Protette dai muri di una città antica, le strade di Baku sembrano una culla che custodisce i sogni di chi arriva per correrci. Piloti bambini con tutto da dimostrare, piloti troppo adulti con poco da perdere, piloti in lotta per il mondiale, pieni di collera, sfortuna, voglia di redenzione.
Baku li accoglie, in un punto centrale di un calendario stagionale che sembra quasi non esistere prima dell'ingresso in scena di questa pista, e li lascia andar via sempre un po' diversi. Sotto il vento di una città bellissima li mette davanti ai muri, ai bivi, ai vicoli senza uscita. Sono scelte da dover prendere, quelle di Baku: rischiare un po' troppo, pretendere troppo poco, accontentarsi, mandare al diavolo ogni cosa.
Baku chiede, Baku toglie, Baku dona. È stato così per Charles Leclerc quando, nel 2017 ha scelto di partire per l'Azerbaijan a soli due giorni dalla morte del padre per correre nel weekend di gara di Formula 2 che lo vedeva in lotta per il titolo mondiale. "Vinco a Baku e poi andrò a seppellire mio padre" disse all'allora team principal della Ferrari Maurizio Arrivabene. Quel giorno Leclerc fece una scelta, forse la più difficile della sua carriera, e un pezzetto di quello che è, e che è sempre stato anche lì - nel dolore più grande - è rimasto tra le strade di questa città. C'è rimasto incastrato dentro un Charles piccolo, capace di schiacciarsi dentro ogni sofferenza, e allo stesso tempo così grande da riuscire a spremere ogni cosa di sé per estrarne la capacità di sognare, combattere, vincere.
È stato così per Sebastian Vettel che tra quei vicoli una volta si è perso e una volta si è ritrovato. La prima sempre nel 2017, anno della grande lotta in Ferrari per il titolo contro Lewis Hamilton. A Baku, come ad anticipare un tratto del suo carattere che negli anni successivi lo porterà all'addio dalla rossa, il primo segno di un cedimento psicologico: un colpo di rabbia contro un Hamilton in grado di giocare, far innervosire e piegare gli avversari. Prima il tamponamento in regime di safety car, poi lo speronamento fianco a fianco.
La seconda volta, nel 2021, nel suo primo anno lontano dalla Ferrari. A Baku, in una gara pazza fatta di colpi di scena e follie, proprio la testa tante volte criticata di quel quattro volte campione del mondo l'ha portato a podio, il primo dopo la Ferrari, il primo dell'inizio di una redenzione pubblica dopo anni di fatiche e dolori.
Ma è stato così anche per chi, come Lewis Hamilton e Max Verstappen, nel 2021 puntava molto più in alto di un podio della redenzione. Due che tra attacchi e risposte non hanno mai ceduto, sbagliato, concesso all'altro di vedere le proprie fragilità. Tranne a Baku. In modi diversi Hamilton e Verstappen si sono mostrati lì, tra le strade strette dell'Azerbaijan come poi mai, nel corso della stagione, li abbiamo rivisti. Max inferocito e distrutto dallo scoppio di una gomma quando si trovava in testa alla gara. Lewis colpevole inconsolabile di un errore mai creduto possibile alla ripartenza della gara proprio dopo il ritiro dell'avversario.
Delusi, redenti, diversi, pieni di ogni emozione conosciuta. Così i piloti ogni anno lasciano i bivi ventosi di un circuito che regala divertimento, certo, ma che fa molto di più. Ci costringe a guardare i piloti fare una scelta: peccare di eccesso o di paura, sbagliare di arroganza, affrontare il dolore della delusione e della perdita. Giocare, che poi a vittorie e sconfitte ci penseremo altrove.