Neres e Lukaku. Gilmour e McTominay. Il povero Napoli che dallo scudetto del 4 maggio 2023 ha preso una china discendente che per ora non è riuscito a frenare neanche Antonio Conte, l’uomo che ha fatto della vittoria una malattia - ma a 55 anni sembra guarito -, affida a questi quattro assi la possibilità di risollevarsi. Gli esperti lo considererebbero un mercato da 8 pieno, probabilmente, quello in cui questo poker venisse effettivamente calato (magari con altrettante cessioni). Eppure Neres, meteora brillantissima nell’Ajax, arriva da riserva triste di Angel Di Maria, campionissimo meraviglioso ma con la pensione all’orizzonte. Romelu Lukaku è un centravanti che a Roma ha segnato meno di Dzeko - e passi -, ma pure del miglior Abraham, e nell’organico monstre del Chelsea di 43 effettivi, non è previsto neanche nella lista di chi andrà in tribuna. E in fondo, se si pensa all’ultimo europeo e alla finale di Champions con l’Inter, i suoi errori ci ricordano più Darko Pancev che Higuain e Cavani (per non scomodare Antonio Careca). Gilmour nel sopravvalutato Brighton di De Zerbi faceva panchina - e pure ora -, McTominay ha sì segnato 10 gol da centrocampista, ma è il dodicesimo uomo dei Red Devils. Pure il tredicesimo a dirla tutta. Questo per dire che nessuno spera o desidera di tornare negli anni ’80 di Zico, Maradona, Platini, Socrates e compagnia cantante, o nei ’90 dell’ultima Champions bianconera, delle coppe europee vinte a ripetizione. Neanche nell’inizio millennio in cui ci ha pensato Milano alla coppa dalle grandi orecchie (dal solito Ancelotti al triplete nerazzurro di Mourinho) e Lippi a farci vincere il quarto mondiale. Bei tempi andati, ma ora abbiamo esagerato al contrario. Perché allora nessuno poteva neanche immaginare che saremmo diventati la periferia dell’impero.
Un tempo, per denigrare qualcuno o qualcosa, si prendeva a parametro il calcio francese. Ora, da quelle parti, snobbano il centravanti migliore della serie A, Victor Oshimen. Pagano cifre assurde per carneadi e giovanissimi, ma non per uno che qui consideriamo un fenomeno. E, appunto, di quel campionato portoghese di cui saccheggiavano pigramente i brasiliani naturalizzati le squadre della parte sinistra della classifica della nostra serie A, ora prendiamo le riserve a peso d’oro (Neres arriva per 28 milioni) e i più forti neanche rispondono alle nostre offerte. Delle clausole non parliamo: i top player ce l’hanno tutti e dai tempi del Pipita passato da Napoli e Juve non c’è una nostra società capace di onorarle. La favorita per lo scudetto è l’Inter di Simone Inzaghi che si fa bloccare dal Genoa privato di Gudmunsson e Retegui. L’Inter, una società che è stata rilevata da quell’Oaktree che conosciamo per i tassi d’interesse estremi, un brand che pur con il nuovo stadio alle porte non fa gola a nessuno, se è vero che il povero Zhang non ha trovato un socio neanche a pagarlo (se solo avesse avuto i fondi per farlo). L’Atalanta, l’ultima ad aver vinto un trofeo europeo (l’Europa League che mancava dal 1999, allora si chiamava ancora Uefa e la vinse il Parma di Callisto Tanzi), ora sembra poter dire la sua per il primo scudetto della sua storia. A Lecce ha calato un poker nella prima giornata: a segno le stelle del mercato, si fa per dire. Già, perché con 40 milioni scarsi la Dea ha comprato Retegui (con l’infortunatissimo Scamacca in rosa ha i due centravanti della nazionale, sigh) e Brescianini: doppia doppietta per loro. L’irresistibile bomber argentino che a casa sua giocava nei bassifondi della loro massima serie, un centrocampista conteso all’ultimo sangue al Napoli di cui sopra, così forte e irresistibile da essere sceso in B con il Frosinone. La Juventus è un cantiere, ma sappiamo che Todibo in testa, almeno in 5 medium player (da Sancho in giù) le hanno detto di no senza rimpianti, e Kalulu ci ha messo 10 giorni ad accettarne la corte. Forse. Koopmeiners da mesi è lì lì per arrivare, ma lo pagheranno come Dani Olmo. Gran giocatore l’olandese, ma in Liga giocherebbe al massimo nell’Atletico Madrid e probabilmente non da titolare. Il Milan usa l’algoritmo magico che abbiamo visto nel film Moneyball, un programma che gli consente di prendere tutti i giocatori tra i 15 e i 25 milioni di euro che ci sono in giro, più qualche vecchia gloria, più vecchia che gloria, come Alvaro Morata (già infortunato). Comunque un ragazzino contando che ha preso il posto di Giroud che aveva preso il posto di Ibra.
Sulla Lazio che dire? Marco Baroni sa far miracoli, ma in 12 mesi ha perso Milinkovic Savic, Felipe Anderson, Luis Alberto e Ciro Immobile. La Roma di De Rossi ora prova a sbolognare Dybala, ma per gli esperti di calciomercato ha fatto un capolavoro per aver preso Le Fee, Dovbyk e Soulé. Due che hanno ben figurato per una stagione più un esubero della Juventus che ha fatto innamorare tutti nella solita corazzata frusinate. E poi - novità meravigliosa di questi anni - fanno passare per affare il possibile addio dell’unico campione in rosa, il buon Paulo. Aiutati in questo dai tifosi ragionieri, neanche incassassero loro i 18 milioni di euro offerti dagli arabi. Roba che se a Daniele De Rossi avessero fatto un mercato così da giocatore - fuori Lukaku e Dybala, dentro quei tre -, lo trovavano incatenato a Trigoria. Potremmo andare avanti ore, ma nella prima giornata dei pareggi (tra sabato e domenica solo un Napoli ridicolo e un Venezia che farebbe fatica pure in B hanno rotto l’incantesimo della pareggite facendosi battere sonoramente), abbiamo avuto la conferma di un campionato mediocre, che allo squallore di rose di quart’ordine, piene di scarti europei e affari sbagliati, con qualche giovane scommessa (bravo Motta che si accorge di Mbangula, arrivato anni fa dal Belgio, e finalmente ha capito dove e come gioca Yldiz) e cavalli di ritorno o parametri zero presi dai pochi dirigenti ancora di un certo livello (Marotta e Sartori su tutti, non certo il mediocre Giuntoli o l’acerbo Manna, vai a capire perché Corvino rimane a Lecce e Sabatini sia al palo). Il calcio italiano prova a mantenere una dignità ormai perduta e, diciamocelo, invece di tentare la strada della rivoluzione, ha preferito una conservativa e pigra restaurazione. Il gioco non esiste, le società sono rette da personaggi che in qualsiasi altra branca dell’economia farebbero fatica a trovare un lavoro da impiegati, le risorse tecniche sono ridicole, la preparazione tattica (guardate le difese) tanto ossessiva quanto inutile e antiquata, buona solo a rovinare i giovani talenti, quando non ci hanno già pensato i procuratori o prima ancora i preparatori atletici mutilando il tocco di palla a favore di bicipiti femorali e quadricipiti. E questo pure senza Massimiliano Allegri. Mentre fuori le grandi squadre si affidano o ad allenatori moderni (Guardiola e Luis Enrique o Arteta, non a caso di tutti di scuola spagnola), mentre la vecchia volpe Ancelotti vive una seconda giovinezza al Real anche grazie al figlio (ovviamente ridicolizzato a Napoli) e le big spendaccione si affidano a esordienti o outsider (Bayern, Chelsea, Liverpool solo per citarne alcuni), noi ci affidiamo a bandiere, allenatori scartati dalla stessa serie A (Fonseca), un italianista volenteroso ma che solo da noi può essere definito un top (Simone Inzaghi), big in cerca di rinascita (Conte) e eterne promesse da finaline perse con onore (Italiano). I nostri sogni di grandezza sono affidati a Thiago Motta - che sembra l’unico ad aver dato il giusto valore a Douglas Luiz, finora passato per gran colpo di mercato - e Palladino. Direbbe Anatolia dei Bulgari (per chi ricorda Mai dire gol con Aldo, Giovanni e Giacomo), rabbrividiamooo. Sì, confessiamocelo. Quella appena iniziata è la peggior serie A di sempre, tanto che per eccitarci ci è bastato il Como di Fabregas che ha fatto la spesa di figurine. Non abbiamo più ambizioni, solo voglia di sopravvivere o cercare scorciatoie, vendere bene e comprare il possibile, cercando sempre la furbata, gli obblighi di riscatto, rateizzazioni che neanche il sottoscritto con il Fisco avrebbe il coraggio di proporre così lunghe. E balliamo sul Titanic. Come sempre i nostri giornali, sportivi e non, non si accorgono di nulla. Del fallimento del Bordeaux, ad esempio, vittima dell’asta andata deserta per i diritti televisivi in Francia. Da noi, è solo questione di tempo, e l’effetto domino sarà ben più devastante. Perché lo spettacolo è ancora più imbarazzante che Oltralpe, perché già Dazn ha tagliato risorse umane, programmi, offerta, alzando in modo spropositato il prezzo e con condizioni capestro (facendo così tornare in auge il famoso pezzotto). Presto saremo spazzati via, saremo buoni solo per gli scommettitori e i circuiti illegali che ci tratteranno come la serie B norvegese o il campionato bulgaro. Un insieme di lettere e numeri su cui spostare capitali, magari riuscendo a pilotarne gli “investimenti”, con risultati accomodati e accomodanti. Ce li meritiamo Mosquera e Livramento.