Altri ludopatici? È bene porsi subito l’interrogativo. Prevenire una delle possibili pieghe che potrebbe prendere il dibattito pubblico sulla nuova vicenda di calciatori e scommesse. Tanto più che la vicenda è nuova per modo di dire. Essa è collegata a quella che poco più di un anno fa aveva inferto l’ennesima mazzata alla credibilità del calcio e dei suoi protagonisti, coinvolgendo alcuni dei soggetti che ritroviamo nelle cronache di queste ore. E proprio il ricordo del framing prevalente che in quella circostanza venne usato, la narrazione incentrata sulla dipendenza da gioco d’azzardo come problema sociale e non sulle gravi responsabilità personali, che deve ammonirci. Ripetere quell’incorniciamento dei fatti sarebbe un segnale anche più grave di quanto lo siano i fatti in sé. Tanto più che, stavolta, i fatti compongono una visione d’assieme persino più grave di quanto fosse un anno fa.

L'ozio e i vizi
Tornando ai fatti di oltre un anno fa, dopo lo shock iniziale si scatenò un’ondata di pietismo e di perdonismo che repentinamente rimpiazzò l’atteggiamento d’inflessibilità e la richiesta di pene severe. A ciò diede manforte il rito del pentimento pubblico da parte dei calciatori, uno spettacolare lavacro fatto di esibizione della fragilità personale e disponibilità a impegnarsi in attività socio-educative. Mosse che hanno permesso di ottenere gli effetti immediati e auspicati: solleticare le riserve di pietismo presso un pubblico sempre più propenso a reagire emotivamente e non razionalmente; e mettere in moto la macchina del restauro dell’immagine pubblica, che dalla prestazione delle attività di responsabilità sociale trae il carburante più pregiato. Operazione riuscita, dato che i due calciatori maggiormente colpiti (sia in termini di immagine che di sanzione sportiva), cioè Niccolò Fagioli e Sandro Tonali, sono stati pienamente recuperati sia sui campi da gioco che fuori. In fondo, si diceva di loro e di qualsiasi altro calciatore che incappi nel vizio della scommessa illegale, sono ragazzi cresciuti troppo in fretta: guadagnano cifre esagerate e lo fanno troppo presto, si ritrovano scaraventati dentro lunghe giornate di solitudine, devono riempire il tempo in qualche modo pur di non annoiarsi. Perciò scommettono. Questo si arrivò a sostenere. E chi lo sosteneva, ci credeva pure. Solo una questione di ozio e vizio. E invece ora emerge un quadro completamente diverso.

Complici di un crimine organizzato
Come sempre in questi casi bisogna attenersi a una premessa. Siamo nelle primissime fasi di un nuovo caso giudiziario su calcio e scommesse. Soprattutto, siamo nelle primissime fasi della sua rappresentazione pubblica. Che sono anche le fasi più impressioniste. Fatte di indiscrezioni lanciate lì un po’ all’ingrosso, di rivelazioni che portano a rimarcare gli aspetti più notiziabili, di “adescamento” del pubblico con preavviso di ulteriori rivelazioni e con lo scopo di mantenerne desta l’attenzione in vista delle puntate successive. L’esperienza insegna che poi, col passare dei giorni, i fatti vengono ricondotti entro dimensioni più consone, alcuni personaggi che sulle prime erano stati tirati in ballo escono di scena, e anche le posizioni dei soggetti maggiormente esposti vengono ridefinite, e le loro responsabilità temperate. Dunque, è proprio in questa prima fase che bisogna andare cauti coi commenti sulle posizioni personali. E tuttavia, detto ciò, il quadro che emerge è molto più grave di quanto fosse un anno fa. Perché qui si parla di un grado del coinvolgimento con le associazioni a delinquere che deve destare allarme.
Si racconta infatti, nell’ordine: di calciatori che cominciano a scommettere (usando siti illegali, cosa che bisogna tenere sempre presente) credendo di far leva sul loro prestigio pubblico, grazie al quale ottengono un iniziale credito illimitato; che proprio questa loro acerba vanità li porta a non cogliere di essere stati attirati dentro una fossa, scavata dalle loro stesse mani; che presto si ritrovano a cumulare un debito esorbitante e a scontare la fine del credito illimitato; che per pagare il debito compiono pratiche illecite, come il falso acquisto di beni di lusso; e che infine, per alleviare il debito (ma anche per riottenere credito), s’impegnavano a procacciare all’organizzazione, fra i loro colleghi calciatori, nuovi clienti e dunque nuovi possibili debitori. E quest’ultimo è davvero l’aspetto più grave della questione: per tirarsi fuori dai casini bisognava tirarci dentro qualcun altro. Per questo, stavolta, è bene lasciar perdere ogni atteggiamento perdonista. Chi ha sbagliato deve pagare. Senza sconti.
P.S. Fra le tante cose sconfortanti di queste ore, c’è la narrazione delle testate sportive secondo cui i calciatori coinvolti non correrebbero rischio di sanzioni da parte della giustizia sportiva. E già, perché il problema sarebbe questo, vero?
