Ascoltare la realtà e staccare la spina. Non servirebbero troppe parole per spiegare la scelta che Yamaha ha sostanzialmente annunciato per il suo futuro, ammettendo che è in corso una rivoluzione dopo un’altra rivoluzione che, di fatto, è fallita sul nascere. Chiamatelo ritorno al futuro, chiamatelo come vi pare, ma la sostanza è una sola: l’elettrico è l’ideale non per rendere migliore e più pulito il mondo, ma per andare a fondo. E rischiare grosso anche quando si è un colosso incrollabile come Yamaha. Nell’automotive hanno dovuto capirlo in molti, a partire da Porsche e finendo per Fiat (John Elkann ha parlato chiarissimo durante la presentazione della 500 ibrida) e anche nel settore moto sono stati in tanti a dover aprire gli occhi a suon di schiaffoni dal mercato.
E’ ciò che, in qualche modo, ha ammesso anche Yamaha e è bastato dare retta ai motociclisti. Nel pieno della corsa all’elettrificazione forzata – quell’entusiastica ecoevangelizzazione che prometteva un futuro silenzioso e immacolato, ma pieno di ansia da autonomia e più esclusivo di un circolo per soli paperoni – la Casa di Iwata ha pinzato forte sul freno, alzato la visiera e tuonato: “Il mercato motociclistico non mostra alcuna domanda di passaggio all’elettrico”. Parole affidate a MCN dal presidente europeo Olivier Prévost durante l’ultima edizione di EICMA di Milano.
Fine, quindi, dell’ingenuo approccio ecoideologico e presa di coscienza netta che imporre èil peggior modo di convincere, tra l’altro ignorando costi, infrastrutture, autonomie e soprattutto il fatto che gli appassionati – quelli veri – cercano emozione. E i watt, per ora, non ne danno. Il risultato? La mobilità e più specificatamente la mobilità in moto non può essere approcciata come un compito in classe svolto in fretta per compiacere il professore. La passione bisogna contarcela. E i distinguo vanno fatti, in particolare per quanto riguarda la mobilità urbana, dove può essere sicuramente utile sviluppare mezzi agili e che possano proporsi sul mercato come vie di mezzo tra le faticose bici e le impegnative moto. In Yamaha l’hanno capito e si sono posti una domanda: “davvero dobbiamo fingere che la benzina sia già un reperto archeologico?”
La risposta è un programma industriale da 10 nuovi modelli in tre anni, con il cuore che torna orgogliosamente a battere per i motori termici. La R1, data per condannata all’esilio delle sole piste a causa dell’Euro 5+, potrebbe tornare sulle strade. “La CP4 – ha detto Clément Villet, direttore della Mobilità Terrestre europea per la casa di Iwata - non è finita”. E quello che doveva essere un lungo funerale s’è rivelato solo un relativamente breve periodo sabbatico. Il boom delle sportive di media cilindrata – R7 prima, R9 ora – sta ridando peso alle supersportive tradizionali. E con Yamaha, che in MotoGP passa al V4, la conseguenza è quasi naturale: la prossima R1 potrebbe seguire la stessa strada. Insomma, a Iwata nessuno ha intenzione di “rimettere un catalizzatore e via” uccidendo cavalli. “Se torniamo – dice ancora Prevost - vogliamo fare le cose per bene. Non serve riesumare l’attuale modello, serve un vero salto di qualità”.
Attenzione, però, per il ritorno al futuro non riguarda solo asfalto e cordoli e anche il vuoto lasciato nel cuore degli appassionati dalla Super Ténéré 1200, uscita di scena troppo presto, potrebbe essere colmato a breve. “Se usiamo il CP3 – dice Villet - deve essere una vera Ténéré. O è degna del nome o non si fa”. C’è da prepararsi, insomma, a sentire ancora il profumo della benzina e a ruotare il polso destro in faccia all’ecoutopia a batterie che avrebbe dovuto sostituire tutto e tutti. Forse l’elettrico avrà un ruolo importante, un giorno. Ma oggi, ora lo dice anche Yamaha, la strada da percorrere è ancora quella che parla al cuore. E lo fa attraverso due leggende pronte a tornare: la R1 e la Super Ténéré. Un futuro che, per una volta, non rinnega il passato, ma lo onora.