Se nei giorni scorsi il mondo ha assistito all’elezione a sorpresa di Leone XIV al soglio pontificio, anche nel tennis sembra esserci l’intento di eleggere, nel silenzio dei corridoi, un successore importante. Non per un altare, ma per una panchina: quella di Jannik Sinner. Con l’annuncio ufficiale del ritiro di Darren Cahill a fine stagione, si è aperta la caccia al prossimo “capo spirituale” del numero uno del mondo. E come per il Papa, anche qui sono stati tirati in ballo i nomi più disparati: Ivan Ljubicic, Juan Carlos Ferrero, John McEnroe, il ritorno di Riccardo Piatti, addirittura Goran Ivanisevic. Tutti tranne uno. Forse il più autorevole. Forse il più inatteso: Carlos Moyá, l’ex coach di Rafael Nadal.

A rilanciare l’indiscrezione è stato il portale russo Bolshe, lo stesso che ha anticipato con successo il passaggio di Marat Safin nello staff di Rublev e la separazione tra Jasmine Paolini e Renzo Furlan. Secondo le loro fonti, Moyá sarebbe pronto a raccogliere l’eredità di Darren Cahill. L’idea dello spagnolo come nuovo mentore di Sinner è stata subito ripresa da Sofya Tartakova, giornalista sempre ben informata all’interno del circuito tennistico, aggiungendo ulteriore peso all’ipotesi. In verità, non si tratterebbe di un colpo di scena totale, il maiorchino non è del tutto nuovo nell’orbita dell’altoatesino. Un suo possibile approdo sulla panchina di Sinner era infatti già circolato ai tempi della separazione con Riccardo Piatti.
Neanche il tempo far circolare l’indiscrezione che ecco arrivare la smentita. Intervistato da Radio Nacional de España, il coach iberico ha tagliato corto con una battuta sarcastica: “Jannik? Fake como la copa de un pino”, ovvero: una bufala grande come una casa. Caso chiuso? Forse.
Se la notizia fosse vera, comunque, sarebbe un colpo da maestro. Da tennista, Carlos Moyá è stato uno dei grandi interpreti del tennis anni ’90: vincitore del Roland Garros nel 1998, finalista agli Australian Open nel 1997, numero uno del mondo nel 1999, capace di conquistare 20 titoli ATP, di cui 16 sulla terra battuta. Tra questi anche tre Master Series (oggi ATP 1000): Montecarlo, Roma e Cincinnati. Ritiratosi nel 2010, ha iniziato la carriera da coach con Milos Raonic, portandolo fino alla terza posizione del ranking mondiale e alla finale di Wimbledon nel 2016. Poi il passaggio nel team di Rafael Nadal, dove ha preso gradualmente il posto dello zio Toni, diventando il vero regista tecnico della fase più matura e tattica del campione maiorchino. Con lui, Rafa ha vinto 6 Slam, 6 Masters 1000, 4 ATP 500 e un 250, reinventandosi tatticamente: meno scambi lunghi, più aggressività, più rete, più variazioni. Moyá è stato l’uomo del cambiamento silenzioso.
Lo stesso Nadal gli ha riconosciuto il merito di aver rivoluzionato la sua preparazione in un momento della carriera in cui tutto sembrava cristallizzato. “Facciamo meno, ma in modo più specifico”, disse Rafa già nel 2017. Emilio Sanchez fu ancora più preciso: “Passare da scambi lunghi a punti brevi è quasi contro natura. Ma tutto viene dal lavoro tecnico, dal servizio alla posizione in campo, fino all’uso delle volée e delle palle corte”. Un tipo di trasformazione che potrebbe adattarsi benissimo anche a Sinner, che già tende a comandare gli scambi ma ha ancora margini di crescita sul piano della varietà, del gioco a rete e nella gestione della terra battuta.
In più, tra Moyá e Cahill c’è un’altra somiglianza importante: entrambi lavorano in silenzio, lontano dai riflettori, senza proclami. Proprio lo stile che piace al team di Jannik, dove contano lavoro e buon umore. Sarà lui il prossimo cardinale eletto alla panchina dell’altoatesino? Per ora, la risposta è un no secco. Ma in tempi di fumo bianco e sorprese dall’alto, conviene non fidarsi troppo delle prime smentite.
