Quando telefoniamo ad Alessandro Delbianco il Bol d’Or è finito da qualche ora, lui probabilmente si è svegliato da poco. Era la sua prima volta nel mondiale endurance e l’ha affrontata come fanno i romagnoli: sali sulla moto e rovesci la manopola del gas con la stessa attitudine di un cowboy che sfonda la porta del saloon per fare a botte. Non importa chi c’è dall’altra parte, uno così si presenta per vincere o, al limite, per fare un casino memorabile.
Succede così che l’immagine dell’ultima ventiquattr’ore del campionato EWC è tutta sua, che l'ha corsa da wildcard e il traguardo l’ha tagliato spingendo la moto per tutto il rettilineo. L’ha fatto dopo 24 ore di rumori, sudori, casini, scoppi, grattate, cambiate, frenate, calli, dolori, occhi pesti, gola secca, sonnolenza. L’ha fatto mentre il Team Yoshimura SERT Suzuki vinceva la gara ed il YART Yamaha EWC si portava a casa il campionato.
Quando gli chiediamo di raccontare la sua gara Alessandro fa di meglio, spiegandoci cosa significhi correre una 24 ore. A parole sue, chiarissime: “Allora", dice per cominciare. "La gara è stata esattamente come me l’aspettavo, super intensa, ma tutto passa molto in fretta. Pensa che in prova sono stato spesso il migliore delle Yamaha del mio gruppo, addirittura in qualifica siamo arrivati in prima fila per le stock. Sai, quando arrivi in un posto nuovo e vai subito bene tutto ti passa meglio, anche se avevo un po’ paura di non riuscire a ripetere in gara quello che avevo fatto in prova. Abituato a gare molto corte, dover affrontare una corsa di 24 ore in cui ogni stint era di 25 giri per 15 volte - quando io sono abituato a fare gare di 10, 15 giri - è veramente tosta, avevo quest’angoscia di non riuscire a farcela. In realtà il tempo vola, in pista è un piacere guidare perché spingi forte ma non spingi quanto una gara sprint, ti tieni quel mezzo secondo in tasca che ti fa godere la pista e la moto, hai margine per divertirti. Poi non sei mai da solo: c’è chi entra, chi esce… sei sempre in mezzo alla gente!”.
Delbianco parla in fretta, ti fa proprio sentire che si è divertito. Capisci che questa è roba sua, d'altronde se un pilota ha voglia di guidare nell'endurance ha tutto il tempo per farlo. Ma non è solo questo, a rendere il Bol d'Or qualcosa di speciale è anche l'ambiente: “La pista è sempre piena, hai presente quando vai in moto a fare il passo, trovi qualcuno e giri con lui? Uguale. Sei sempre con qualcuno che non conosci, poi in realtà impari a conoscerlo. Ti dico solo che fine gara mi è piombata addosso un po’ di malinconia, come quando torni da una vacanza. Stavo bene, era diventata una zona di comfort”.
La cronaca del Bol d'Or dalla moto di Alessandro Delbianco
Finito di parlarci delle sensazioni e dell'atmosfera, Delbianco parte con un resoconto della sua gara, (quasi) finita a mezz'ora dalla bandiera a scacchi: "Parte la gara e noi siamo già in svantaggio, perché la pista era bagnata e alcuni team sono entrati con le slick, mentre noi abbiamo montato le rain. Invece dopo cinque o sei giri la pista si è asciugata e alcuni piloti che avevano le slick hanno accumulato un bel vantaggio. Però nei miei turni ho avuto la bravura, o forse la voglia, di spingere come un matto: recuperavo dai trenta ai quaranta secondi al giro da quelli davanti, quando è venuto il buio avevamo recuperato un sacco di posizioni, eravamo terzi tra le stock. Anzi, stavamo anche mangiucchiando qualcosa a quelli davanti”.
Poi, però, i problemi: "All’alba - quindi ai due terzi di gara - abbiamo finito la benzina e perso tutte le chance di finire sul podio. Pensavamo di aver fatto male i calcoli sul carburante, ma sarebbe stato molto strano perché al box stanno attentissimi a queste cose. Invece il problema era un pochino più grosso, la moto stava cominciando a cedere e beveva molto più del previsto. Da lì a mezz’ora ha cominciato a perdere i controlli, fai conto che di colpo non andava più traction. In un’altra mezz’ora il mio compagno è stato male e si è ritirato, quindi le ultime quattro o cinque ore le abbiamo corse solo io e Rolfo. A tre quarti d’ora dalla fine il motore è esploso e la moto ci ha abbandonato. Io però avevo dato veramente tutto, era la mia prima 24 ore ed era da una settimana che ripetevo a tutti che bisognava finirla, e allora… sono uscito ai box con la moto che non andava, mi sono fermato alla prima curva, ho preso il carroattrezzi fino all’ultima curva e ho aspettato lì per venti minuti. Quando la gara è finita ho spinto la moto per tutto il rettilineo arrivando sotto la bandiera a scacchi, così siamo arrivati in classifica”.
È una bella immagine, una bella storia. Lo rifarebbe? probabilmente sì: “Non avevo esperienza nell’endurance, avevo però una gran voglia di farla. Sono tre anni che seguo tutte le gare, sia dal live timing che in televisione, perciò sono proprio appassionato anche se non avevo mai trovato l’occasione, pensavo che l’endurance fosse qualcosa di troppo lontano dal mio sogno, che poi è il mondiale Superbike o addirittura l’arrivo in MotoGP. Però ecco, ho compiuto 26 anni e mi sono reso conto che il tempo comunque scorre, così ho voluto iniziare anche a divertirmi un po’ con le corse. La prima cosa che ho voluto fare è stata questa, il Bol d’Or. Mi sono informato e ho trovato questa squadra a cui mancava un pilota, la OG Motorsport, una squadra francese che corre nella stock. Sapevo che c’era Roberto Rolfo e quindi potevo andare sul sicuro. Un’esperienza bellissima che mi porterò dietro per sempre”.