Nessun tennis di fama internazionale mostra le proprie emozioni in campo come Andrej Rublev. Il tennis è uno sport dove rendere visibili le proprie emozioni, esplicitarle davanti a tutti, è uno svantaggio o, meglio, è un vantaggio per l’avversario. Controllare i propri gesti, non perdere mai il controllo, se non per brevi momenti, rimanere impassibile nonostante quello che succede internamente ed esternamente è diventato parte dell’incontro, tanto quanto un diritto colpito bene o un servizio vincente. Tra i primi dieci giocatori del mondo ci sono alcuni giocatori che riescono a gestire le proprie emozioni come se fossero dei robot (Sinner, Ruud, Hurkacz, De Minaur), altri che ogni tanto perdono il controllo, riuscendo però, quasi sempre, a ritrovare velocemente il giusto binario (Zverev, Medvedev, Alcaraz, Djokovic) e altri, che ancora non hanno ben capito come gestire tutto lo stress e la frustrazione che una partita di tennis comporta (Rune e Rublev). Se però Rune è ancora ai primi passi (seppur importanti) nel circuito ATP e avrà modo di lavorare su questi difetti, Rublev sembra essere arrivato a un punto di rottura, in cui le proprie emozioni gli impediscono di raggiungere lo step successivo della sua carriera e di ottenere dei risultati, che per un giocatore del suo livello (numero 5 del mondo) dovrebbero già essere stati raggiunti.
I primi giocatori del mondo hanno un’aurea magica intorno a loro, seppur, come detto, in modo diverso, danno sempre una sensazione di tranquillità, di serenità, nessuno pensa veramente che possano perdere nei primissimi turni degli Slam o dei Master 1000, per questo quando succede viene considerato un evento straordinario, accolto con stupore dagli appassionati. Djokovic, Sinner, Alcaraz, Zverev, Ruud, Medvedev, nei loro migliori periodi, danno sempre la sensazione di poter venire a capo di qualsiasi partita complicata, di non poter perdere con nessuno se non tra di loro. Non c’è la stessa sensazione quando gioca Rublev, anche nei momenti di forma più splendenti, è sempre presente la percezione che possa succedere qualcosa, una piccola cosa, che lo mandi fuori di testa, portandolo a giocare una partita contro sé stesso, più che contro l’avversario. Ci sono varie fasi in cui si manifesta questa situazione, come fosse un climax ascendente, il russo prima inizia a parlare da solo, poi con(tro) il suo angolo (in particolare con il suo allenatore Fernando Vicente), infine inizia a colpirsi con la racchetta su varie parti del corpo (il ginocchio è il posto preferito), con la violenza di chi si vuole punire, perché non accetta di aver sbagliato. Questa escalation si ripete più o meno in ogni sua partita, anche in quelle che vince e controlla facilmente, come se vincere non gli bastasse, ma dovesse farlo senza compiere errori, giocando una partita perfetta, missione naturalmente impossibile.
C’è una parte nascosta dietro a questa ricerca della perfezione, ed è rappresentata dal fatto che Rublev non si sente al livello a cui ormai appartiene, in un’intervista di un anno e mezzo fa per Ultimo Uomo, quando era già numero 5 al mondo, aveva dichiarato di non sentirsi ancora un top player e di temere che un giorno o l’altro la sua classifica sarebbe crollata, i risultati non sarebbero stati più gli stessi e il suo livello non più sufficiente per ottenere grandi risultati. La frustrazione e la rabbia che mette in ogni partita, quindi, è dovuta alla sua necessità di doversi sentire all’altezza della situazione, senza potersi concedere il lusso di abbassare la guardia, di non andare al massimo, di sbagliare.
In Rublev la sfera emotiva sovrasta quella tecnica e tattica, i sui successi o insuccessi sono determinati, secondo lui stesso e di riflesso secondo noi, dalla sua capacità di mantenere la calma, di gestire i nervi senza sfociare nei soliti eccessi; nella stessa intervista citata in precedenza, ha dichiarato di essere molto emotivo in campo e di dover ancora riuscire a incanalare le proprie emozioni nel modo giusto, perché possono bloccarlo quando sta giocando bene a tennis, facendolo giocare peggio di come gioca quando le emozioni sono indirizzate nel modo giusto, ma il livello di tennis è più basso. Nessuno aveva mai parlato così apertamente della parte emotiva legata al tennis, quando i giocatori entrano nel discorso, parlano sempre di focus, determinazione, forza mentale, stare solidi, parlare delle emozioni è invece una novità per un tennista di così alto livello. Lo scorso anno il russo aveva fatto degli enormi passi avanti sotto questo punto di vista, riuscendo infatti a vincere Montecarlo, primo Master 1000 della sua carriera; dopo la vittoria in finale contro Rune, ottenuta in rimonta, aveva confessato di essersi promesso di non mollare fino alla fine, di aver messo da parte i pensieri che gli dicevano di non possedere il livello necessario per vincere un torneo così importante e, semplicemente, di continuare a giocare fino all’ultimo punto.
È stato un periodo della sua carriera in cui sembrava essere riuscito a incanalare nel modo giusto tutte le emozioni che prova durante le partite, lo abbiamo visto con un occhio diverso, tanto da chiederci se fosse pronto a provare l’assalto a uno Slam, o almeno a superare lo scoglio dei quarti di finale per la prima volta in carriera. Non è andata così, pochi rimpianti sia chiaro (solo la sconfitta a Parigi contro Sonego), ha perso con Djokovic a Wimbledon, Medvedev agli US Open e Sinner agli Australian Open, tutti giocatori che gli sono superiori, ma forse è proprio questo il problema, c’è stato un momento in cui abbiamo pensato che potesse colmare il gap con i 4 giocatori che gli sono sopra, ma ci siamo sbagliati, non c’è riuscito e forse non si è neanche avvicinato. Anzi, da quel momento la situazione è peggiorata nuovamente, abbiamo rivisto il vecchio Rublev, quello che non si sa controllare, con l’aggiunta di un’altra fase alla solita escalation: prendersela con gli ufficiali di gara, giudici di linea o di sedia che siano. È successo nel torneo di esibizione UTS, organizzato da Mouratoglou, dove il russo ha prima discusso platealmente con il supervisor del torneo e poi è addirittura salito sul sediolino dell’arbitro, per mostrargli, da più vicino, le sue ragioni. È successo nuovamente, in forma molto più grave, a Dubai, dove, sul 5-6 al terzo contro Bublik, ha urlato platealmente in faccia al giudice di linea, colpevole, secondo il russo, di non aver chiamato "out" una palla chiaramente lunga.
Al di là delle conseguenze formali di certi gesti, ovvero la squalifica dal torneo di Dubai, con la partita conclusasi anzitempo in favore di Bublik, il vero problema sono le implicazioni sul livello di gioco espresso da Rublev. Il russo ha migliorato molto il suo tennis, ha aggiunto diversi tasselli che prima non possedeva, un cambio di rovescio in lungolinea molto più efficace, capacità difensive più solide, è riuscito ad arricchire il suo gioco e a renderlo meno monotematico. Il passo finale da fare però, è mentale, che ci creda o no, Rublev è il numero 5 del mondo e dovrebbe iniziare a organizzare la propria stagione in funzione di questo, giocando magari meno tornei (vista anche la frustrazione che accumula ogni volta da essi) e concentrandosi sull’essere al top in quelli più prestigiosi. Prima però, dovrà riuscire a mettere in ordine le sue emozioni, indirizzarle nella giusta direzione, per poter esprimere il suo incredibile talento e raggiungere vette, che per adesso vede soltanto.