni fra piloti di epoche diverse perché cambiano i mezzi, le modalità di guida. Una volta a Montecarlo dovevi cambiare manualmente in curva a 250 km/h, oggi guidano con tutte e due le mani sul volante. Le differenze ci sono sempre.
D'accordo passiamo alla Formula 1. Come sta andando la stagione?
A questo punto del mondiale, direi che il campionato lo vince Verstappern. In Formula 1, fin quì, la Red Bull è stata più regolare della Ferrari. Che però è tornata a fare molto bene e per noi italiani è la notizia più importante perché erano quindici anni che non si vedeva una Ferrari così e si vede che gli uomini e le donne di Maranello hanno fatto un gran lavoro sulla vettura, la macchina è davvero super. Poi bisogna essere bravi a mettere tutto insieme. Su otto pole hanno vinto quattro volte ma avrebbero potuto vincerne molto di più, sono risultati buoni, ma ci sono stati errori di percorso che si devono pagare. Il fuoripista di Leclerc, i segnali di motore, gli errori nel team, la gestione del Muretto al cambio gomme. La Ferrari è anche più veloce della Red Bull, ma loro questi errori non li hanno fatti ed è giusto che vinca. Che poi non è certezza assoluta, però mi sorprenderebbe se non vincesse il titolo.
E questo boom della F1? Anzi, questo boom della F1 che cresce in tutto il mondo e il mondo del MotoGp che cala?
Penso sia giusto differenziare le due cose, non si possono mettere sullo stesso piano. La Formula 1 sta vivendo un periodo d'oro grazie alla nuova generazione. Me ne accordo anche io sulla mia pelle. Quando vado a presentare i miei libri al pubblico mi accorgo che non ci sono più, come anni fa, soltanto over 40, ma iniziano ad arrivare anche i più giovani. Questo per due motivi. Da un lato l'interesse è cresciuto grazie ai piloti. Molti sono ventenni, sono dei personaggi pubblici cresciuti con gli stessi hobby dei coetanei spettatori, quindi social, PlayStation, le simulazioni pc ecc. Questo ha avuto una presa straordinaria sui più giovani che si identificiano su questi nuovi campioni. Li percepiscono come loro coetanei. Dall'altro lato, c'è da dire che oggi ci sono nuovi mezzi di comunicazione e il fatto che viviamo in un villaggio globale. La serie Netflix, F1 - Drive to survive ha influito tantissimo sul pubblico internazionale, soprattutto quello americano. Una volta c'era un solo circuito negli Stati Uniti, adesso si è aggiunto anche Miami e dal prossimo mondiale ci sarà anche Las Vegas. Si dice si possa aggiungere anche New York. Grande merito ce l'ha anche Stefano Domenicali, che ha una mente giovane, a contribuito molto da Liberty media a questo successo della F1. E' un fascino e un entusiasmo che penso sia paragonabile a quello degli anni Novanta e dei primi Duemila.
Un commento su due nomi poi ti lascio andare: Lewis Hamilton e Charles Leclerc.
Di Hamilton sono sempre stato un grande estimatore. L'ho seguito fin dagli esordi, dal 2007 quando era alla McLaren e ha un talento incredibile. Poi è un'icona, e anche se è fra i più esperti (Hamilton ha 37 anni, ndr) credo che prima di smettere proverà a vincere l'ottavo titolo mondiale diventando il primatista. Per lui ho veramente una grandissima stima.
Leclerc ha un talento immenso ed è ancora molto giovane. Prima le sue capacità si vedevano, ma non aveva una gran macchina. Adesso ha una monoposto per vincere il Mondiale e deve imparare a gestirla, infatti ha fatto degli errori come è giusto che sia, e imparerà. Sono convinto che prima o poi ce la farà a vincere il Mondiale. E poi è una persona stupenda, umanamente parlando, e i campionati non si vincono soltanto con la macchina, ma anche con il cervello e lui è molto intelligente.
E' un predestinato?
Si, glielo riconosco.