E’ stato il grande vecchio della MotoGP, il capotecnico davanti a cui tutti abbassavano gli occhi in segno di rispetto e se c’è un pilota che gli deve un grazie più grande di tutti gli altri, quel pilota è Jorge Lorenzo. Hanno vinto insieme e non è un caso se per una delle primissime puntate di Duralavida, il programma che il cinque volte iridato ha lanciato su Youtube, l’ospite di punta è proprio Ramon Forcada. E lui, adesso che di fatto è fuori dal giro che conta e ha l’autorevolezza per poter giocare il ruolo del pensionato che può permettersi di dire tutto, non s’è fatto scappare l’occasione per togliersi un macigno dal cuore.
Un macigno che porta dentro dal 2020, quando era seduto a fianco a Franco Morbidelli nel box e per poco non si mettevano in tasca un titolo mondiale nonostante una moto vecchia e un team totalmente privato. Per quasi quattro anni abbiamo pensato che laurearsi vice campione del mondo per il Morbido in quell’anno lì sia stato un mezzo miracolo. Invece è un grande rammarico. Perché a decidere tutto non è stata la pista, la superiorità di Mir su una moto ufficiale e nemmeno gli errori eventualmente fatti dalla squadra o dal pilota, ma la pressione delle gomme e la cultura giapponese.
Detta così più suonare ingarbugliata, ma Ramon Forcada spiega tutto alla perfezione (intorno al minuto 34 del video che pubblichiamo qui sotto). “In quegli anni si cominciava già a parlare di piloti che correvano con la pressione delle gomme molto bassa”. Non c’era una regola come adesso, un limite fissato, ma c’era una soglia di sicurezza consigliata di volta in volta da Michelin, in base ai circuiti, alle condizioni dell’asfalto e alle temperature. “A Aragon con Morbidelli, ad esempio, eravamo a 0,01 bar dalla pressione consigliata e vincemmo - aggiunge - Michelin ci disse che andava bene e che era perfetto, perché la loro era solo una raccomandazione. Il direttore tecnico, la Michelin, tutti, dissero che era perfetto perché comunque la pressione era rimasta costante. Ma c’era qualcuno che non era d’accordo: i giapponesi pensavano che non fosse elegante perché eravamo stati sotto al limite suggerito”. Dice “i giapponesi” e, quindi, non è abbastanza chiaro se si riferisse ai vertici di Yamaha, oppure agli uomini di Suzuki, che era con Mir la competitor diretta di Morbidelli.
“In gara – sentenzia Forcada – non puoi andarci con un fiore in mano, perché se gli altri ci vanno armati devi essere armato pure tu. Il problema dei giapponesi è che la loro mentalità è totalmente diversa da quella degli europei. E in particolare degli italiani. La mentalità di Ducati, o comunque degli italiani è che se le cose non sono proibite allora sono permesse. I giapponesi invece dicono dicono che, se le cose non sono proibite ma consigliano di non farle, per gentilezza e educazione non vanno fatte”. Una premessa per spiegare quello che successe poi nella gara che Forcada considera maledetta e che ritiene sia stata quella in cui Franco Morbidelli ha perso un titolo mondiale che invece si poteva vincere.
“Arrivò – racconta ancora – la seconda gara di Aragón: tutto uguale. Morbidelli era motivatissimo, ma i giapponesi arrivarono e dissero 'ora faremo noi la pressione perché voi barate. Fate attenzione'. Hanno aumentato la pressione, siamo andati più in alto di 0,15 bar e Franco è arrivato settimo. Lì abbiamo perso il Mondiale. I giapponesi hanno un ego, e quando c’è di mezzo la competizione e il modo di affrontare l'altro, puoi spingerti al massimo a fare come l’altro, o niente”.