Insieme ai bollettini medici quotidiani sullo stato del virus e alle notizie sui vaccini in arrivo, una delle questioni d’attualità più trattate in queste ore è quella relativa al caos nella sanità calabrese: dopo le dimissioni del commissario Saverio Cotticelli e quelle del suo successore Giuseppe Zuccatelli, la Regione del Sud Italia nelle scorse ore ha vissuto un altro triste capitolo di questa storia ai limiti del grottesco con il rifiuto, dopo poche ore dall’assunzione dell’incarico, di Eugenio Gaudio. E il motivo è ancora più grave: a moglie Ida Cavalcanti si sarebbe rifiutata di trasferirsi a Catanzaro.
Il semplice accostamento del nome del capoluogo calabrese all’evidente difficoltà di trovare una persona adatta a ricoprire un ruolo così delicato ci ha fatto immediatamente pensare a Massimo Palanca (e a quanto pare non siamo stati i soli), l’ex calciatore che ancora oggi è considerato il simbolo del Catanzaro che brillava in Serie A a cavallo degli anni ‘80. Per i più giovani: una persona squisita, il talento marchigiano che segnò 37 reti in massima serie con i giallorossi, ma anche 13 gol in carriera direttamente da calcio d’angolo, una caratteristica che lo ha universalmente riconosciuto come il migliore di sempre in questa speciale disciplina nella storia del nostro calcio. E allora abbiamo deciso di intervistarlo: al telefono sembra emozionato quando gli spieghiamo perchè abbiamo deciso di contattarlo, così inizia subito a ricordare i suoi trascorsi al sud:
“Io sono andato per la prima volta a Catanzaro nel 1974 e ancora la frequento, ho ancora una casa lì e vado una o due volte l’anno a trovare gli amici, per me è la seconda casa e li ho i migliori affetti, mio figlio è nato lì, perciò sono molto legato a Catanzaro e a tutta la Calabria. Vederla ora in quelle condizioni, rifiutata da un commissario e dalla sua signora mi ha dato molto fastidio.”
Se ipoteticamente avesse la possibilità di dire qualcosa alla signora Gaudio, cosa le direbbe?
“Gli elencherei tutte le cose positive che ci sono in Calabria, anche se non è tutto rose e fiori come d’altronde in tutte le città del sud, rifiutare un incarico istituzionale mi sembra che sia stata una mossa scorretta verso la Calabria e i calabresi. Mia moglie, invece, in Calabria ci tornerebbe subito. Poi penso alla recente pandemia: a parti invertite se tutti i morti del Covid fossero stati al sud e non a Bergamo i commenti e il contorno sarebbero stati diversi. Le città del sud sono sempre le più penalizzate, e vengono rivalutate solamente in estate quando ricevono i turisti in vacanza. La gestione della sanità in Calabria non è semplice e non è un caso che la Calabria sia commissariata da 11 anni, comunque a me la scusa della moglie di Gaudio sembra superficiale su cui ci si scherza sopra, spero ci sia qualcos’altro sotto.”
Come ha trovato Catanzaro quando è arrivato all’inizio della sua avventura calcistica?
“Avevo appena 21 anni e non sapevo neanche dove fosse, sono dovuto andare a cercare sulla cartina geografica. Durante il primo anno ho avuto un po’ di difficoltà legate all’impatto con una realtà nuova, soprattutto dal punto di vista sportivo. Ma per fortuna ho instaurato delle amicizie che ho ancora oggi. La gente del sud ha un concetto straordinario dell’amicizia, mi hanno dato un aiuto eccezionale senza il quale non sarei rimasto lì più di una stagione, e soprattutto non avrei potuto contribuire alle sorti calcistiche del Catanzaro. E invece oggi continuo a ricevere tantissimi attestati di stima, ed è più gratificante averli da chi si ricorda di me come persona che non come calciatore.”
Tra questi suoi amici c’è Claudio Ranieri, giusto?
“Si, siamo arrivati insieme, insieme ad una decina di giovanotti arrivati quella stagione. (Palanca se li ricorda tutti!). E’ nata un’amicizia che si è cementata negli anni, ci sentiamo sempre anche adesso e stiamo insieme quando abbiamo la possibilità, abbiamo anche un gruppo WhatsApp.”
Torniamo subito al suo legame con la Calabria.
“Ho letto che sui social è venuto fuori che mi vorrebbero come commissario in Calabria, e mi hanno chiamato in tanti oggi, e come sempre ho dato la possibilità ad andare. Questo è per via dei rapporti che ho avuto coi tifosi e con la gente, anche se mi dispiace che dopo il 1990, quando ho smesso col calcio, nessun presidente ha più alzato la cornetta del telefono per chiamarmi e chiedermi se ero interessato a rimanere in la società. Oggi ho 67 anni e non ci penso più, sono tornato a Camerino e penso solo alle mie nipotine. Però ai tempi sarei voluto tanto rimanere, per fare il tramite tra squadra, società, tifoseria e istituzioni.”
Ma a parte questo screzio continua a seguire il Catanzaro?
“Ma certo, sempre. Spero sempre che torni dove gli spetta. Sono nove anni che arriva ai play-off e non succede niente, e invece poi vedo altre squadre come Crotone, Cosenza e Reggina che stanno sopra al Catanzaro che è stato l’orgoglio calcistico della Calabria per anni. Anni fa i tifosi di queste squadre venivano a vedere il Catanzaro, così come i tifosi siciliani, lucani e pugliesi. Catanzaro era l’ultimo baluardo della Serie A.”
E in Serie A, è vero che simpatizzava per la Juventus?
“Ma no, per carità, era una cosa da bambini. Adesso seguo solo le squadre allenate dal mio amico Claudio (Ranieri). E tifo Catanzaro in ogni categoria.”
E va allo stadio?
“Ci sono tante squadre vicino casa (il Matelica ad esempio, gioca a soli 20 km), ma non mi attirano le partite dei ‘grandi’. Invece sarei capace di andare fino a Milano in auto per vedere le partite dei giovanissimi, ora faccio il selezionatore della rappresentativa delle Marche. E seguo sempre la Nazionale, forse perché noi di una certà età siamo più legati alla squadra azzurra.”
E anche perchè la allena un suo conterraneo come Roberto Mancini?
“Sì, è vero. Sta facendo un ottimo lavoro coi giovani. Il mio preferito è sicuramente Nicolò Barella, mi sta impressionando tantissimo anche se preferisco la sua versione in Nazionale a quella dell’Inter.”
Un giocatore che le assomiglia?
“Anni fa quando facevo l’osservatore per il centro Italia mi impressionò un giocatore visto a Parma, rapido, gran sinistro e molto scaltro: Giuseppe Rossi. Mi rivedevo molto in lui.”
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