Arridaje. Ci risiamo. Stavolta è stato un “pranzo al sacco” a spettinare la composta saggezza del critico televisivo Aldo Grasso. Mica solo lui si è sentito scompensato, eh! O addirittura a disagio, a giudicare dalle reazioni che alcuni momenti della telecronaca di Israele-Italia firmata Lele Adani hanno suscitato sui famosi “giornaloni” (cit. Matteo Salvini). Aldo Grasso, fra indignati vari, sul Corriere ruggisce: “Cosa ci resta da dire? Che finché il telecronista non avrà capito il valore delle immagini, del rumore ambientale, del silenzio (il suo) non ci sarà vera telecronaca? Che il silenzio è una rinuncia che si trasforma in conquista e che gli permetterebbe, tra l’altro, di disfarsi di molti ingombranti luoghi comuni? Già detto, predica inutile. La tendenza che va diffondendosi in tutti gli sport – questa la novità! – è che ovunque la persona del telecronista si sovrappone all’evento che sta raccontando, vuol farlo suo. Ho sentito i telecronisti del volley parlare di sé, dei propri sentimenti; ho sentito quelli della Formula 1 impazzire per un sorpasso, come fosse un caso eccezionale; ho sentito quelli della pallacanestro raccontare aneddoti personali…”. Oddio, sulla necessità di qualche pizzulliano silenzio potremmo tranquillamente concordare. Non fosse che l’amarezza di Grasso pare tardiva, nel senso che la telecronaca non è entrata ieri nella sua fase post-Martellini/Pizzul.
Le telecronache di oggi sono iniziate già prima che Bruno Pizzul appendesse il microfono al chiodo, ossia prima del 21 agosto del 2002 (Italia-Slovenia). Le seconde voci – l’ormai “necessario” commento tecnico – hanno cambiato tutto o quasi. Ma parliamo di “novità” che precedono, e non di pochi anni, l’avvento del Lele Adani commentatore. Che poi Adani, nella fattispecie, cosa avrebbe mai detto, l’altra sera, di così sconveniente? Se uno non l’avesse ascoltata affatto, la sua incriminata telecronaca, penserebbe che il buon Lele si sia lanciato in ardite analisi geo-politiche – Gaza, Netanyahu e tutto (l’orribile) resto. E invece no! Dopo il gol di Sandro Tonali ha esclamato: “Ma che partita è? Ma che è, il pranzo al sacco? In area di rigore c’è il pranzo al sacco”. Apriti cielo: la nostra paludata informazione si indigna. Si dimena come punta da un calabrone. Con Grasso a guidare la ciurma scandalizzata, appunto.

La sua “Storia della televisione italiana” è sempre lettura assolutamente necessaria, illuminante, ma quando Grasso afferma, tra lo stupito e lo stizzito, di aver sentito quelli della pallacanestro (i telecronisti, nda) raccontare aneddoti personali, viene da credere – ma non ci vogliamo credere! – che non abbia mai ascoltato la telecronaca di un incontro sul centrale di Wimbledon targata Rino Tommasi e Gianni Clerici. Il primo dispensava dati, statistiche e intuizioni letali. Il secondo romanzava e sognava in diretta, e si lasciava “scappare” (in realtà tutto era dannatamente intenzionale) che si sarebbe volentieri fatto accarezzare da una volée di John McEnroe o Stefanino (lo chiamava così) Edberg. Gianni Clerici, per la cronaca, faceva telecronache nello scorso secolo, mica ieri l’altro. L’attacco ad Adani, alla luce di queste poche considerazioni, suona – non solo sul fronte Grasso – fuori tempo massimo. Ma davvero a quasi 25 anni dall’ultimo Pizzul in diretta nazionale, e in piena epoca social (l’ego sopra ogni cosa), la stampa più seriosa e non sempre seria ci racconta che il pranzo al sacco di Adani è sopra le righe. Sbagliato il registro, sbagliato il tono, sbagliato il tempismo. Perché? Commentatori come Fabio Caressa e Lele Adani non sono al di sopra di ogni critica, e infatti c’è metà web che gode a farli a fettine ogni volta che aprono un microfono. Ma oggi, nel 2025, vogliamo davvero credere che l’alternativa possa risiedere in una telecronaca che lasci percepire “il rumore ambientale”? Il rumore ambientale nell’epoca di stadi talvolta quasi silenziati? Il Tottenham qualche anno fa, in Champions, sperimentò il tifo finto. All’entrata in campo degli undici Spurs, la regia diffuse il caldissimo sound di un tifo ideale che quella sera, ahimè, non c’era, anche se lo stadio era pieno. Perché nell’epoca dei selfie sugli spalti di Old Trafford o Stamford Bridge, delle aree vip negli stadi di proprietà, di alcune partite francamente inguardabili che giusto un commento un po’ troppo entusiasta può nobilitare, il rumore ambientale è un sottofondo spesso tiepido e imbarazzante. Che in modo altrettanto imbarazzante viene bruscamente interrotto, appena gli altleti raggiungono gli spogliatoi a fine primo tempo, dal peggiore poppaccio in circolazione sparato a palla dalle sempre solerti regie dei club. È rispetto a tutto questo che un Adani dovrebbe farsi un po’ da parte? Ma per carità! Teniamocelo stretto, Adani. E se serve critichiamolo. Ma criticarlo per un “pranzo al sacco” (in fin dei conti una variante personalizzata del giocare “alla viva il parroco”, nulla di clamoroso) dimostra solo quanto sia ingessato lo sguardo critico di chi aspetta Adani et similia al varco. Aldo Grasso sa ancora come affondare il colpo, quando vuole, ma se è un pranzo al sacco a disturbarlo, viene il dubbio che si sia trasformato in Lina Sotis.