Il TAS ha fatto sapere che la sentenza di appello sul caso Andre Iannone non arriverà prima di metà novembre. Un rinvio, quindi. Spietato e freddo. In barba alla questione umana che, al di fuori del merito, riguarda un ragazzo che è stato privato del suo lavoro e pure della sua passione: correre in moto. In barba alla questione economica che, al di fuori del merito, riguarda una azienda, l’Aprilia, che non può programmare il futuro in una fase storica in cui, tra l’altro, programmare è l’unico modo per sopravvivere. In barba pure alla verità, che a quanto pare può aspettare davanti alla ragione politica. In qualsiasi altro ambito tutto questo avrebbe preso il nome di “malagiustizia”, ma nello sport sembra che non si possa dire. Eppure la faccenda è seria. Tanto.
Ce ne siamo resi conto persino noi di MOW, nonostante l’abitudine a fare i guasconi, nonostante la tendenza a dissacrare, nonostante i modi da cazzoni con cui ci piace affrontare le notizie, nonostante i linguaggi che scegliamo per raccontarle e nonostante il vizio di provocare sempre. Ma, dicevamo, stavolta la faccenda è seria. E tanto! Ecco perché dopo aver detto la nostra sulla WADA, dopo aver anche spinto sul gas ogni volta che abbiamo parlato di TheManiac, ci siamo resi conto che per raccontare il processo d’appello sulla squalifica di Andrea Iannone avremmo avuto bisogno di uno serio, di uno di quelli che racconta il motorsport da tanti anni e senza tempi televisivi, senza linguaggi da periodico, senza l’affanno dei click e del traffico utenti. Un professionista vero, quindi, capace di risultare più autorevole. Il nome ce l’avevamo in rubrica: Massimo Calandri. Inviato di Repubblica, non ha bisogno di presentazioni, segue il caso Iannone sin dal giorno in cui è esploso. Sin da quando, per la verità, non si chiamava ancora “caso Iannone”, ma erano semplici dichiarazioni di Cal Crutchlow in merito a colleghi che assumevano sostanze proibite.
E’ cominciato tutto da lì?
Ci ho pensato anche io e non posso negarlo. Ma lo stesso Andrea Iannone, a domanda specifica, ha detto di non credere assolutamente all’ipotesi che il controllo antidoping da cui è emersa la presenza di sostanza proibita nelle sue urine sia stato architettato. Sono controlli a campione e quella volta è toccato a lui, le pagine poco chiare sono state scritte dopo, ma il fatto che sia stato controllato proprio Andrea è stato semplicemente un caso. Tra l’altro in Malesia, per ragioni logistiche, quasi tutti i team, i manager e i piloti alloggiano sullo stesso albergo perché è vicino al circuito e sarebbe davvero potuto capitare a tutti, perché chiaramente sono stati in molti a mangiare nel ristorante di quell’hotel. Inoltre, tra le carte della difesa c’è anche la testimonianza di un ex pilota che ha chiesto espressamente al ristoratore se la carne potesse essere realmente contaminata e lo stesso ristoratore è stato molto chiaro nel merito, specificando che in oriente certi controlli sugli alimenti non si fanno o se si fanno sono facilmente raggirabili.
Quindi anche tu sei tra quelli convinti che Andrea Iannone non è un dopato?
Non è questione di convinzione, ma di carte processuali che dicono esattamente questo. La sentenza di primo grado riconosce la non volontarietà dell’assunzione da parte di Anrea Iannone della sostanza proibita, che tra l’altro è stata rilevata per una percentuale minima. E poi facciamoci una domanda: esiste davvero il doping nel motorsport? O, meglio, esistono davvero prodotti che possono migliorare le performance di un pilota? Io ho i miei dubbi e come me tutto il mondo del motorsport. Il doping è un argomento importante, un cancro da estirpare senza alcuna pietà, ma con intelligenza e andando a fondo delle cose. Altrimenti diventa una guerra strumentale e basta e si finisce per portare a supporto di un processo sportivo la foto di un atleta in mutande in cui si vedono i muscoli particolarmente sviluppati. Ma il punto è: quei muscoli per Iannone sono peso in più, dove sta il vantaggio? Domande che, comunque, lasciano il tempo che trovano e che mi pongo a livello personale. Sul piano giornalistico, invece, dobbiamo stare ai fatti e i fatti, come scritto nella sentenza di primo grado, parlano in maniera molto chiara: Andrea Iannone ha inconsapevolmente mangiato carne contaminata nei giorni del GP della Malesia del 2019. Punto.
Ma allora perché questo non basta per stabilire che è innocente?
E’ quello che tutti ci chiediamo e la risposta non sono in grado di dartela. La cosa che più mi sembra assurda è che la stessa WADA, l’agenzia internazionale antidoping, ha accettato la versione di quella sentenza, non ha neanche commentato il fatto che l’assunzione sia stata definita involontaria e inconsapevole, ma ha comunque presentato appello chiedendo un inasprimento della pena fino a 4 anni di squalifica. Significa sostenere che un pilota deve andare in giro con un chimico al seguito che gli analizza quello che mangia? L’opinione diffusa è che la WADA non voglia minimamente tenere conto dei concetti di involontarietà e inconsapevolezza per non ritrovarsi costretta a rivedere tutti i suoi protocolli: se Iannone dovesse ottenere l’annullamento o lo sconto della pena, allora si creerebbe un precedente.
Il rischio di un precedente vale meno della vita, sportiva e non solo, di un ragazzo?
Così sembra. E non sarebbe nemmeno la prima volta.
Penso ad Alex Schwazer o a Marco Pantani: paragone possibile?
No. Uno perché sono sport differenti. Due perché sono tempi differenti. Tre perché l’errore sta proprio nell’accomunare le vicende sportive legate al doping: ogni caso è uno e deve essere analizzato da solo, nelle sue specificità. Il paragone, al limite, può starci sui risvolti umani, sulla sofferenza che questi accadimenti provocano, sia quando l’atleta ha realmente fatto l’errore, sia quando è vittima di un abbaglio o, peggio ancora, di una congiura.
A proposito di risvolti umani, hai parlato con Andrea Iannone in questi giorni?
Sì e c’è una cosa che mi ha colpito moltissimo. Gli ho chiesto se avesse un piano b per l’eventualità che il TAS confermi la squalifica o accolga la richiesta di inasprimento della pena e mi ha guardato come se stessi dicendo la cosa più assurda di questo mondo. E’ una ipotesi che lui non contempla minimamente. Mi ha detto: “Non esiste che possa andare male”. Era vero, sincero, senza strategia alcuna in quella risposta.
Fa bene a crederci così tanto?
Ha fatto bene fino ad ora, perché è in questa convinzione che sicuramente avrà trovato la forza di combattere la sua battaglia, di allenarsi tutti i giorni, di stare senza la possibilità di correre in moto. Ma non so quanto faccia bene ora, perché purtroppo tema che la questione abbia ormai assunto contorni politici e strumentali. Uno dei giudici che dovrà emettere la sentenza ha lavorato per la WADA fino a poco tempo fa, giusto per dirne una. L’ipotesi che non ci sarà alcuno sconto di pena, purtroppo per Iannone, è seriamente fondata. Anche tutto questo tempo che hanno fatto passare per prendere in esame l’ appello e tutto il tempo che sembrano voler far passare per arrivare alla sentenza non sono un buon segnale, perché rende chiaro che l’intera faccenda ormai è uscita dai confini della vicenda unica e individuale per entrare nel campo dei massimi sistemi.
Sarebbe stato lo stesso se la bistecca di Andrea Iannone l’avessero mangiata Valentino Rossi o Marc Marquez?
Bella domanda, ma non so rispondere da un punto di vista giornalistico. Posso, però, fare una valutazione personale: se fosse successo a Valentino, ormai, forse sarebbe stato lo stesso, ma non so. Su Marquez ho qualche dubbio in più visto che l’hanno rimesso in moto persino con un braccio appena operato e che c’è forte pressione per farlo tornare più in fretta possibile. Però sono mie supposizioni e lasciano il tempo che trovano. Quello che invece sarebbe davvero importante è che l’intero ambiente del motorsport, e mi riferisco ai suoi vertici, intervenga per definire regole più chiare e dinamiche più trasparenti, senza paura di mettersi contro un organismo come la WADA. Perché, lo ripeto, la lotta al doping è efficace solo ed esclusivamente se si riesce a tenerla libera da ogni altro tipo di orpello o costrutto.
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