Vanni Oddera è un riferimento. È l’uomo che ha spiegato al mondo che puoi fare del bene anche se sei una rockstar. Ci mette tempo, talento, idee. All’ospedale pediatrico Gaslini di Genova si è presentato con una gru su ruote, ci ha caricato la moto ed è andato a salutare i bambini. Ha portato regali, ma anche medicine e buoni pasto per le famiglie. Lo abbiamo raggiunto al telefono per farci raccontare un pezzetto della sua storia.
C’è DaBoot e c’è la Mototerapia. Ma quando sei passato da una cosa all’altra?
“La sberla in faccia mi è arrivata nel 2009. Ero a Mosca a fare questa gara internazionale molto grande, avevo dato il tutto e per tutto rischiando forte, ma era alla fine era andata bene. Avevo chiuso sul podio, tutto fantastico. Poi dall’hotel sono uscito perché mi aspettava la serata. Donne, alcol, divertimento a bomba. Sono salito sul primo taxi che ho trovato e ho sentito subito una puzza di piscio terribile. Ho guardato l’autista, gli ho detto di darsi una mossa. Cazzo, lui era senza gambe. Era seduto sul suo piscio, non aveva neanche il catetere. Lì mi sono reso conto di quanta fortuna ci vuole nella vita per nascere sani, in una famiglia giusta, in un paese giusto. Ci sono tante variabili che ti fanno capire che nella vita il 70 - 80 percento è fortuna. Non è talento. È fortuna. E tu di questo devi essere consapevole. Se nella vita ti va bene, devi dare qualcosa indietro”.
Dici 'Fuck the Normal Life'.
“Si, fanculo a questo sistema. Mi dispiace dirlo, ma questo sistema è marcio”.
Perché quello che fai contagia le persone?
“Cazzo, sono fatte col cuore. Fine. Le cose fatte col cuore vanno bene sempre. E spesso sono scomode, perché ho tribolato e sto tribolando ancora adesso per farle. Però sono fatte in questo modo, il tempo ci darà ragione”.
Hai ribaltato il concetto che fare del bene sia una cosa noiosa, quasi da sfigati.
“Il volontariato purtroppo ha quest’anima stantia, vetusta. Un’impronta data forse dalla Chiesa, o dal Governo. Dai, guardiamo le pubblicità progresso sul volontariato. Ti fanno venire voglia di fare tutt’altro. Invece il volontariato è bello. Se lo fai col cuore e con la tua passione è bello. È semplicemente condividere momenti belli della vita e tempo di qualità con gli altri”.
C’è chi lo confonde con l’andare in palestra o il mettersi a correre. Soffrire mentre lo fai per stare bene quando hai finito.
“Certo. A volte mi chiamano persone che mi dicono ‘Sto male, è un periodo di merda, vorrei darmi al volontariato”. Io a loro dico di rimanere a casa. Non puoi riversare negatività su altri che stanno peggio di te. Dico sempre di regalare momenti di qualità agli altri. Tu hai visto Fight Club? Loro andavano da persone che stavano peggio per stare meglio. Ecco, non va fatto”.
Sei appena stato al Gaslini di Genova, dove sei salito sulla gru con la moto…
“Ma si, vaffanculo, sono arrivato dalle finestre! È stato pazzesco, perché ho cominciato a pensare a questa cosa e una settimana dopo mi ha contattato Magni, che costruisce questi macchinari. Mi hanno chiesto se volevo supporto, una roba mistica. Poi per carità, le mie idee sono un conto, però c’è anche da dire che un ospedale come il Gaslini, aperto a fare quello che voglio, è grasso che cola. È bellissimo che una realtà come la loro, che ha rilevanza a livello mondiale, mi abbia detto va bene, facciamolo. Ci credono, e questo è bellissimo”.
Al Gaslini avete portato anche il merchandising di Valentino Rossi.
“Eh, Vale! Io ho conosciuto Flavio (Fratesi, ndr.), una persona d’oro. E quando mi servono gadget, cose firmate da Valentino e altro lui mi fa avere sempre tutto. È una persona splendida, mi piace. È di cuore. Flavio c’è sempre, una persona fantastica”.
Sei diventato un riferimento.
“Si, creo contatti, faccio girare un po’ le cose. Lì al Gaslini c’è l’Abeo, una onlus che ospita 30 famiglie, quelle che non si possono permettere di pagare mesi di hotel. Perché quando hai un bambino malato che passa mesi in ospedale, la medicina migliore è avere la famiglia unita. Quindi Abeo ospita queste persone che non possono permettersi altro se non stare lì da loro. E anche lì c’erano tante cose da fare, abbiamo chiamato delle aziende ma i prezzi erano esagerati. Invece dopo due giorni mi è arrivata la richiesta da una ditta che fa manutenzione, VerdeVerticale, hanno messo a posto tutto senza prendere un euro”.
Il Covid ha cambiato le cose anche per te.
“Certo. Non si può entrare negli ospedali, ma sembra una barzelletta. Pensa che 2020 ho visto più di 5.000 famiglie a domicilio. E ho già avuto il virus, ma ho chiesto comunque di essere vaccinato per riuscire ad entrare. Non per me, figurati. Per essere tutti più sicuri, rientrare nelle normative. Invece niente, mi hanno detto che devo aspettare le fasce d’età. Quindi non si può entrare nei reparti né nient’altro”.
Sono molte le strutture che non ti vogliono lì?
“Si, figurati. E trovo anche tantissima gente che non crede a quello che faccio, pensano che io abbia un doppio fine”.
Rocco Siffredi ci ha raccontato che hai fatto motocross nudo nei suoi film.
“Ma si, io lo dico sempre: non sono un angelo. La vita me la godo, mi godo tutto a pieno. Ho fatto due film porno con Rocco, le cose le faccio. Non è che se faccio stare bene delle persone, dei bimbi, allora non posso fare la mia vita o essere giudicato per questo. Però certo, sono una persona scomoda. Perché sono vero. La cosa folle è che tutto questo è nato dalla moto”.
Ci sei sempre andato, in moto?
“Macché, ho cominciato a 22 anni. Non me l’avrebbero mai presa, non volevano che andassi in moto”.
Molti direbbero che è tardi. Come è successo?
“Fin da piccolo, da quando avevo tre o quattro anni, ho sempre voluto la moto. Sempre. E pure abito a Pontinvrea, un comune di 800 abitanti dove nessuno ha la moto. Che cazzo ne so, era dentro il mio DNA. La moto è un oggetto di libertà mica da ridere”.
Cerchi l’equilibrio, quando la guidi?
“No, no, no. Io non ho mai pensato di essere in equilibrio sulla moto. Mai in vita mia. È una cosa così stabile per me, mi rende sicuro. Anche con i disabili, i bimbi. Appena stacco, vado. C’è un gioco di forze che sento dentro, mi sento nel mio. Meglio di camminare”.