Tre macchine da tre, io l’unica donna in quella che sembra una banda di criminali in piena regola. L’obiettivo è uno solo: arrivare a Monaco senza impazzire. Cerchiamo di parlare di tutto tranne che di Inter. Politica, macchine (non ne capisco niente ma improvvisavo), cibo. Tutto, ma non Inter. Social chiusi per non vedere dichiarazioni che avrebbero potuto farci impazzire, o deprimere, o anche solo lontanamente sperare. Partiamo mettendo Waze, io in macchina con il mio grande amico Antonio (si deduce che mi vuole bene dal fatto che non me lo dice mai e mi sfotte solo per il 99% delle nostre conversazioni): 7 ore. Ma come 7? Non dovevano essere 5 e 30? Vabbè, partiamo. Coda. Allora io che non guido mai prendo Google maps e cerco un percorso alternativo. C’è, lungo e passa per la Svizzera. Intanto però per MOW dovevo scrivere di tennis, con Cosimo e Matteo che comunque i pezzi li volevano, ma non prendeva una sega. Quindi vai di hotspot che si staccava ogni 3 secondi, e mentre scrivevo di Djokovic, Musetti, Sinner, avevo solo in mente il volto di Inzaghi, dei miei, del campo. Ci siamo fermati una sola volta, in Svizzera nel nulla cosimico. Giusto il tempo di mangiare e salire di nuovo in macchina. Arriviamo in hotel, ci buttiamo al volo sotto la doccia. Io avrei voluto cambiarmi con calma ma potete anche solo lontanamente immaginare che star dietro ai ritmi di un branco di uomini che non vedono l’ora di andare a mangiare sia praticamente impossibile per una donna. Con Antonio che ogni due secondi mi diceva “dai sbrigati”, l’ansia di incontrare i tifosi del PSG con cui avremmo rischiato di litigare, la fretta di andare a cercare i nostri ragazzi in giro per Monaco.

Prendiamo un taxi e tutti quelli che ci sono capitati in queste 12 ore sono stati uno più surreale dell’altro. Macchine che in Italia non sarebbero mai nemmeno lontanamente omologate. Finché non arriviamo per caso, dopo una serie di peripezie al locale accanto alla location della cena della Uefa. E da lì sono passati tutti, vecchie leggende, i volti del calcio di oggi, c’erano anche Chiellini e Galliani. Non avete idea di quanto gli interisti fossero nervosi per la presenza di loro due. Questo nonostante Adriano avesse detto chiaramente che avrebbe tifato Inter. Ma no, per gli interisti non ci devono essere altri colori al di fuori del nero e dell’azzurro soprattutto nella notte prima della finale di Champions. Poi abbiamo raggiunto il mitico Fabrizio Biasin in centro, abbiamo chiacchierato sul futuro di Inzaghi, discusso con chi lo criticava, e fatto fare fioretti a chiunque incontrassimo. È stata una notte che si è conclusa alle due con il ritorno in albergo. Nel letto vicino a me c’era Marco, siciliano DOC e interista malato. Aveva sonno ma l’adrenalina era troppa. Per cui abbiamo cominciato a sentire telecronache di Caressa, a vedere la mappa dello stadio, a cercare di immaginarci come sarebbe stato. Le abbiamo provate tutte per dormire, ma il sonno non ha prevalso. Nonostante lui si dichiari un fottuto dormiglione alle sette era in piedi e la prima cosa che ho sentito appena sveglia è stata la voce di Fabio Caressa nella telecronaca del ritorno di Barcellona. Tutta Monaco parla una sola lingua. E allora poi abbiamo preso un van tutti con lo stomaco chiuso, i volti tesi e quasi il terrore di affrontare l’argomento. Schierati, alcuni con l’outfit totalmente nero azzurro, altri in borghese, tentando di rispettare le tradizioni di quando si va a San Siro. Si respira un’aria magica che è difficile descrivere, perché anche le leggende che incontri per strada, anche gli ex calciatori non hanno il solito volto tranquillo. Nessuno parla di risultati, basta uno sguardo con Fabio Galante, piuttosto che con Cordoba per capirsi. È strano che l’Inter sia il protagonista senza però essere quasi nominato. Parlano i cori, parla la voglia della gente che viene da tutta Italia anche senza avere un biglietto pur di respirare l’aria attorno all’Allianz arena. E allora eccomi qui che mentre scrivo sto percorrendo la zona pedonale, dove si sono radunati tutti i tifosi interisti e voglio dire infinitamente grazie a questo popolo nerazzurro per farmi sentire amata e per farmi sentire il sapore di casa, anche a centinaia di chilometri di distanza dallo stadio Giuseppe Meazza.
