Il regalo glielo ha fatto con un giorno di anticipo il radiologo, comunicandogli che ha nulla di rotto e che, quindi, non ci sono fratture o lesioni. A rischiare di compromettersi il compleanno, però, ci aveva pensato due giorni prima da solo, cadendo dalla moto da cross durante le prove della tappa di Chieve del campionato regionale Lombardia di MX. Brutta botta in testa e una spalla dolorante, tanto da rinunciare a correre la gara ed aspettare che finisse la maledetta domenica per potersi sottoporre, ieri, a tutti gli accertamenti del caso e alle dovute radiografie. Che, come detto, non hanno evidenziato traumi di particolare gravità. Per Andrea Dovizioso, quindi, quello di oggi sarà un compleanno d’attesa, perché il test sull’Aprilia RS-GP a Jerez non è a rischio, come invece s’era temuto fino al verdetto dei medici.
Un compleanno, il 35esimo, tra il fango e l’asfalto. Il fango del motocross, con una stagione di salti e ruote tassellate che ha voluto con tutto se stesso dopo la delusione della separazione da Ducati, e l’asfalto della velocità, che invece è tornata a bussare alla porta del desiderio. Si sono sbrigati, sia lui sia Aprilia, a spiegare che quel test non sarà una promessa di matrimonio e nemmeno una prova di convivenza, ma la verità è che non ci crede nessuno. Non ci crede lui, che in Aprilia vede una possibilità per non chiudere in maniera incompleta una carriera, e non ci crede Aprilia, che in Andrea Dovizioso vede l’occasione irripetibile di far crescere una moto che fino ad ora ha deluso troppo e non ha reso onore alla storia racing del marchio. E non ci credono, ma anzi al contrario ci sperano proprio, i fan sia del Dovi sia di Aprilia, che contano già i giorni in vista del 12 aprile: il giorno scelto per il primo incontro tra la moto italiana e il pilota forlivese.
Per un pilota la scelta di appendere il casco al chiodo è la più dura. Certo, Dovizioso ha la sua famiglia, la sua meravigliosa bambina e non deve certo garantirsi una pagnotta per il futuro, ma non ha dimostrato tutto. O, meglio, non ha avuto quello che un pilota con il suo profilo umano avrebbe meritato: diventare un simbolo. C’era quasi riuscito con Ducati, al di là delle vittorie fagocitate dal cannibalismo di Marc Marquez e di Honda, ma era diventato Desmodovi. Uno, insomma, che faceva cognome unico con la moto che aveva contribuito a far crescere, fino a portarla a primeggiare tra gli umani. Poi qualcosa s’è rotto e Desmodovi è diventato, in meno di due passaggi, “disoccupato”. E, prima di tutto, amareggiato. Tanto da dire basta, tanto da pretendere, forse in maniera un po’ troppo presuntuosa e totalmente lontana dal suo essere, una sella vincente che potesse garantirgli una qualche possibilità di riscatto. O di vendetta. Ma quella sella non c’era.
C’era, invece, il sogno del cross, accarezzato fin da bambino. Un modo di vivere la moto che aveva potuto mantenersi passione senza diventare lavoro. Impegno, fatica, sacrificio e rospi da ingoiare. Un sogno coltivato insieme a un babbo che è rimasto ragazzino e smanettone e con cui vedeva la possibilità di potersi divertire, senza quella voce interiore che per tutta la vita gli ha ripetuto: “Devi vincere, devi vincere, devi vincere”. Così ha detto basta senza dire realmente basta. Decidendo di aspettare il passaggio di un treno che offrisse una garanzia (quantomeno nel progetto) senza restare seduto, ma saltando nel fango dei crossodromi del centro e del nord Italia.
Poi, però, incidente di domenica a parte, le moto, quelle che hanno occupato tutta la sua vita e che sono fatte per l’asfalto, si sono accese in Qatar. E quel sound c’è arrivato chiaro fino a Forlì, nonostante le distanze. E non dev’essere stato facile prendere coscienza che nella giostra mancava un viso: il suo. Anche perché a Losail la Ducati, la sua Ducati, è andata forte, con Jack Miller e non solo. E oltre alla Ducati è andata forte, o comunque meglio del solito, anche l’Aprilia. Una moto italiana. Che aspetta solo un pilota italiano per crescere. Diventare un simbolo è tornato possibile. Provarci è un dovere. Soprattutto adesso, soprattutto a 35 anni e con l’esempio di un ragazzino che di anni ne ha 42 che è ancora lì a fare a sportellate in mezzo agli altri.
Ecco perché il regalo, questa volta, in questo 35esimo compleanno, Andrea Dovizioso dovrà farselo da solo, trovando la capacità di metabolizzare la delusione, di aggrapparsi all’amore per le corse lasciando andare tutte le seccature delle corse, e rimettere ancora una volta in attesa quel sogno di salti e di fango, per tentare che gli era quasi riuscito e che merita ancora: diventare un simbolo. E anche se il compleanno è il suo, è il regalo che gli chiediamo anche per noi.