Non è l’effetto Sinner, perché in questo senso il momento del raccolto arriverà, ma a confermare il grande momento del tennis italiano, che ha l’altoatesino in copertina, oggi è arrivata per Jasmine Paolini la finale al Roland Garros, con il match vinto su Mirra Andreeva (6-3 6-1). Domenica scorsa la Paolini aveva vimto al Wta 1000 di Dubai, secondo titolo della 28enne tennista lucchese nel circuito Wta dopo il 250 sloveno del 2021, trionfo che le ha consentito di salire al numero 14 del ranking femminile, un risultato forse insperato anche dalla stessa atleta.
Classe 1996, padre toscano e madre di origini ghanesi e polacche, fisico compatto – supera di poco il metro e sessanta – e grinta da vendere, Paolini sta vivendo il momento migliore della carriera: raggiunti gli ottavi di finale agli Australian Open, lei che mai era arrivata così avanti in uno Slam, a Melbourne aveva dovuto interrompere i sogni di gloria a causa della sconfitta contro Anna Kalinskaya, ma il destino aveva evidentemente pronta per lei la rivincita, e che rivincita, dal momento che nella finale di Dubai la sua avversaria, questa volta sconfitta (4-6, 7-5, 7-5), era stata proprio la russa. Un’affermazione non da poco, e se è vero che Paolini non ha affrontato le migliori del mondo nel percorso del torneo e ha potuto superare i quarti grazie al ritiro della favorita Elena Rybakina, è vero altresì che iscritte al torneo tutte le migliori, da Swiatek a Gauff, passando per Sabalenka e per la stessa Rybakina.
Dal punto di vista statistico, Paolini è la terza italiana ad avere vinto un Wta 1000, dopo i trionfi di Flavia Pennetta a Indian Wells nel 2014 e di Camila Giorgi al National Bank Open del Canada nel 2021, ma c’è da dire che, mentre il tennis italiano maschile ha dovuto aspettare decenni per tornare alla ribalta con un fuoriclasse, tra le azzurre in singolare gli ultimi quindici anni sono stati storici, considerando la vittoria di Francesca Schiavone al Roland Garros nel 2010 all’ultimo atto contro Samantha Stosur e la finale tutta italiana dell’US Open 2015, quando Flavia Pennetta superò in due set Roberta Vinci. A questo andrebbero aggiunti la finale di Errani al Roland Garros 2012, i best ranking di Schiavone (quarto posto), della stessa Errani (quinto), di Pennetta (sesto) e Vinci (settimo), nonché i trionfi nel doppio sempre di Vinci, Errani e Pennetta, che sono state anche prime nel ranking specifico.
Insomma, anni tutt’altro che poveri, ai quali andrebbero aggiunti i risultati in Fed Cup (quattro vittorie tra il 2006 e il 2013) e la finale 2023 del torneo che oggi porta il nome di Billie Jean King. Anni nei quali però, dopo il ritiro di Schiavone e Pennetta soprattutto, l’Italtennis femminile si è aggrappata alle lune della tanto talentuosa quanto incostante Camila Giorgi (1991, appena uscita dalla top 100 del ranking) e ha forse un po’ sottovalutato il percorso di Paolini che, allenata dall’ex azzurro Renzo Furlan, non è arrivata al livello attuale casualmente, ma attraverso un lavoro tante volte oscuro, come piuttosto oscuro del resto è il tennis femminile da un certo ranking in giù.
Attualmente, dopo l’aggiornamento di lunedì 26 febbraio, il ranking Wta vede, dietro a Paolini, altre quattro italiane nei primi cento posti, ma tutte dopo la cinquantesima posizione: Lucia Bronzetti (1998) al 52esimo posto, Elisabetta Cocciaretto (2001) al 56esimo, Martina Trevisan (1993) al 60esimo e l’eterna Errani (1987) al novantesimo. Fluttuazioni che qualcosa raccontano, ma non tutto, perché Trevisan si era arrampicata sino alla 18esima posizione, Cocciaretto è stata tra le prime 30 e si tratta di risultati che sarebbero considerati ragguardevoli, se non fosse che il passato dei grandi trionfi non è poi così remoto e dunque il confronto con le fuoriclasse di quel periodo non regge. Paolini, che è nell’età della maturità agonistica, tra l’Australia e Dubai ha riacceso in maniera quasi imprevista la luce sul movimento, ha ancora margini di miglioramento nel ranking, non può essere considerata al livello delle migliori del circuito, ma per grinta e genuinità buca lo schermo come poche. E, da quando ha iniziato a vincere, ci sta prendendo gusto.