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Ecco tutti i casini fatti dal giovane Vale

21 ottobre 2021

Ecco tutti i casini fatti dal giovane Vale
C’era una volta un giovanissimo Valentino Rossi: chi lo ha conosciuto allora lo ricorda vivace e spavaldo, appassionato di qualsiasi motore e, soprattutto, in grado di cavarsela sempre, che si trattasse di sequestri di moto o interrogazioni a scuola

Com’era Valentino Rossi da piccolo? La Gazzetta dello Sport lo ha chiesto a chi lo ha conosciuto da bambino come Maria Antonietta Donati, la maestra delle scuole elementari, Tiziana Martinucci e Umberto Uguccioni, compagni di classe all’asilo e scuola o Mario Gabanini, l’ex brigadiere della stazione dei Carabinieri di Tavullia.

“Speciale” lo definiscono tutti, anche Alberta Gambini, la titolare della storica edicola del paese: “Io sono nata nel 1943 e babbo Serafino, “Fino” perché a noi piace accorciare i nomi, già ce l’aveva: vendeva giornali, tagliava capelli, riparava le calzature”. 

Il primo a parlare è Umberto che racconta di un Valentino vivace ma educato, a tratti timido con le ragazze e appassionato di auto: “Già il fatto che fosse figlio di un pilota del Mondiale ai nostri occhi lo rendeva speciale. E poi lo guardavamo con invidia perché aveva sempre i giochi migliori e più nuovi. Me lo ricordo vivacissimo ma educato, silenzioso, quasi timido con le ragazze. Ma già quei primi anni lui pensava sempre e solo alle corse. Era fissato con le auto, disegnava continuamente le Porsche e poi regalava il disegno.

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Tra gli amici c’era chi giocava a calcio e chi era appassionato di motori, io facevo tennis, ma essendo vicino di casa di Uccio, giocavo spesso con loro. Poi, crescendo, vedendo quello che combinavano con i motorini e l’Ape, i miei mi tenettero un po’ in disparte. Ma da quello che faceva con lo skate, le discese sulla neve col bob, le impennate in bici, vedevi che nessuno era come lui”. 

“I disegni delle Porsche non li ricordo, che si mangiasse i colori a cera però sì – continua sorridendo Tiziana -. A noi femmine piaceva questo bambino allegro, solare. Cioè, a me no. A me piaceva Filippo, che nel gennaio del 1999 è scomparso in un incidente stradale assieme a Yuri, un altro compagno. La prima gara che vinse dopo quella tragedia, Vale dedicò loro la vittoria. Comunque, io scrivevo bigliettini a Filippo, e Valentino li scriveva a me, chiedendomi di fare i compiti, di giocare. E io, ogni volta, rispondevo “No”. Da quando ho memoria, lui è stato compagno di banco di Uccio, erano sempre assieme. Correva col kart e le minimoto, aveva il casco con la tartaruga, poi ci fu l’esplosione. Dal debutto del 1996 nel Mondiale, non mi sono persa una gara, non so quanti Mugello e Misano ho visto, sono stata anche a Silverstone, Assen, Barcellona e Brno. L’ultima volta l’ho incrociato un paio di mesi fa al Parco a guardare una partita di calcetto. Mi ha visto, mi ha baciata chiedendomi come stavo, ma io, non so perché, davanti a lui mi agito sempre, eppure ne avrei da chiedergli”. 

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Ma com’era invece il Valentino studente? “Ho insegnato solo gli ultimi due anni, ma quanto ho voluto bene a quei bambini – ricorda sorridente la maestra Maria Antonietta –. Era un periodo difficilissimo, mia madre era morta da poco, avevo perso la sede di lavoro a Villa Fastiggi, avevo un figlio di 1 anno e una di 10 e dovevo fare avanti e indietro. Ricordo pianti strazianti, invece trovai un’accoglienza incredibile. Valentino studente? In tutta onestà, non lo definirei uno “eccellente”, di suoi compagni ricordo ancora dei temi, di lui no.

Però, se lo interrogavi, se la cavava sempre. Era come oggi, sembrava uno scavezzacollo, a volte veniva a scuola in minimoto e un giorno si presentò col braccio ingessato, ma ha sempre usato testa e passione per realizzare il suo sogno. Ecco perché a 42 anni corre ancora. E poi era educato. Qualche volta l’ho rivisto, però mi sorprese quella volta che la mamma mi chiamò per dirmi che Vale aveva saputo che mio figlio Giacomo aveva il motorino, e di passare in negozio a scegliere un casco”. 

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Al brigadiere Gabanini toccò anche rincorrerlo quando nel corso di una settimana, gli sequestrò due motorini, e un terzo quella dopo. “Valentino l’ho visto crescere, era... non facile da contenere, mettiamola così – lo racconta mentre sorride indossando la divisa di Tavullia, maglietta e berrettino gialli del 46 -. Aveva una vitalità enorme, da piccolino lo gestivi, ma crescendo, tra gimcane, moto, l’Ape, le corse intorno alle mura, non sempre fu facile. Né a lui né agli altri ragazzi, una trentina, e tra loro anche mio figlio Gabriele, che a sua volta si vide portare via il mezzo dai miei colleghi, potevi consentire di fare tutto ciò che volevano, ma provavo a intervenire con metodi da papà.

Sequestravo il mezzo, lo portavo in caserma, facevo la paternale, chiamavo Stefania e Graziano. Ma dopo pochi giorni la scena si ripeteva: il problema era che, sequestrato un motorino, ne spuntava un altro, aveva il garage pieno. Una volta lo inseguì e passando davanti al Bar Sport vidi i ragazzi fuori che ridevano: si era nascosto nel bagno! Non avrei mai immaginato che diventasse quel gran campione, ma ora che sta per smettere, so che uno come Vale non rinascerà più”. 

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E poi ci sono la Berta e la sua edicola traboccante di foto, riviste, messaggi, ricordi. “Io sono nata, cresciuta e vissuta tra carta, capelli e scarpe – racconta -. E qui dentro ormai passano tutti, francesi, tedeschi, americani, canadesi, australiani... Famosa io? Ma va, però se mi chiedono, rispondo. Graziano veniva sempre qua, ma le gare hanno iniziato a piacere a tutti solo con Valentino. Prima era cosa da uomini, andavano fino in Jugoslavia a vedere Agostini e Pasolini, poi con Valentino tutte, donne, nonne, bambine si sono innamorate cotte. Del resto, basta guardargli gli occhi, sono magnetici. Anche Luca è bello come il sole, ma è più aristocratico, non esuberante come Valentino.

Che quando vinceva, era come se vincessero tutti. Quel giorno a Welkom, porca mattina (intercalare di Tavullia; n.d.r.), tutti eravamo lì sognanti, e chi se l’aspettava, mentre lui a fine gara non sai se sotto il casco rideva o piangeva. Che bella quella volta». E ora che stiamo giungendo al capitolo finale, come lo descriverebbe? "Immenso! È l’unico aggettivo giusto". 

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