“Se sei solo contento che le cose vanno bene e non sei pure un po’ arrabbiato con te stesso perché potrebbero andare meglio, allora non sei un pilota. O, di sicuro, non sei Danilo Petrucci”. E’ la risposta al “come stai” firmata proprio da Danilo Petrucci. Nell’ultimo fine settimana s’è portato a casa tre terzi posti dal round di Most del mondiale SBK, è pure terzo in classifica generale dietro agli extraterrestri Bulega e Razgatlioglu e, a 35 anni compiuti, sta più che bene dove sta, ma è di quei piloti che troverebbe una moto competitiva per continuare la carriera in meno di mezzo secondo. E’ come se stesse vivendo una giovinezza dilatata. Eppure c’è qualcosa che gli fa girare le scatole. “Ancora non riesco a capacitarmi di come caz*o faceva Nicolò (Bulega, ndr) a fare l’ultima curva di Most in quel modo. E’ già mercoledì, ma non ho mai smesso di pensarci. Certo che sono contento per come stanno andando le cose, ma se qualcuno riesce a fare meglio di te è la prova che si può fare meglio e quindi è su quello che ci si concentra. Sì, sono terzo, ho avuto un ottimo week end, ma il pensiero è più su ‘l’anno prossimo voglio fare quella curva come la fa Nicolò’. Noi piloti siamo fatti così. O comunque io sono fatto così”.

Poche parole che bastano da sole a spiegare l’anima di chi ha scelto di vivere di competizione, con un oltre sempre da guardare e un limite da superare spostato ogni volta. Con la consapevolezza che solo quando non sarà più così sarà anche ora di cominciare a pensare di smettere. E non importa se gli altri hanno anni in meno e fisici meno provati dalle centinaia di botte rimediate nel tempo. Un tempo che per Petrucci dura da una vita, ma che l’ha fatto conoscere al mondo anche dai non appassionati proprio su quel circuito in cui in questo fine settimana correrà la MotoGP: Silverstone. Primo podio in MotoGP nel 2015, dietro a Valentino Rossi e sotto una pioggia tremenda.
E’ stato quello il momento in cui ti sei detto ‘ok, sono anche io un pilota da podio’?
In verità no. Diciamo che l’ho sempre saputo o, meglio, che io c’ho sempre creduto. Dentro di me sapevo che se si fossero allineate le cose sarei riuscito a dimostrare di poter competere con i campioni già affermati, con quelli che arrivavano da tutta la trafila canonica di Moto3 e Moto2 e che avevano fisici diversi dal mio. Mettiamola così: a Silverstone nel 2015 ho piuttosto sentito che finalmente avevo potuto dimostrare agli altri che c’ero anche io. E che avevo, in qualche modo, ragione.
Dimostrare a chi?
Non mi riferisco a quelli della mia squadra, a chi lavorava con me o a chi c’è sempre stato, ma più al pubblico in generale. Fu un’emozione enorme, ma anche quella volta c’ho messo un po’ a godermela perché comunque era stata una gara strana, difficilissima e tremendamente impegnativa sia dal punto di vista fisico che mentale. Ero sul podio, avevo vicino Valentino Rossi, non uno qualsiasi, ma proprio Valentino Rossi, ma ero sfinito.

Quindi quel giorno non è cambiato niente? Non è scattato qualcosa in te?
Ero contento, è chiaro. Sei consapevole che ti è appena riuscito qualcosa che non è riuscito e non riesce a tutti, ma non è che c’è stato un click. Ho sempre creduto molto in me, anche se questo non significa che al primo posto ho cercato sempre di mettere quell’umiltà che serve a vedere che c’è chi fa meglio e a provare a raggiungerlo. Era così dieci anni fa e è coì anche adesso, nonostante chi fa meglio ha dieci anni di meno e chiaramente anche meno esperienza. Però se fa meglio fa meglio e c’è solo da mettersi lì a cercare di capire e imparare. L’ho già detto, sono tre giorni che ancora penso a come Nicolò faceva quella curva a Most.
Il fatto che Bulega e Razgatlioglu siano oggettivamente su un altro pianeta, ora, non ti fa sentire quindi solo contento di essere, mettiamola così, il primo degli umani?
L’ho già detto: si tende al meglio, non all’accontentarsi. Che non significa sminuire quello che si sta facendo, ma volerlo onorare. Manca ancora qualcosina, continuando a lavorare come stiamo facendo possiamo avvicinarci ancora un po’ e giocarcela. Sì, è vero che gli altri hanno moto ufficiali, sono giovani e tutte le motivazioni che uno può trovare, ma quando sei sopra la moto non è che ci pensi. Pensi a stargli vicino e, magari, a provare a mettergli le ruote davanti. Credo che questo sia anche l’atteggiamento per difendere il terzo posto nel mondiale, che può essere davvero un obiettivo alla portata. E’ un regalo che con Barni vogliamo farci.
Le continue limitazioni che toccano spesso le Ducati non sono un limite maggiore per te che fisicamente hai una stazza diversa da tutti gli altri?
Per quanto riguarda la velocità di punta sicuramente sì, perdo parecchio rispetto alla maggior parte degli altri. Però la Panigale è una gran moto, con una elettronica sopraffina e che gira veramente bene, quindi si riesce a compensare.
Tornando a Silversone, dopo la prima grande gioia del 2015, lì l’anno successivo sei tato protagonista di uno di quei salvataggi che Marc Marquez scansati…
(Ride, ndr) Di quelli ho dovuto farne parecchi. Queste braccia da zappatore di terra mi hanno spesso aiutato in questo e di situazioni in cui la moto voleva lanciarmi per aria ne ho riparate diverse. Ma non è che c’è una tecnica: provi a tenerla con tutta la forza possibile e qualche volta va bene. Andò così anche quel giorno in prova a Silverstone, solo che a volte prendi un contraccolpo talmente forte che poi ti fa male tutto come quando cadi.
Che circuito è Silverstone?
Per me è speciale, per ovvi motivi. Però sì, è uno di quei tracciati che lasciano ancora un po’ di spazio alla fantasia e che non si interpretano in un modo solo. E poi c’è sempre l’incognita del meteo lì che rende tutto più incerto e sospeso.
Il tuo pronostico per il GP di questo fine settimana?
I numeri, al momento, dicono che le Ducati e soprattutto Marc Marquez hanno qualcosa in più, ma a Silverstone può, come ho appena detto, succedere qualunque cosa. Sarà una bella gara da vedere e i pronostici servono a poco. Di sicuro il mondiale non è finito e non sarà una passeggiata neanche per Marc Marquez, come invece tanti sembrano voler sostenere: c’è più equilibrio di quello che si vede. Basta un niente e cambia tutto.
E, visto il periodo dell’anno e le recenti notizie, si parlerà tanto anche di mercato…
Quando è che non si parla di mercato in MotoGP o comunque nel motorsport e nello sport in generale?
Vero. Ma era un modo per commentare con te la notizia della possibile separazione tra Jorge Martin e Aprilia…
Diciamo che io so quello che sanno tutti, nel senso che le mie informazioni arrivano solo da quello che ho letto, quindi non ho il polso della situazione, non conosco scenari e contorni e posso commentare solo da semplice appassionato. Ci sono sicuramente rimasto male, ma non per un giudizio o cose così, semplicemente perché credo che tutto nasca dalla situazione di non serenità con cui Jorge, dopo tutto quello che gli è successo, s’è trovato a fare i conti. Gli è davvero capitato di tutto e ha avuto una sfortuna tremenda e questo, da pilota, mi dispiace da matti, perché penso di sapere come può sentirsi. Il resto, lo ripeto, sono notizie che ho solo letto. Spero che lui e Aprilia riescano a chiarirsi e magari a andare avanti insieme, ma, senza entrare nel merito, non so se sarà possibile: è molto probabile che qualcosa, se le cose sono andate come si legge, possa essersi rotto ormai proprio a livello umano.
Quale pilota vedresti meglio sull’Aprilia?
Jorge Martin. Sì, mi sarebbe piaciuto poterci vedere Jorge Martin. Uno perché significherebbe non aver fatto i conti con infortuni così brutti e difficili anche sul piano mentale e due perché il suo capotecnico è Daniele Romagnoli, con cui ha vinto il titolo mondiale in Pramac e che l’ha seguito in Aprilia: ha lavorato con me per molti anni e siamo legatissimi. E comunque Martin è un fenomeno, non è che diventi campione del mondo per caso, e Aprilia è una squadra di persone meravigliose che hanno già dimostrato di saper vincere: io li vedevo una bella coppia. E magari riusciranno a esserlo lo stesso. Vedremo dai…
Un altro nome, quindi, non vuoi farcelo?
Con molti dei piloti che sono adesso in MotoGP non ci ho corso contro, quindi non li conosco bene neanche tutti e, non essendo in quel mondiale da abbastanza tempo, non ho visto da vicinissimo il comportamento delle Aprilia in pista. Di sicuro quello è un gran bell’ambiente e un top rider lì ce lo vedo più che bene. Poi, come è noto, nel mercato può succedere di tutto, soprattutto adesso che c’è anche questa grande incognita sul futuro di KTM, che potrebbe far rimescolare ulteriormente le carte al di là di contratti in scadenza o meno e al di là della grande domanda se Martin e Aprilia si separeranno prima del tempo o no.
Ma non potrebbe essere che a Martin sia bastato quel mezzo fine settimana in Qatar con la RS-GP per capire che quella non avrebbe mai potuto essere la sua moto?
Sicuramente Martin è un pilota esplosivo, molto istintivo e sarà certamente così anche di carattere, ma non credo proprio che gli sia bastato quel mezzo fine settimana per farsi una idea del genere. Anche perché aveva un braccio in meno e mesi di allenamento persi e non è che lui e l’Aprilia in quel poco tempo che sono potuti stare in pista insieme siano andati piano. Anzi: considerato tutto sono andati forte.
Invece, visto che si parla tanto di Toprak e Bulega in MotoGP, a te che conosci ormai benissimo entrambi i mondiali facciamo la domanda inversa: quale pilota dell’attuale MotoGP potrebbe trovarsi bene davvero in Superbike?
Da un punto di vista sportivo un pilota che va forte in MotoGP va forte di sicuro anche in Superbike. Il manico è manico ovunque e in qualunque categoria, soprattutto un manico che è riuscito a fare risultati in MotoGP. Quindi se è di caratteristiche, stile di guida e tecnica che parliamo ti rispondo che più o meno tutti sono pronti al grande salto e pure con qualche garanzia di poter fare bene. Se invece parliamo di persone, carattere e modi allora ti rispondo Jack Miller. Perché lui è uno che c’entra poco, per il ragazzo che è, con il mondo imbalsamato della MotoGP in cui devi stare attento a tutto quello che dici, a come ti muovi, a come sei vestito e quelle cose lì. Ecco, Jack è uno che nel paddock andrebbe sempre in giro in costume e ciabatte e diciamo che in Superbike questo si può ancora fare. E’ un ambiente in cui si è molto più liberi di esprimersi per come si è.