Paulo Dybala, 12. No, non è il suo nuovo numero di maglia ma i crediti spesi dal mio amico e ottimo regista Omar Rashid nella lega Ogni Maledetto Fantacalcio. Il presidente rideva di lui, leggendo le veline del calciomercato che lo vedevano già allenarsi vista Bahrain, lui timidamente ha piazzato il colpo. Ora lo chiamiamo, nella nostra chat, maestro. E io, che sono il tesoriere, sto pensando di fuggire con il malloppo che, altrimenti, sarebbe già appannaggio dell'autore del documentario Generazione Fumetto (a proposito offro 225 per Zerocalcare e 215 per Ortolani). Sembrava fatta, va detto, per tutti ma non per Omar. Con il lusinghiero record per l'As Roma di essere stata l'unica squadra italiana ad aver piazzato nella finestra di mercato dell'estate 2024 ben due giocatori agli arabi. Un'estate in cui nessuno nella penisola ci era riuscito. Aouar con una plusvalenza che neanche nei sogni più bagnati di Ryan e Dan Friedkin poteva essere ritenuta possibile e, appunto, il nuovo ottavo re di Roma. E poi. E poi la poesia, con un pizzico di ironia. “Grazie Roma. Ci vediamo domenica”. Un post, poche parole, all'ora di cena in cui gli abbonati già stavano pasteggiando con la loro tessera, litigando con i "tifosi commercialisti" (quelli dolcissimi che imparano a leggere i bilanci solo per dare ragione ai padroni) e sperando nell'arrivo di Chiesa come parziale consolazione.
La speranza è una bomba. E Paredes che temeva di aver perso il compagno di squadra subito la spiega, la battuta. E la capitale si incendia per un atto d'amore che nei più romantici fa intonare persino Eros Ramazzotti e che nei più appassionati induce a rimettersi vestiti e scarpe e correre sotto casa della Joya a celebrarlo con cori. Ha rinunciato a 75 milioni, a 31 anni, per una maglia. La maglia. Quella che fa fare il record di sold-out, che fa piangere Mou, che “speravo de morì prima”. Ora, facciamo una premessa. Pare che gli "ammerigani" (solitamente sensibili alle paraculate in favore di tifo tra Colossei quadrati, aerei privati guidati in prima persona per portare l'acquisto a Trigoria e bandiere promosse ad allenatori) abbiano già detto a Daniele De Rossi di non illudersi, che per loro l'argentino sarebbe ancora sul mercato. Ma noi siamo romantici e ci piacciono le storie a lieto fine e quindi Paulo è il nuovo Gigi Riva, punto. Oltre qualsiasi società che vuole rovinare l'ideale e le corrispondenze d'amorosi sensi. Va detto che dalle parti di Roma hanno fatto di tutto per salutare male campioni e bandiere, eh. Le società, quasi mai i tifosi. Di Bartolomei costretto ad andare al Milan, Pruzzo alla Fiorentina, Giannini in Austria e con un addio al calcio con invasione di campo e lui in lacrime, lacrime che sono uscite a tutti noi, pure non romanisti per Totti, esodato da Spalletti, mentre per Ddr ci hanno pensato direttamente i Pallotta senza più sicari e intermediari (e lui è andato a chiudere con il Boca segnando pure un gol). Ma questo li ha resi ancora più icone, più gagliardi e gagliardetti, perché a Roma si vince poco perché in fondo non serve. Lì non si discute, si ama.
Vincere serve solo a permettere ad alcuni di entrare nella leggenda, ma in fondo quando succede ci si sente persino fuori posto. Pensate solo che il mito fondante delle moderne generazioni di tifosi giallorossi è pur sempre Roma-Liverpool. Ma questa storia, comunque finirà, ci dice qualcosa di più strutturale. Volendo fare gli analisti non emotivamente coinvolti (per intenderci, quelli che non credono alla favola che la Superlega sia stata battuta dal vecchio calcio, dai tifosi di cui Č̣eferin sarebbe l'eroe) dobbiamo capire cosa significhi una scelta di questo tipo, la voglia di rivendicarla e il marketing emotivo che se n'è fatto nel contesto calcio. Ecco, quindi, che poco ci interessa che Dybala e il suo procuratore abbiano subodorato la fumata nera tra i sorprendentemente micragnosi arabi e gli avidi americani e che poteva improvvisamente trovarsi come un Victor Osimhen qualsiasi, disprezzato da tutti, ed essendo decisamente più intelligenti (calciatore e agente) lo hanno evitato. Poco ci interessa che nonostante la presenza di Aubameyang, Nacho e Nandez in rosa, l'Al-Qadisiyya sia una neopromossa della già scadente serie A saudita e che per i prossimi tre anni Paulo si sarebbe divertito come Neres nelle foto di rito da nuovo acquisto del Napoli. E poco è interessante anche rilevare le critiche ricevute dall'Argentina, la telefonata del ct Scaloni e la scoperta della moglie Oriana che per avere tutti quei soldi dovevano davvero risiedere lì, seguendo tutte le leggi molto restrittive del luogo, soprattutto per le donne. Vale quello che ora è sulla bocca di tutti. Dybala ha rinunciato alla ricchezza perpetua per la città che lo ha accolto e amato più di ogni altra.
E per la serie A più scarsa di sempre, non è una brutta notizia. Perché essendo un romantico, la prima immagine che mi è venuta quando ho saputo la notizia è quel pub in cui tutti cantano in favore della maglia senza sponsor del Manchester United e che poi fanno un "colpo" in una villa (a fin di bene), tutti con la maschera di Eric Cantona, novello Guy Fawkes. Era nel film capolavoro Looking for Eric di Ken Loach. A ricordarci che la Premier League non è stata sempre la macchina da soldi multinazionale di questi anni, ma è stato anche un campionato minore, stretto tra incidenti e stragi in stati vetusti e un livello tecnico imbarazzante. Ma non ha mai, mai smarrito la sua identità. Esattamente come la Roma e pochissime altre squadre italiane (Genoa, Napoli, Torino?), in Gran Bretagna non hanno mai smesso di esercitare una filiazione e affiliazione che ha permesso, per esempio, nel caso dell'Arsenal, una notorietà internazionale anche grazie a opere culturali come Febbre a 90. Insomma, anche quando non era, la Premier (che infatti non si chiamava così), l'ambizione massima di ogni calciatore e allenatore, aveva un posto e un peso ben preciso nell'immaginario collettivo.
Ecco perché lo scudetto del Napoli, che tra aprile e maggio 2023 provocò uno tsunami di turismo sportivo in città, per (ri)vivere il mito, o Dybala che rimane alla Roma, e persino Mou che la rimpiange, ancora sono importantissimi. Persino, diciamolo, la vulgata della Juventus ladrona e dell'Inter sempre innocente (ovviamente falsa nel senso che anche la seconda è simbolo di un potere che viene esercitato secondo bicolorazioni alternate), dell'Atalanta miracolosa (nessuno racconta dei sospetti passati o che ora ha una proprietà straniera decisamente solida e che non è più la Gianburrasca del nord) possono servire in mancanza di soldi, campioni e mezzi (impianti sportivi societari e di base adeguati) a mantenere vivo un mito in attesa che poi una svolta economica ed industriale ci riporti al centro del villaggio. Dybala, insomma, non ci commuove solo con la sua scelta. Ma ci dà uno storytelling. Un posto nell'immaginario. E ora è obbligato a ritirarsi dal calcio nel nuovo stadio della Roma. Novella bandiera (in questa società in cui tutti i matrimoni sono precari, bastano due anni per tatuarti dei colori addosso) per cui nel futuribile impianto di Pietralata saranno proiettato nel cielo accarezzato dal ponentino solo tre parole. Non sole, cuore e amore (che di sicuro c'entrano nella scelta di Dybala, commosso dalle lacrime di compagni e tifosi) ma... esperaba morir antes.