Alex Marquez sembra essere riuscito in un’impresa per pochissimi, quella di rinascere in una MotoGP in cui non c’è mai tempo per nulla. Con la Ducati del Team Gresini è veloce, ha una vittoria a portata e un bel risultato, se non fosse stato per le cadute, lo avremmo visto già ad Austin. Così, adesso, è anche più facile parlare dei momenti duri, a partire da quando venne ‘licenziato’ dal Team Repsol ancora prima di poter correre una gara: “Per tutta la vita ho subito il peso dell’essere fratello di Marc”, ha raccontato a Giovanni Zamagni nel podcast a tutto gas! per Moto.it “Quando sono andato in HRC (nel 2020, ndr.) tutti hanno detto che ci avevano messo il fratello di Marquez, non il campione del mondo Moto2. È difficile vincere un campionato e io ne ho vinti due, non è stata solo fortuna. Quello è stato un momento strano, anche se poi molto bello. Fare il primo anno con HRC è stata una cosa impressionante. Quando ho saputo che mi avrebbero declassato in LCR all’inizio è stato difficile, un po’ strano. Non ho avuto l’opportunità di dimostrare niente, Marc mi ha aiutato ad accettarlo. Poi alla fine l’ho presa bene, ma quando ho fatto il podio e ho visto che c’era un buon rapporto col team mi è dispiaciuto, non è stato bello”.
Poi Alex racconta degli inizi, quando Marc voleva fare il pilota e lui si trovava a passare le giornate in pista a guardarlo: “I miei genitori andavano alle gare da volontari, mio padre stava all’entrata e mia madre lavorava al bar, anche quando lei era incinta. E quando siamo nati tutta la mia famiglia, anche mio zio, ha continuato ad andare nel paddock, così ad un certo punto mio fratello ha chiesto una moto. Io a due o tre anni dicevo di no, che più che il pilota volevo fare il meccanico. Vedevo Marc con la moto e mio papà che gliela sistemava e io volevo essere come mio papà, non come mio fratello. Poi continuavamo andare in pista e così l’ho chiesta anche io una moto, non volevo rimanere lì a guardare. Un giorno ho provato la moto di Marc e da lì ho detto basta, il meccanico può farlo qualcun altro”. Ad ogni modo sulle prime Alex non era poi così a suo agio sulla moto: “All’inizio ero un disastro perché non la prendevo seriamente. Non avevo quella mentalità di andare più forte degli altri, ero molto tranquillo. Ho iniziato col cross e la mia mentalità è cambiata quando ho provato con la velocità”.
Alex Marquez racconta anche del clima trovato in Gresini e del supporto costante della casa madre che nei suoi anni in LCR è completamente mancata: “La MotoGP rispetto a Moto2 e Moto3 è un altro mondo, è il massimo nel motorsport sulle moto. È una cosa che si sente, c’è tanta gente che ti guarda e una stagione costa tanti soldi, così devi ricordarti che non sei da solo, hai un team e uno sponsor che ti aiutano. In Gresini si capiscono tutti molto bene, sono professionisti e se vedi il team da fuori sembra ufficiale ed è bello. Poi con Ducati ho trovato un bel rapporto, perché vieni molto considerato: chiedono e aiutano, ed è una cosa molto bella per il pilota sentirsi importante. E per me è fondamentale, so che se farò fatica verranno dalla Ducati ad aiutarmi, non ti senti solo in un box. In LCR Honda ci ha lasciati lì. Noi abbiamo dato la vita, lavorando durissimo, ma non arrivavano aggiornamenti dalla Honda e nessuno da HRC veniva nel box a discutere con noi. Se fai il pilota non è bello, era come se non gli interessasse. In Gresini è stato diverso, perché subito mi hanno spiegato che le cose stavano un po’ diversamente. Poi io sono uno che gira per il paddock”.