Un casco tutto rosso e un dinosauro appiccicato là. A vederlo così si potrebbe dire che Fabio Di Giannantonio, accortosi mezz’era prima di essere a Misano, si sia trovato nella condizione di quello a cui restano solo 29 minuti per fare qualcosa e evitare di presentarsi senza qualcosa di speciale in testa. La verità, però, è un’altra e racconta di una profondità differente e pure di una grafica pensata da lontano. Probabilmente da tutta la vita. Ecco perché il dinosauro sul casco rosso di Fabio Di Giannantonio a Misano è senza dubbio il messaggio più potente di questo fine settimana della MotoGP e, probabilmente, anche nella top five di tutta la stagione. Perché racconta con un colore solo, il rosso, e un dinosauro “in posa plastica da giocattolo per ragazzini”, che c’è una sola valuta in grado di comprare i sogni: il sacrificio. Che non è, come hanno insegnato i grandi classici del passato, semplice etica del lavoro, ma una trasformazione dell’anima attraverso il sudore.
Fabio Di Giannantonio è tra quelli che hanno trasformato prima di tutto la propria persona, fino a arrivare proprio all’anima. Con il lavoro che non è più pena fine a se stessa, ma costante necessaria e imprescindibile per orientarsi anche lì dove sarebbe fin troppo facile perdersi: dentro i sogni. Soprattutto dentro quelli enormi veramente e esclusivi al limite del disumano. “Avere il design della mia prima minimoto sul casco è qualcosa che mi tocca davvero il cuore- scrive Diggia nelle foto appena pubblicate su Instagram - È il mio modo di portare quel bambino di 6 anni sulla moto dei suoi sogni, la MotoGP”. Sì, quel bambino che cominciava a correre su una motina rossa e che sognava di stare esattamente dove una ventina d’anni dopo s’è ritrovato: sopra la migliore delle moto rosse, in mezzo ai più veloci del mondo e nel box di un certo Valentino Rossi. E basta guardarlo meglio, quel casco, per accorgersi che Fabio Di Giannantonio ci ha scritto sopra anche una lettera a quel bambino che era quando aveva sei anni. Però prendete un fazzolettino o tirate giù gli occhiali da sole, perché c’è da commuoversi. “Sarà un lungo viaggio. Pieno di sogni, storie, ricordi. Momenti brutti e altrettanti belli. Conoscerai persone incredibili che ti cambieranno la vita e ti segneranno come uomo e pilota. Sarà tosto, ma sarà dannatamente bello. Divertiti. Mamma e Papà ti hanno appena regalato la cosa più bella della tua vita”.
Senza scomodare paragoni pesanti, ma quelle righe avrebbe potuto firmarle Pindaro, poeta dei vincitori, che nelle Olimpiche celebrò la gloria non come fiore da ammirare, ma come frutto da coltivare prima di gustarne il sapore vero, che non è quello specifico del frutto, ma quello di tutto ciò che c’è stato prima: “la vittoria e la virtù conquistate nella gara rimangono un patrimonio umano. Il premio è il coronamento dello sforzo e l’avvicinamento all’eccellenza”. Sì, Fabio Di Giannantonio a Misano, con un semplicissimo casco rosso e un dinosauro, ha pitturato la tessera moderna di un mosaico antichissimo che da sempre compone lo stesso messaggio: non delegare la realizzazione a circostanze favorevoli o a facili epifanie. I grandi obiettivi richiedono la noia del mattino presto, le giornate che si accumulano senza applausi, la sfiducia di chi ti dice che non ce la farai mai, le grandi paure di quanto tutto sembra finire e, come diceva Ferruccio Lamborghini, la pazienza artigiana, ma in quantità industriali. Quella lettera al bambino che sognava, da parte dell’adulto che quei sogni li ha realizzati è una poesia dura. Ma che regala bellezza: la trasformazione progressiva di un sogno in opera. Chi aspira a qualcosa che duri impara a misurare il tempo non col telefono, ma con il ritmo del fare; accetta la solitudine come officina; comprende che il prezzo pagato in ore è il biglietto d’ingresso al grande spettacolo dei risultati. E, pensateci bene, in un’epoca di scorciatoie e narrazioni performative, un Pindaro che parla in Romanaccio e va forte veramente con le motociclette è proprio quello di cui avevamo bisogno.
Senza nulla togliere, sia inteso, alle trovate di tutti gli altri in questa sfilata di caschi di un sabato mattina a Misano, nella pista che per tutti è la casa al mare che si alterna a quella casa in collina che invece è il Mugello. Una casa che, ad esempio, Pecco Bagnaia s’è letteralmente messo in testa riproducendo le grafiche delle vie di fuga del Marco Simoncelli World Circuit, ma nascondendoci nel mezzo qualche simbolo che invece appartiene a lui, alla sua storia, alla sua carriera, alla sua vita di uomo prima ancora che di pilota. Franco Morbidelli, invece, s’è mantenuto sul romantico, con “una Misano da sogno”, ma il merito di averci fatto ridere, dopo che Di Giannantonio ci ha fatto piangere, è tutto di Marco Bezzecchi, che s’è presentato in pista, centrando anche la pole position, con un GARBez. Sì, il casco dell’italiano dell’Aprilia sembra di legno e è il geniale tributo al film di Aldo, Giovanni e Giacomo, “Tre uomini e una gamba”, con tanto di citazione rivisitata: “Il mio team con 30.000 lire lo faceva meglio“.