Il mondo dello sport, soprattutto negli ultime due decenni, ha mostrato di avere pelo sullo stomaco, persino troppo: dal calcio all’automobilismo, per non parlare del movimento olimpico, un po’ tutti - e qui si parla di istituzioni, federazioni, associazioni ma anche club, dal Cio alla Uefa, dalla Formula 1 all’Uci - si sono consegnati anima e portafogli ai desiderata di regimi autoritari o, comunque, ben lontani dall’idea occidentale di democrazia. Non è un caso se il prossimo Mondiale di calcio si terrà in Qatar e l’ultimo si era tenuto in Russia, se la Dakar si svolge in Arabia Saudita, se una fetta significativa della stagione della Formula 1 si disputa tra l’area del Golfo Persico (ma ai tempi dell’apartheid si corse a lungo anche in Sudafrica) e l’Oriente, pandemia permettendo: money matters, e allora si può agire in spregio alla neutralità politica che lo sport generalmente rivendica per sé ma sulla quale spesso deroga perché, di fatto, consentire a un Paese di organizzare un grande evento equivale a un riconoscimento di affidabilità nei confronti di chi governa. È lo sportwashing, bellezza: costa qualcosa, ma rende tantissimo.
Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, tuttavia, nelle ultime ore l’assopita coscienza delle istituzioni sportive sembra però dare segni di risveglio. Magari effimeri, certamente contestuali, ma in fondo almeno su un atto di guerra in un’area rilevante per il business sportivo qualche movimento c’è. È di venerdì la notizia dello spostamento a Parigi, deciso dal Comitato esecutivo dell’Uefa, della finale di Champions League, originariamente prevista per il 28 maggio a San Pietroburgo, e allo stesso modo Formula One Group ha tolto dal calendario l’appuntamento del weekend del 25 settembre a Sochi, il Gran Premio di Russia insomma, "impossibile da tenersi in queste circostanze". Al momento, considerando la visibilità degli sport e delle competizioni, le decisioni di Uefa e Formula 1 sono quelle che più fanno breccia nell’immaginario collettivo, in una situazione fluida nella quale lo sport in Ucraina si è fermato per questioni di sicurezza - attualmente si trova ancora a Kiev l’intero staff tecnico italiano dello Shakhtar Donetsk, il cui capo allenatore è Roberto De Zerbi - mentre in Russia la Uefa ha già dichiarato che non si disputeranno gare internazionali sotto la sua egida sino a nuova comunicazione (i club e la nazionale dovranno giocare in campo neutro), ma per il resto tutto ciò che può, continua, in maniera abbastanza surreale considerando la drammaticità del contesto.
Surreale è infatti il clima che gli atleti raccontano di vivere in questo weekend nella tappa della Coppa del Mondo di scherma (della spada, per la precisione) in corso di svolgimento a Sochi, mentre ha avuto effetti ridicoli l’originaria scelta della Fis, la Federazione internazionale di sci, di non cancellare la gara di sci di fondo in programma sabato a Sunny Valley, in Russia. A boicottarla sono stati gli atleti di tutte le delegazioni internazionali presenti, al punto che alla gara di qualificazione hanno preso parte solamente sei atleti russi, una figuraccia epocale che ha costretto la federazione alla retromarcia e all’annullamento.
Gli sportivi, già: a livello individuale, e in alcuni casi anche attraverso il coinvolgendo delle squadre, sono numerosi quelli che hanno preso posizione e continuano a farlo, al punto che qualsiasi elenco, oltre ad avere poco senso, non sarebbe nemmeno esaustivo, ma meritano menzione le mosse del club tedesco Schalke 04 e della scuderia statunitense Haas che hanno rinunciato entrambe a una sponsorizzazione russa. Lo Schalke ha annunciato la rottura del munifico accordo con Gazprom, principale finanziatore del club ormai dal 2006, mentre Haas è scesa in pista nell’ultima giornata dei test in Spagna senza il logo Uralkali sulla livrea; nel caso del club calcistico tedesco, non sono ancora chiari i termini della rottura, ma così facendo la società ha avuto il coraggio di prendere una decisione che i tifosi le chiedevano dal 2014, dall’occupazione russa della Crimea.
Gazprom, di fatto controllata dal governo russo, è un colosso dell’energia che rappresenta uno dei principali partner commerciali della confederazione calcistica europea: sponsorizza appunto la Champions, la Supercoppa, le gare tra nazionali, la Youth League e persino l’Europeo del futsal. Non solo: il presidente del consiglio di amministrazione di Gazprim, Alexander Dyukov, è membro dello stesso Comitato esecutivo della confederazione - ma non ha partecipato a quello di venerdì - e ciò significa banalmente che le relazioni tra la Uefa e l’azienda sono così profonde da rendere pressoché impossibile l’immediato e improvviso scioglimento di un legame tanto duraturo quanto ambiguo. In questo senso va letta la scelta di spostare la finale da San Pietroburgo - città dove peraltro ha sede Gazprom - a Parigi: Ceferin, in questo modo, ha rimandato qualsiasi decisione sul vero punto chiave - il rapporto con Gazprom - ottenendo, con quella che era una decisione facile ma inevitabile considerando le reazioni di Unione Europea e Regno Unito all’invasione, ottenendo un rapido riscontro positivo su media e pubblica opinione che, tuttavia, più a fondo ancora non hanno deciso di andare.