Max Verstappen non si può ricordare di Ayrton Senna. Quando è nato, nel 1997, il pilota brasiliano era già tragicamente scomparso da quattro anni. Verstappen è quindi stato il primo campione del mondo di Formula 1 nato dopo il weekend nero della storia del motorsport, cresciuto senza l'ombra di un giorno che ha cambiato per sempre il modo di vedere, leggere e comprendere la massima serie.
Lo avrà sentito mille volte, nei racconti di papà Jos Verstappen, nelle storie del quasi suocero Nelson Piquet, brasiliano come Senna, non certo suo amico però. Lo avrà visto correre, nei filmati di una Formula 1 che Max adora, che rimpiange nonostante la giovane età. Ma non lo ha conosciuto, sognato, visto con gli occhi di chi - bambino - osserva un mito. E ora che sta per raggiungere quel traguardo, quello che tra le righe della storia del motorsport rappresenta un passaggio definitivo da cui non si torna indietro, è impossibile non immaginare come vivrà questo momento.
Potrebbe farlo già in Canada dove, dopo il 40esimo successo portato a casa in Spagna, in caso di vittoria arriverebbe a quota 41 andando ad eguagliare il numero di Gran Premi vinti in carriera da Ayrton Senna. Una carriera interrotta, quella del pilota brasiliano, ma anche una carriera diversa, figlia di un tempo fatto di piloti più adulti, di meno gare in un campionato, di numeri e dinamiche molto diverse.
È strano quindi pensare che un ragazzo come Max Verstappen, a soli 25 anni, stia già arrivando a questo traguardo, a un tetto che per molti altri prima di lui ha rappresentato tanto, tutto. E che lo faccia in un modo suo, figlio di un carattere schivo, un modo di essere a cui ci ha da tempo abituati: l'olandese che non piange mai, neanche davanti al suo primo successo in casa, a Zandvoort, circondato da centinaia di migliaia di persone arrivate solo per lui. L'olandese cresciuto con l'obiettivo di un padre che lo ha sempre voluto campione, il ragazzo pronto - a soli 17 anni - a lottare tra i più grandi, a non farsi intimidire da nessuno, a non nascondere mai il suo carattere.
È diverso da chi questo risultato lo ha raggiunto prima di lui, e proprio per questo motivo la sua giornata, quando arriverà, avrà un sapore unico per lui - che di questo numero è figlio insieme ai suoi sacrifici - e per tutti gli altri. Non assomiglierà a Monza 2000 quando il 41 arrivò per Michael Schumacher che, in conferenza stampa post gara, si lasciò andare a una sensibilità nascosta. Pianse, Michael, come mai nessuno in Formula 1 gli aveva visto fare. Lui che di Senna era rivale in pista, il giovane che prova a soppiantare il campione, dentro alla storia di un lutto che resiste al tempo, che si sfoga proprio nel giorno di quel confronto fatto solo di numeri.
Non assomiglierà neanche al giorno in cui Lewis Hamilton - proprio in Canada nel 2017 - eguagliò il numero di pole position di Ayrton Senna, le 65 che facevano del brasiliano il mago del giro secco. Lewis che, in Ayrton Senna, ha sempre visto il mito: il pilota che guardava da bambino, quello che più lo ha fatto soffrire. Ricorda ancora la sua morte, arrivata mentre si trovava in pista a correre con i kart, e ricorda - vivida - l'immagine del padre che gli diceva di non piangere, perché simbolo di debolezza in un mondo che già lo avrebbe messo a dura prova. Quel giorno in Canada Hamilton ricevette dalla famiglia del brasiliano un casco in dono, un omaggio che per Lewis rappresentò tutto: emozionatissimo, visibilmente scosso dal regalo inaspettato, incapace di spiegare a parole il viaggio fatto per arrivare a quel traguardo.
Non assomiglierà a nessuno dei giorni degli altri, così come Max a modo suo non assomiglierà a nessuno dei campioni che eguaglierà, batterà, supererà in termini di numeri. Perché i numeri alla fine sono solo questo, cifre che si ripetono, piccoli tasselli di storie che per essere raccontate hanno bisogno di altro. Sarà il tempo dei paragoni il giorno in cui Verstappen eguaglierà, e poi supererà, Senna. Che sia in Canada, in Austria o ancora più avanti nel corso della stagione. Saranno giorni di "lui però", "lui non", a chiamare in causa un passato che non va rivangato in nome di un presente che oggi ci appare in un modo, ma che tra anni potrà sembrarci diverso.
Chi lo avrebbe detto, in quel giorno del 2000 a Monza, che Michael Schumacher sarebbe riuscito a vincere tutto con la Ferrari, a creare nuovi record, abbattere ogni barriera numerica della massima serie. E chi lo avrebbe detto poi che Lewis Hamilton avrebbe fatto lo stesso. Che da quel 2017 altri anni di successi lo avrebbero aspettato sulla sua strada, arrivando poi a quella delusione infinita nel 2021.
Chi avrebbe potuto raccontare la loro storia, spiegarla fuori dai numeri, nel giorno di questo passaggio? E chi potrebbe dire, immaginare, quali numeri avrebbero raggiunto se le cose nelle loro vite e le loro carriere fossero andate diversamente? Partendo proprio dall'uomo che, superato a quota 41, mette tutti gli altri sull'attenti, consapevoli di ciò che sta succendo. Lasciamo quindi a Max Verstappen il beneficio del dubbio. Lasciamo che superi tutti i numeri simbolo di questo sport finché potrà, vorrà, riuscirà a fare. E che lo faccia senza sapere cosa ci sarà dopo, senza il giudizio di chi lo vorrebbe diverso, simile a ciò che si aspetta da lui. E facciamolo perché è così che si diventa campioni, quelli veri, quelli che con i numeri non hanno niente a che fare.