Occhi bambini. La definizione è presa in prestito dal titolo che Giulia Toninelli ha scelto per il suo libro su Ayrton Senna. Però “occhi bambini” sono anche le primissime due parole venute in mente incontrando Andrea Iannone nel paddock di Misano, proprio alla vigilia del venerdì di prove del round italiano della Superbike. “Non faremo interviste one to one” – ci hanno detto quelli che si occupano della sua comunicazione. Partecipazione agli eventi collaterali della SBK ridottissima e ambiente intorno a lui molto più chiuso rispetto a quello di tutti gli altri, anche di quelli che hanno vinto molto di più. Roba che un po’, soprattutto in questo momento in cui la Superbike soffre un significativo calo di pubblico, potrebbe anche infastidire. Andrea Iannone è così: fa il minimo indispensabile di tutto ciò che sta intorno, ha i suoi giri, ha i suoi sponsor e l’aria di quello che se la tira da matti.
Solo che poi capita che fai un giro nel paddock, tra i camion in cui i meccanici mettono a posto le ultime cose prima di far toccare l’asfalto alle ruote e lo incontri con quella distanza che basta per osservare bene senza essere notati. Ha su la sua tuta e intorno quel paio di persone che lo segue ovunque. E ha pure una faccia che non ti aspetti. Ha, insomma, gli occhi bambini. Un’espressione distante anni luce rispetto a quella a cui ci ha abituati. Li mostra, evidentemente, dove può permetterseli. E dove può permettersi, per farla corta, di tirare giù una maschera che probabilmente è pure necessaria per uno che magari non sarà il re della simpatia, ma di cattiveria ne ha ricevuta anche tanta. Per come vive, per come guida, per quello che ha fatto o che non ha fatto. Per chi si è messo nel letto. Per non essere, in estrema sintesi, dentro lo stereotipo del pilota moderno, che ha la stessa fidanzata da quando aveva sei anni, che mangia insalata scondita e mostra, almeno sui social, una vita da impiegato di banca.
Se li è portati dietro, gli occhi bambini, anche nella sala stampa di Misano, nell’unico momento con i microfoni davanti la bocca. Ha raccontato che qui ci tiene a fare bene. Perchè è in Italia e perché questo circuito, per lui, è pure un simbolo che significa tanto. E non ha nascosto che il desiderio di fare bene fa a cazzotti con l’oggettività di una preoccupazione: “Abbiamo molto lavoro da fare, in piste con asfalti come questo soffriamo un po’, ma sono sicuro che se partiamo bene già dal venerdì potremo lottare non dico con Alvaro Bautista, ma con tutte le altre Ducati. Facciamo fatica in particolare nell’ultima parte della frenata, ma è un problema comune un po’ a tutti quelli che guidano la Panigale”. E’ di corse che vuole parlare e dietro quegli occhi bambini si percepisce proprio quasi il fastidio della consapevolezza che forse molti di quelli che sono lì davanti a lui vorrebbero chiedergli altro: il futuro, i suoi giorni a Lugano, il mondo dello spettacolo, la fidanzata Elodie. Tutte cose, insomma, che fanno parte della sua vita, ma che non sono la sua vita. La sua vita sono le moto. Punto. Ha provato a dirlo in ogni modo e in tutte le lingue, per anni. Fino a doversi schermare con quell’aria lì da “ca*zone” che si finisce per rimproverargli, ma che invece è solo forse il modo per difendersi. Meglio risultare antipatici che ritrovarsi a mandare a fare in cu*o tutti.
Non lo ha fatto nemmeno ieri, quando inevitabilmente è venuta fuori la domanda sul suo futuro. “E’ chiaro – ha spiegato – che vorrei una moto ufficiale in un team ufficiale”. Qualcosa che, ad esempio, in MotoGP dicono tutti, risultando pure simpatici e con sacrosante richieste, ma che quando a dirla è Andrea Iannone la si fa passare quasi come una pretesa. E invece, magari, è un diritto. Perché dopo 4 anni giù dalle moto è tornato e è andato forte subito. Dimostrando che il talento è lo stesso di una volta e pure che il fisico, nel frattempo, s’è mantenuto in grado di reggere le corse e un mondiale. “Ho diverse proposte per il futuro, ma al momento non c’è una decisione e voglio concentrarmi su Misano e su questa gara. Poi valuterò bene cosa fare”. E’ di corse che vuole parlare, possibilmente della prima corsa utile. E non sa più come dirlo. C’è, tra quelle prospettive, anche la MotoGP. Non lo conferma, non lo smentisce. Quella prospettiva si chiama Pramac, probabilmente con Yamaha. Quegli occhi bambini, però, forse una indicazione l’hanno data: “Una moto ufficiale in un team ufficiale”. E è molto probabile che, alla fine, non sarà Ducati in SBK e non sarà nemmeno Pramac in MotoGP, ma BMW. Per adesso in SBK, ma con un progetto su cui mettere la firma per il 2027 e per rimettere gli stivali, e riportare quegli occhi bambini, sul palcoscenico che una storiaccia assurda gli ha negato sul più bello. Nel frattempo, viene da dire, quegli occhi bambini resteranno per i pochi di cui può fidarsi o per chi avrà la fortuna di osservarli da lontano. Oppure, forse, saranno per tutti, non appena verrà lasciato in qualche modo più in pace e considerato per ciò che è davvero e da sempre: un pilota veloce di moto da corsa.