Loris Capirossi è la storia del motomondiale, della Ducati in MotoGP, degli italiani protagonisti e delle rivalità più crude. È tutto quello che dovrebbe essere un pilota. Tre titoli mondiali e l’impressione che, come per tutti i grandi, avrebbe potuto vincere molto di più. Come Schwantz, Lucchinelli, Simoncelli. Capirossi le conosce le storie dei piloti, degli uomini del paddock, dei costruttori. Le ha vissute sulla sua pelle, dando sempre il cuore. Dagli inizi, quando i genitori ipotecarono la casa per farlo correre, ad oggi, che si sveglia nella sua casa a Montecarlo per tornare ai circuiti. Perché lui il pilota l’ha sempre fatto per passione prima che di mestiere.
Ha vinto il suo primo mondiale da esordiente nel 1990, correndo nella stessa squadra di Fausto Gresini quando l’altro era un idolo e lui l’ultimo arrivato. Con Fausto che lo aiuta a vincere il titolo in Australia, perché tra loro c’era rivalità ma anche rispetto. E, dopo essersi ripetuto l’anno successivo in 125, Capirossi ha vinto il titolo della 250 nel 1998 quando l’esordiente veloce non era più lui, ma Valentino Rossi. Gli anni degli SR 50 replica, ma anche del pugno ad Harada, della lotta in pista, dell’Aprilia che lo allontana. Così Fausto lo riprende, stavolta da Team Manager, per correre ancora. Piangeva Loris, al funerale di Fausto. Piangeva e raccontava di aver perso un amico vero.
Capirossi ha gareggiato senza sponsor in una 500 dura, difficile, vincendo il Gran Premio d’Italia del 2000 contro Biaggi e Rossi in una gara che rimase storica. Loris è anche la storia di Carlo Pernat, che gli ha fatto a lungo da manager. “Eravamo amici davvero, con Loris. Come lui non ce ne sono” racconta il genovese nel suo Belìn che Paddock. È l’uomo che ha portato la Ducati al debutto in MotoGP, una moto scorbutica e rabbiosa che pretendeva di essere domata. Ha sfiorato il titolo, ha rischiato la morte. Ha rischiato anche di farsi licenziare, perché Ducati - racconta Pernat - alla fine del 2004 lo voleva portare in Superbike. Nel 2006 però, con 8 podi di cui 3 vittorie, Capirossi avrebbe anche potuto vincere il mondiale. Il pauroso incidente al GP di Catalunya però, tra i più spaventosi degli ultimi vent’anni, gli portò via quella possibilità. Poi l’anno successivo, il 2007, quello di Casey Stoner. Era lì Loris, dall’altra parte del box, come era stato lì con Fausto Gresini e (con la stessa moto ma in un'altra squadra) con Valentino Rossi. A Ducati arrivò un titolo mondiale, a Loris il figlio Riccardo. E un terribile incidente in auto nel quale perse la vita un ciclista.
Poi il passaggio alla Suzuki, con cui corse fino al 2010 per arrivare in Pramac nel 2011. Aveva 38 anni, dava consigli ai piloti giovani, si divertiva ancora. Poi la Malesia, la morte di Marco Simoncelli, la paura. La paura che non ha mai avuto in tutta la sua carriera, chiusa a Valecia con il numero 58 sul cupolino perché era l’unico a poterlo fare.
Una vita nelle corse, quella di Loris. E se le Ducati volano oggi è un po’ anche merito suo, che le ha portate al limite quando erano dure, difficili e rabbiose.