Le guardi e pensi alle moto di una volta, con quel numerone lì sulla coda che fa tanto “quando c’erano quelli suonati veramente” e quelle linee nette che ricordano l’Atari o quei videogiochi di quando eravamo bambini. Le Ducati Desmosedici del Team Mooney VR46, come da copione, hanno fatto storcere il naso a tanti, perché magari da Valentin o Rossi, che è stato pure il re dei colori e delle stravaganze grafiche in carriera, ci si aspettava qualcosa di più eclettico. E invece chi ha disegnato le livree di quelle Desmosedici ha avuto in testa sostanza e nostalgia. Sostanza, perché alla fine dei conti il compito di una livrea è rappresentare nella maniera più diretta e riconoscibile possibile chi ci mette gli sghei, e nostalgia perché in quell’accostamento tra due gialli (si, ok, uno è un ocra), il grigio e il nero, sembra esserci la nostalgia per quelle bestie indomabili che erano le moto da corsa di una volta. Con la chicca da lacrimoni del numero sul codone.
Liberi di prenderci per matti, ma in quelle due Desmosedici sfornate a Borgo Panigale e decorate a Tavullia ci vediamo un po’ la Suzuki di Sheene, la Yamaha di Roberts e pure qualcosa della prima Honda di Valentino Rossi, con quelle linee decise a puntare sul davanti e a rendere l’idea di qualcosa che ha un dovere solo: andare forte. Sostanza, nostalgia e, magari, pure un messaggio di continuità in un giallo che diventa ocra e un nero che diventa grigio, come a voler sfidare la convinzione che i toni di uno stesso colore non dovrebbero mai finire affiancati. Invece, a volergli dare un significato più potente (quasi complottista, ma in buona), viene da vederci il giallo di Vale che si evolve in un colore che non è lo stesso e che magari è pure più cupo, ma che ha comunque una sua luce e un suo senso di esistere, così come nel nero di una carriera sportiva arrivata al capolinea, può finirci il bianco di una tela tutta da dipingere, contaminandolo fino a farne un grigio che non sarà il colore della felicità, ma non è nemmeno quello del buio.
Quattro toni, due colori, che sì sono dettati dalla commistione di due realtà che si uniscono, la VR46 e Mooney, ma che sono finiti insieme sulle livree di una moto in maniera decisa, marcata, se vogliamo anche distinta, ma indirizzate nello stesso verso: l’avanti. L’avanti che arriva lo stesso come il futuro, che poi è la stessa cosa, con in più la volontà di un indirizzo o di una semplice (ma doverosa) speranza: avanti e nel miglior modo possibile. Il resto (che poi è quello che conta veramente) lo ha fatto Mamma Ducati, con quelle appendici ovunque e forme che ormai si discostano un bel po’ da quelle delle moto che usiamo la domenica sui passi perché, come ha già detto Guido Meda proprio a difesa delle Desmosedici 2022, il compito di una MotoGP è andare forte, sfruttando anche l’aria e provando a domarla, e non certo ammaliare chi entra in concessionaria con la maledetta buona intenzione (che conosciamo bene tutti) di caricarsi di rate da qui alla vecchiaia.