Jannik Sinner non lo spieghi. Il sorriso tirato davanti alle telecamere, figlio di un carattere contenuto e riservato che conquista tutti quelli che si ritrovano a guardarlo, trasformando un ragazzo altoatesino di poco più di vent'anni in un personaggio capace di restituire a un intero Pease la passione per uno sport come il tennis. Il carattere contenuto del tipico bravo ragazzo che si scontra con le polemiche che nascono intorno a lui, dalla residenza a Montecarlo alla mancata partecipazione al Festival di Sanremo, mentre lui sembra continuare a non accorgersi - o meglio, non interessarsi - di quello che non riguarda il tennis. Gli piace giocare, allenarsi, migliorare e puntare sempre più in alto. Gli piace la competizione e la sfida, il duro lavoro. Sono queste le caratteristiche di un atleta che, come raccontato da Alberto Tomba, sta entrando a far parte di "quel club ristretto" di pochissimi italiani composto da lui, Federica Pellegrini, Valentino Rossi. Ma cosa c'è di davvero speciale in Jannik Sinner? In un ragazzo che non è personaggio come potevano essere proprio Rossi o Tomba all'apice del loro successo? La risposta sta nell'autenticità delle risposte che Sinner dà nel corso dell'ultima intervista rilasciata a Vanity Fair.
L'intervista si apre con la descrizione di un'immagine che ci sembra di vedere: Jannik Sinner seduto sulla poltrona di un hotel troppo grande, e pomposa, per lui. "Se non fosse per i pantaloncini e la maglietta colorata, sarebbe un principe sul suo trono" scrive Federico Rossa e lui è lì, un ragazzo dai capelli rossi che ha appena conquistato l'Australian Open, che aspetta le domande con la semplicità di chi non sa mai quale sia la cosa giusta da dire. Eppure, in quel suo estro strano, Sinner risponde a tutto con perfezione. Coglie l'ironia, la usa, ci gioca, e poi torna serio, scacciando polemiche ed evitando inutili contrasti. Non gli piacciono le interviste, lo dice chiaramente, perché "quando ne fai tante e ti fanno le stesse domande, ti tocca dare sempre le stesse risposte". Sono le risposte di un ragazzo che si conosce e che, proprio per questo, conosce anche le sue debolezze: "Posso gestire ancora meglio certi momenti di difficoltà, c’è ancora molto che posso imparare dai miei errori. Ora sto giocando bene, ma arriveranno momenti un pochettino più difficili: è importante lavorare adesso per affrontarli preparati".
Mentre parla con il giornalista, Sinner mangia. E anche questa immagine - descritta nell'intervista - sembra un disegno che possiamo ammirare leggendo: Jannik che mangia con ordine, come un tennista che sceglie la proprie palline, che nella testa gli dà un numero, le sceglie e le scarta. Lui fa così con la frutta su un vassoio della sua stanza di hotel, seguendo un "rigoroso schema" a ogni boccone: "Ananas, fragola, cinque mirtilli infilati su un rebbio, e poi di nuovo ananas…". Chissà se lo fa per un motivo preciso, viene da chiedersi, o se è solo l'ennesima cosa che Jannik tiene sotto controllo senza saperlo, che muove il suo mondo e la sua vita. Un rigore affidato anche alla guida delle persone che Sinner ha scelto di avere al suo fianco: "Sono le persone giuste al momento giusto, che mi hanno indirizzato sulla strada giusta. Mi hanno aiutato a crescere, a conoscere meglio me stesso, il mio corpo".
Anche la vittoria agli Australian Open, che ha tenuto incollati al divano migliaia e migliaia di italiani e di tifosi da tutto il mondo, è un passo che Sinner vive con l'emozione contenuta di chi non vuole dare troppo peso al successo: la notte dopo la finale ha dormito tranquillo, guardando un film fino ad addormentarsi dopo una cena con il suo staff, e nel letto con lui non c'era nemmeno la coppa perché "l'avevo lasciata al mio manager". Sono risposte (come quella in cui dice che quelle sul suo viso non erano lacrime ma semplicemente sudore) che possono far passare il giovane tennista per un personaggio freddo, apatico, ma dietro lo scudo di Sinner c'è molto di più. Una tenerezza, una maturità e un'intelligenza rare per i suoi 22 anni, tratti caratteriali che emergono quando parla - per esempio - dei suoi genitori: "È stata tosta anche per loro. Avevo 13 anni e mezzo, e la verità è che appena sono arrivato lì mi sono messo a piangere. Li ho chiamati dopo due ore, e loro avranno pensato: “Ecco, dobbiamo andare a riprenderlo”. E invece gli ho detto di stare tranquilli, che andava tutto bene. Ho avuto la fortuna di stare in una famiglia fantastica, quella di Luka Cvjetkovic: c’erano due figli e anche un cane. Ero felice, io non l’avevo mai avuto un cane".
Un mito, un esempio, direbbe qualcuno. A dirlo è sicuramente stata Giorgia Meloni che ha parlato di lui come un esempio dell'Italia che ci piace" ma Jannik quando lo paragonano ad un esempio da seguire alza le spalle: "Boh. È una domanda difficile. Io gioco a tennis, a qualcuno piaccio e a qualcuno no. Per alcuni dovrei essere più sicuro di me, mentre altri apprezzano la mia umiltà". Si parla di tutto, dal rapporto con gli amici alle trasgressioni, dal denaro ("Se vado al ristorante e la pasta al ragù costa molto più di quella al pomodoro, prendo quella al pomodoro") agli sfizi ("L’unico regalo che mi son fatto è la macchina") ma la consapevolezza di sé di Sinner non cambia mai.
È questa la vera forza di questo ragazzo, di questa intervista, e della personalità di un tennista rotondo, incredibilmente talentuoso ma anche sorprendentemente interessante per chi, di tennis, non ha mai capito niente. La forza di uno che sa vincere, che conosce la fatica e che non avrà paura di cadere quando succederà: "Tutte le partite che si vincono, non si vincono nel giorno in cui si disputano. Si vincono preparandosi per mesi, forse anni, lavorando per quella partita. Vedremo se questo lavoro servirà anche al primo fallimento, vedremo come reagirò. Ma non ho paura di sbagliare, non ci penso. Non vedo che senso abbia pensarci".