“Una giornata di merda, di vera merda”. Esordisce così Giovanni Di Pillo al telefono, perché Fausto era un amico da tanto tempo. “Caro Fausto, ora basta!” aveva scritto qualche giorno fa in una lettera per Gresini. E poi Fiammetta La Guidara, mancata anche lei, anche lei un'amica con cui Di Pillo ha lavorato per anni, condividendo la passione per il motorsport e le storie che questo folle mondo si porta dietro.
Ciao Giò. È un giorno nero per il mondo dei motori. Puoi raccontarci la "tua" Fiammetta?
“Certo, molto semplice: l’ho assunta io a Nuvolari. Mi chiamarono da Roma perché si era licenziato un giornalista della nostra redazione e che c’era bisogno urgentemente di qualcuno, ma io su Roma non conoscevo nessuno, in più ero a Brands Hatch per il mondiale Superbike. Presi il microfono in sala stampa e dissi ‘c’è mica qualche giornalista italiano di Roma?’ e quel cesto di capelli riccioluti si alzò in piedi e fece ‘Io! Piacere, Fiammetta la Guidara’, mi conosceva. Così organizzammo un colloquio e venne assunta, facemmo dieci anni di cose meravigliose.
Ad un certo punto organizzai una selezione fra tutti i miei giornalisti per capire chi potesse prendere il mio posto, non potevo passare otto ore al giorno raccontando qualunque cosa dal Supercross alla Superbike, passando per il Supersport e tutto il resto… E lei vinse la selezione perché si studiava la notte i numeri di gara, i piloti. Si era impegnata a bestia. Agli altri non fregava nulla, andavano in giro a bere. Ma lei arrivava il giorno dopo e sapeva tutto della gara che avrebbe commentato. Così è iniziata la sua carriera da telecronista, poi è esplosa anche giornalisticamente perché si sapeva porre bene, era fotogenica… uno schiacciasassi”.
Era difficile non avere un po’ di sana invidia per lei, così capace in tutto.
“Si, il fatto che se ne sia andata così presto è stata una bestemmia. Lei ha avuto anche una vita sofferta, non facilissima, e finalmente aveva trovato l’uomo giusto della sua vita e se l’era sposato, le cose avevano cominciato ad andare per il verso giusto. Fanculo va”.
E poi c’è Fausto Gresini, a cui avevi anche scritto una lettera col cuore.
“Posso dire che chi ha avuto il privilegio di conoscerlo ed essergli amico ha il dovere di spiegare bene che tipo fosse Fausto Gresini. Era l’ultimo cavaliere della motocicletta rimasto nel paddock. L’ultimo vero. Perché l’altro, Davide (Brivio, ndr.) è andato in Formula 1 ed era rimasto solo lui. Era un tipo, sai… intanto era generosissimo. Di una simpatia pazzesca, mi ha fatto degli scherzi che io non posso neanche raccontare! Bestiale”.
Dai, certo che puoi.
“Andò da una signora, davanti al ristorante in cui eravamo, che passeggiava con un cane sciancato. Il cane camminava come me, che avevo girato per Imola due giorni. Insomma, lui va da questa signora per comprare il suo cane... voleva regalarmelo, questo pezzo di merda! Te lo giuro! (ride, ndr). La signora fa ‘no, sta male, sta per morire’. E Gresini, prontissimo: ‘beh, anche lui non è messo meglio, va bene così’. Era un tipo pazzesco. Ne racconto un'altra. Andavamo a pescare assieme alle Valli di Comacchio, a cercare i siluri. Lui veniva con il camper di Katoh, che nel frattempo era in Giappone. Andavamo in giro con questo camper, mangiavamo, dormivamo lì… un casino infernale. Una sera ci trovammo coperti di zanzare, poi tutte spiaccicate a forza di ciabatte e giornali. Ma la cosa folle fu dimenticare le esche, che erano anguille vive, nel vano delle tute”.
E poi? Come l’avete risolta?
“Eh… A Misano, per il mondiale, sono andato a salutare Daijiro. Lui ha iniziato ad urlare in giapponese, a muso duro, poi ha cominciato ad inseguirmi come una bestia con una chiave inglese in mano. Io, che ero in motorino, l’ho seminato e sono corso da Fausto a chiedergli che cazzo gli fosse preso. ‘Eh, mi sono dimenticato le anguille… ma mica potevo dire che era colpa mia, sono il suo Team Manager! Gli ho detto che è stato quel cretino di Di Pillo a lasciarle là dentro… adesso lui ha le tute che puzzano di pesce marcio e non sa come mandar via l’odore!”
Roba da matti.
“Fausto era così. Un’altra volta siamo andati a girare in moto e lui mi girava in tondo, tanto che mi sono pure incazzato! E quando siamo andati a mangiare al ristorante c’era un quadro, un vecchino con un cane sciancato e le stampelle… è andato dal padrone e lo ha comprato. Per regalarmelo, capisci. Sto pezzo di… Poi sai, che dire. È l’unico pilota che conosco ad aver aiutato un altro, oltretutto compagno di squadra, a vincere un titolo mondiale. Una cosa del genere provò a farla Villeneuve, ma non ce la fece. Invece Fausto aiutò Capirossi a vincere il suo primo mondiale”.
Quella famosa Phillip Island 1990, quando prese anche un pugno sul casco. Cose che non esistono più, anche considerando che Capirossi era lì per prendere il suo posto.
“Esatto. Poi ricordo quando è arrivato a fine stagione da campione del mondo, a Imola. Io gli dissi ‘Fausto senti… ti prepariamo una festa al traguardo, tanto sei già campione del mondo, anche se arrivi dietro. Quindi mi raccomando, all’ultimo giro fai una bella impennata, saluta il pubblico e fermati da noi’. Lui era tutto contento, è partito… E al primo giro ha fatto un volo per aria di quindici metri, dritto nel cartellone dell’Agip che c’era al Tamburello! Ed è andato anche all’ospedale! Meraviglioso, una persona speciale. Era l’ultimo cavaliere di una schiera di innamorati della moto, come prima ce n’erano migliaia, da Roberto Gallina a tanti altri. Poi sono arrivati gli squali, ci hanno visto i soldi”.
Sentirti parlare così di lui però è una bella emozione. E fa pensare a quanto Fausto abbia lasciato al motociclismo.
“È vero. Ed è morto giovanissimo, ma in un momento così brutto, contro un destino di merda come il suo, dobbiamo anche pensare di aver avuto il privilegio assoluto di stare accanto ad una persona straordinaria. Una persona magica. Che può dare esempio, spunto e tante cose. Lui era generoso, dava sé stesso come amico, come Team Manager e come persona. Molti altri lo fanno per i soldi”.
"Io ho la fortuna che la sera, quando vado a letto, so di aver fatto una vita incredibile. Senza aver fatto una lira, ma ho fatto quello che volevo, il sogno che avevo da piccolo. L’ho inseguito e l’ho realizzato, come hanno fatto Fausto e Fiammetta. A vivere in un ambiente come quello delle corse, spesso difficile e pieno di porte chiuse, ho imparato anche io a non mollare mai e a continuare a fare quello che mi piaceva. Ed in qualche modo sono riuscito ad invecchiare senza mai diventare adulto. L’importante è inseguire i sogni. Se non li raggiungi è uguale, perché il bello è tentare di realizzarli. Poi ragazzi, c'è poco da fare, la vita si mette di mezzo. La vita è un dono meraviglioso, e io l’ho passato in mezzo a meccanici, piloti, team manager e sgangherati. Solo a metà strada ho capito che erano personaggi speciali, sinceri, in gamba. Gente da cui si può imparare, e alla fine grazie a persone come Fausto capisci che ne vale la pena".