Cinque a zero. Una disfatta abbastanza imprevedibile, la più pesante nella storia della Coppa Campioni. Con un’Inter umiliata, mai capace di sviluppare quel gioco che, anche in virtù di qualche evento in odor di miracolo (Acerbi che fa 3-3 col Barcellona a San Siro), l’aveva portata a una meritata finale di Champions League. Una cavalcata, quella dei nerazzurri (una sola sconfitta nel torneo contro le cinque del Paris Saint-Germain), interrotta brutalmente da un PSG tutto talento ben gestito, gioventù per nulla bruciata e sincronismi perfetti che ha dominato la finale di Monaco di Baviera. Ti accorgi che la serata è da incubo puro quando lo “zio” Beppe Bergomi, in telecronaca, descrive una buona iniziativa del subentrato Zalewski con un surreale “questo ragazzo è vivo”. E gli altri? Calcisticamente a pezzi. Inter che ne prende quattro senza mai essere stata in partita. Una partita già conclusa al ventesimo, dopo l’uno-due spaccatutto firmato da Hakimi (12’) e Doue (20’).
Ma qual era la premessa alla finale tedesca?
Il PSG arriva in finale – senza Kylian Mbappé, al suo primo anno Real – con la reputazione di Premier-killer (fatte fuori, in sequenza: Liverpool, Aston Villa e Arsenal). C’è Luis Enrique a guidarli, dieci finali su dieci vinte in carriera da allenatore, uno che il triplete l’aveva già conquistato, nel 2015, con il Barcellona, quando nell’atto definitivo della Champions sconfisse la Juventus. Dall’altra parte un’Inter abbastanza simile a quella che due anni fa uscì con più di un rammarico da Istanbul (finale persa di misura, uno a zero, col Manchester City). L’Inter di Simone Inzaghi, uomo appeso a un doppio verdetto che sa di paradiso o inferno. In paradiso se riporta a casa la coppa dalle grandi orecchie, aspramente criticato (per dirla morbida) se terminasse questa stagione infinita, finora scintillante (Bayern e Barcellona eliminati sulla via di Monaco), con zero tituli. Sottofondo urlante e percussivo della sfida, il pericolo ultras di cui MOW ha profusamente parlato.
Poi arriva la realtà, violenta e senza precedenti
La realtà, letale, è quella che ha visto il PSG, a partire dallo scorso gennaio – con l’arrivo di Khvicha Kvaratskhelia (che stagione! Scudetto col Napoli e triplete coi parigini) –, cambiare vertiginosamente marcia. Così a Monaco, dopo Hakimi e Doue nel primo tempo, i secondi quarantacinque minuti sono ancora più devastanti dei primi quarantacinque per Barella, Lautaro, Acerbi e soci. Nessun interista vende cara la pelle mentre i ragazzi in blu, divinamente diretti da Luis Enrique, devastano tutto. Doue, ancora, al 63esimo. Kvara, quindi, dieci minuti dopo. Arriva anche Mayulu, all’87esimo, a rendere la pillola parigina la più amara possibile. Quindi cosa stiamo raccontando, ora, in fondo? Stiamo raccontando una strana sessione di allenamento del PSG. Che chiude la stagione con tre trofei in bacheca sgambando contro una squadra che ha disputato un torneo a tratti entusiasmante (il 4 a 3 col Barcellona a San Siro resta comunque nella storia), ma che crolla, totalmente, sul più bello. PSG nettamente più forte, ma Inter che non c’ha capito mai nulla. Non ha mai espresso il proprio gioco, non ha mai sporcato i guantoni di un Gigio Donnarumma inoperoso. E il presidente Beppe Marotta? Quattro finali perse su quattro – due con la Juventus, due con l’Inter –, una sorta di Luis Enrique al contrario. Ora parliamo pure del futuro di Simone Inzaghi, ma la realtà è che una batosta simile rischia di diventare un peso psicologico profondamente condizionante per chiunque.
