“Il 34 non l’ho potuto più usare perché nella classe regina era stato ritirato in onore di Kevin (Schwantz, ndr). Io però non avevo mai corso con un altro numero, ma ho scelto il 4 per Ricky Carmichael, crossista americano fortissimo che mi è sempre piaciuto tanto. Lo ‘zero’ davanti l’ho messo per fare qualcosa di diverso, perché il 4 l’hanno usato in tanti, si usava in passato per chi arrivava quarto nella stagione precedente. Esteticamente, mettere lo “04” penso sia stata una scelta azzeccata”. È Andrea Dovizioso l’ospite della nona puntata di Mig Babol, registrata in prossimità di Ferragosto nello studio di Andrea Migno e Filippo Carloni a Misano Adriatico, pubblicata proprio nel giorno in cui il Dovi è tornato in sella ad una MotoGP: sempre al Santa Monica, in qualità di collaudatore, per sostituire l’infortunato Cal Crutchlow sulla Yamaha M1. Misano per Andrea significa soprattutto coincidenza; è su quell’asfalto che decise di tornare dopo un semestre sabbatico dalle scorie dell’esperienza in Ducati, è tra quei cordoli bianchi e rossi che dodici mesi più tardi – nel 2022 – scelse di salutare (forse, mai dire mai) per sempre la griglia di partenza della top class.
In quel settembre di due anni fa Dovizioso guidava la Yamaha satellite del Team RNF, ereditario della struttura di Petronas. Una situazione che Andrea non ricorda piacevolmente anche se, come spesso capita nelle sue analisi, è capace di cogliere alcune sfumature positive. Non è mai tutto nero o tutto bianco per l’uomo che sul casco ha sempre separato la sitilizzazione del cavallo bianco (la parte razionale di un pilota) dalla figura del cavallo nero (“Il Dottor Costa mi suggeriva di dare sfogo all’istinto”). Con il racconto della Last Dance in MotoGP, entrano nel vivo i gradevolissimi 90 minuti di Dovi in carena sul divano di Migno: “Mi sono ritirato nel momento giusto? Se guardiamo i risultati forse il momento migliore per fermarsi sarebbe stato il 2020 con la Ducati, un anno faticosissimo perché eravamo blindati nel paddock, coi tamponi, eccetera…forse la vivevo male anche io perché nel frattempo il cambiamento della carcassa della gomma mi aveva tolto i miei punti di forza e partivo per i weekend di gara consapevole di non poter essere competitivo al massimo. Poi è venuta fuori questa situazione col team satellite Yamaha, e nessun pilota della storia si è salvato: da fuori non riesci mai a capire i veri lati negativi di una moto, magari li vedi ma non capisci quanto siano negativi, perché nel frattempo il pilota che guida quella moto li maschera. Quartararo in quel 2021 ha vinto il Mondiale, ma ci è riuscito perché ha sfruttato perfettamente i lati positivi della moto e gli avversari non hanno raccolto il massimo. Quella moto aveva dei limiti importanti, quell’anno è stato veramente brutto, mi sentivo in gabbia, non avevo la possibilità di lavorare. L’ho capito dai primi chilometri, però da pilota te la devi sempre un po’ raccontare, a fine 2021 dicevo ‘c’è l’inverno davanti, magari la moto diventa più mia…invece niente’. Io non venivo capito, anche perché Yamaha non aveva ancora compreso di dover cambiare radicalmente certe cose. Facevamo i meeting e perdevamo tempo a parlare della pressione della gomma davanti…però quello che penso è che niente accada per caso. Infatti in quegli anni con Yamaha si è instaurato un rapporto; è una cosa bellissima quando a distanza di tempo si accorgono che dicevi cose interessanti. Quello che è successo in quell’ultimo anno, in cui non abbiamo fatto risultati né creato niente di importante, mi ha aperto la strada per gli accordi che ho con Yamaha sul motocross e su altri progetti, una cosa che mi fa davvero tanto tanto piacere”.
In maniera decisamente armonica, è scaturito il successivo tema di interesse: com’è cambiata la vita di Andrea dopo il ritiro? “Diciamo che quando ti ritiri vuoi fermarti, di conseguenza non vedi l’ora di fare cose che prima non potevi fare. In quel momento uscirne non è stato pesante, anzi volevo uscirne prima ma per accordi fatti non è stato possibile. Io poi semplicemente mi sono buttato sul cross, avevo una voglia matta di farlo e paradossalmente sono stato molto più impegnato dopo come pilota di cross che come pilota di MotoGP, quando mi allenavo con il cross massimo due volte al mese. A 37 anni invece mi sono messo a fare cross quattro-cinque volte a settimana, più la gara alla domenica. Poi c’è stato il progetto del mio Park a Monte Coralli (ne parlammo approfonditamente con Andrea qualche mese fa) che mi ha preso molto. Mi sono allontanato dalla velocità, ma non è che non la guardavo. Registravo tutto e mi guardavo per bene solo ciò che mi interessava. Avevo bisogno di staccarmi dalla velocità, perché gli ultimi due anni non sono andati bene, certe cose mi andavano strette e avevo un po’ bisogno di disintossicarmi, mettiamola così. All’inizio passavo i weekend giro col camper per le piste di motocross, poi al lunedì mi riguardavo tutta la MotoGP come volevo io”.
Gli appassionati, spesso, quando ripensano alla carriera di Dovizioso, si chiedono come mai non sia stato possibile continuare con Ducati dopo il 2020. Andrea risponde secco, fornendo una lettura per certi versi inedita dei suoi anni in rosso: “Non era possibile andare ancora avanti, si era proprio rotta la relazione, per vari motivi. In otto anni succedono tante cose. Più di una volta siamo arrivati quasi a dividerci, ma ero talmente focalizzato ad ottenere risultati che almeno due contratti li ho accettati mandando giù dei rospi su cose che non mi andavano bene. Ma questo mio passarci sopra è stato fondamentale, perché poi in quegli anni ci siamo giocati il titolo. Dopo non ero più disposto ad accettare certe cose, perché alla fine tutti noi abbiamo determinate priorità in determinati momenti. Posso essere contento degli anni in Ducati? Sì, è mancata la ciliegina del titolo, ma c’era Marquez in forma con la Honda…(ride)”. Imbeccato sulla scelta di Borgo Panigale di preferire Marc Marquez a Jorge Martín, Dovi con una manciata di parole lascia intendere una dietrologia vastissima di pensieri: “Ducati come sempre voleva portare a casa il massimo e poi è successo un po’ un casino. Volevano tenere tutti in un modo loro che non ha funzionato”.
Parlando delle battaglie all’ultimo respiro proprio contro Marquez, emergono almeno tre tratti meravigliosi di Andrea Dovizioso: spontanea modestia, una sensibilità sopraffina dai contorni teneri; la saggezza di chi guarda le cose nel dettaglio. “Essendo un ingegnere a livello di approccio ed essendo abbastanza timido, uno dei miei limiti è sempre stato quello di arrivare alla gente. La massa fino agli anni in Ducati ha sempre visto poco Dovizioso. Quindi quando oggi la gente mi ferma per strada, con gli occhi lucidi, e mi ricorda le battaglie con Marquez, è una soddisfazione impagabile. Com’era battagliare con Marc? Pesante perché era il suo momento migliore, l’HRC non era così a posto ma lui ci metteva una pezza. Tipo nelle nostre famose lotte in Austria lui non era nelle condizioni per arrivare all’ultima curva con me, da pilota le sai queste cose, io non riesco a raccontarmela troppo. Sono stati tre anni bellissimi, ma troppo stressanti perché tiravi la riga alla fine del campionato e lui riusciva sempre a portarla a casa. Nel 2018 l’avremmo potuto mettere in crisi, ma per varie dinamiche ed errori ci siamo allontanati in campionato all’inizio e lui quel vantaggio poi l’ha gestito. Hai presente quando sei in ansia, sei stressato, e ti viene un po’ di fiatella? Mi ricordo quella situazione negli ultimi giri delle gare in Austria, perché sapevo cosa dovevo fare, cercavo di crearmi una situazione, ma Marc era sempre lì. Ho vinto, era uno dei momenti più belli della mia carriera, ma lì per lì avevo la fiatella e dicevo ‘ma che caz*o mi invento adesso’”.
Arriva il capitolo dell’intervista dedicato al rapporto con Marco Simoncelli: “Il Sic ha debuttato sempre dopo di me in 125cc e 250cc – dice Andrea sorridendo - perché esagerava finché non trovava il modo, poi quando capiva non ce n’era più per nessuno. Il Paso (Mattia Pasini, ndr) ha detto che per il Sic sportellare era l’unico modo di fare una curva, ma Paso aveva un rapporto speciale col Sic che correva per lui, io invece ero dall’altra parte, ero l’avversario con un altro marchio che viveva solo il lato negativo di Marco. Negli anni questa cosa è continuata, ma a mano a mano ho cominciato a rispettarlo tanto a livello sportivo. Poi dopo il patatrac ho parlato con Paolo e, non posso dire si sia creato un rapporto di frequentazione, ma un vero e profondo rapporto di rispetto”.
Andrea successivamente passa in rassegna gli avversari principali della sua carriera, Valentino Rossi a parte: “Con lui ci siamo giocati diverse gare e abbiamo corso tantissimi anni assieme, ma non abbiamo mai lottato direttamente per qualcosa di grande. Con Lorenzo abbiamo fatto esattamente gli stessi salti di categoria negli stessi anni, è stato quello più difficile da vivere, perché è forte. Poi alcune cose sue personali possono piacere o meno, ma a livello di talento tantissima roba. Gli potevi mettere una gomma dura, dirgli che era la gomma da superpole, e lui ti faceva la pole. Anche Dani (Pedrosa, ndr) quando era in condizione era imbattibile, ma è sempre stato fragile fisicamente. Dire che Stoner aveva più talento di tutti sarebbe scorretto nei confronti degli altri piloti, ma Casey era talento puto e averlo come compagno di squadra è la cosa peggiore. Vedi cosa fa ma, è qualcosa di talmente estremo, nonostante lui avesse ben chiaro cosa faceva, che non lo farai mai bene come lui. Usava sto cavolo di freno dietro in una maniera spettacolare. Era sempre oltre il limite perché sapeva di essere il più forte, e sbagliava, sbagliava. Per non fare errori a quei livelli devi essere bilanciato nella vita, devi avere delle situazioni famigliari o quotidiane che ti garantiscano una certa stabilità. Puoi essere forte quanto vuoi, ma se sei uno sbandato fai una gara da Dio e le tre domeniche successive ti stendi. Vedendolo da fuori, lui aveva una situazione famigliare complicata. Appena si è creata una situazione in cui potesse gestirsi, però, ha fatto faville”.
La chiusa finale merita come poche altre, perché porta con sé l’essenza di Andrea Dovizioso, persona e pilota: “Ho due caratteristiche, uno che sono ipersensibile. Crea un vantaggio per chi deve sviluppare, ma posso diventare molto antipatico, perché per me è molto più facile tirare fuori le cose che non funzionano rispetto a quelle che funzionano. Se è qualcosa di innato? Forse sì, mi ricordo che da piccolo era normalissimo dire a mio padre cosa dovesse fare con carburazione e taratura dei freni, nonostante nessuno me l’avesse mai insegnato. Un’altra mia caratteristica è che ho sempre staccato parecchio forte. Sono stato uno dei primi a creare dei problemi a Brembo, arrivavo per primo al limite del materiale, ma riuscivo a dare una spiegazione ben chiara di quello che succedeva. Io sfracassavo i co*lioni, ma ero perfetto per loro che dovevano sviluppare nuove soluzioni (un esempio è il freno posteriore a pollice, perfezionato da Brembo sulle indicazioni di Andrea, ndr), tanto che ancora oggi collaboriamo insieme. Ed è bellissimo”.