Max Verstappen aveva iniziato a dirlo nel giovedì dedicato alle interviste, appena arrivato a Suzuka, e da quel momento non ha più smesso: "Singapore è stata una parentesi, il resto sono stronz*ate". Nessuna paura Red Bull, nessuna preoccupazione per l'introduzione delle nuove direttive FIA che - secondo qualcuno - avrebbero messo in crisi il dominio della squadra, nessun dubbio sui risultati da portare a casa in Giappone: "Una gliela possiamo anche concedere - aveva detto Max ridendo - ma ora basta, torniamo a vincere noi".
E così è stato. Perché l'olandese d'oro di questa Formula 1 ha rimesso insieme le cose, ricostruendo il proprio dominio in pista con un weekend perfetto dal venerdì fino alla domenica, correndo come uno che se non corre muore. Come se lui, leader incontrastato di questi anni nella massima serie e di questa stagione che porta soltanto il suo nome, avesse bisogno di dimostrare ancora qualcosa. Ma è anche questo, Max Verstappen. Il nervosismo davanti alle domande dei giornalisti che, in assenza di un reale confronto in pista, cercano di strappargli storie e preoccupazioni, dubbi e domande.
Ma Max non cede, non arretra di un centimetro. Gli anni complessi della sua crescita, l'arrivo in Formula 1 a soli diciassette anni, le stagioni a combattere per emergere e la forza mentale dimostrata in un mondiale complesso come quello del 2021, ci hanno consegnato il Verstappen di oggi, un ragazzo che sa esattamente come muoversi nel mondo della velocità.
Suzuka è roba sua, ancora prima che della Red Bull. Il team con il successo di Max porta a casa il titolo costruttori, festeggiando sul podio con un Chris Horner particolarmente emozionato davanti al compimento di un miracolo sportivo realizzato quest'anno (con buona pace di tutti quelli che, per colpa di questo miracolo, si sono annoiati davanti alla televisione), ma è Max al centro della festa. Sergio Perez c'è ma in pista in Giappone si parla di lui soltanto per errori e incidenti, penalità e sostituzioni e, alla fine, per un ritiro obbligato. L'olandese, subito dopo il crollo del messicano al centro di questa stagione, non aveva nascosto la propria indifferenza, spiegando che - visti i risultati e la superiorità della macchina - sarebbe riuscito a vincere il titolo costruttori anche da solo.
E se è vero che i punti portati a casa dal messicano sono stati fondamentali per raggiungere l'obiettivo già a Suzuka, a casa Honda, è altrettanto vero che anche da solo Verstappen avrebbe potuto chiudere l'anno con due mondiali tra le mani. Il secondo, quello piloti, potrebbe arrivare già durante la spint race del sabato in Qatar, durante il prossimo appuntamento con la Formula 1, mettendo definitivamente la parola fine su questo campionato senza rivali.
Verstappen bacia il suo ennesimo, strano, trofeo e ride guardando Chris Horner, sul podio con lui. C'è ammirazione, gratitudine e affetto, in quei sorrisi. C'è lo strano legame che unisce due uomini duri, spesso odiati, quasi sempre bruschi e intrattabili davanti alle telecamere. C'è il Max che in pochi vedono, annebbiati dalla patina che ricopre il campione distruttore, del ragazzo con il ghigno saccente di chi sa perfettamente dove si trova e perché è lì. C'è il ragazzo che tra pochi giorni compirà 26 anni, il bambino prodigio, il vero fautore di questa egemonia Red Bull. In una storia che porta solo e soltanto il suo nome.