“C’est la Dakar”. è quello che ti dicono quando scende l’elicottero e ormai hai premuto il pulsante blu dell’Iritrack.
Non si torna indietro.
Siamo fuori.
La mia Dakar si ferma al km 334,53 su 880 dello Stage 4, quello delle pietre e dei vulcani. Si balla parecchio sulle pietre, nel camion, sembra una lavatrice e Alessio, il nostro meccanico, si è rotto definitivamente assieme al mezzo che al momento avrebbe da riparare lo scarico, l’idroguida, la frizione (dal mattino eravamo con una marcia in meno) e altre perdite generiche. Alessio è stato portato in elicottero a Medina, è ancora lì. In questo momento lo stanno controllando perché ha uno schiacciamento delle vertebre e dei formicolii che richiedono delle terapie di alcuni giorni prima di poterlo dimettere.
Rimasti in due dopo l’elisoccorso, abbiamo portato il camion fuori dall’ennesimo wadi infinito di questo deserto Saudita, è stata una notte lunga perché non potevamo superare i 30 all’ora (per via dello scarico rotto, vuoi mai che diventi un fuoco d’artificio) e con 386km to go siamo arrivati al bivacco che erano quasi le 3 di notte. Lì abbiamo trovato le auto della nostra categoria praticamente distrutte, gente che andava, alle tre di notte, a cercare pinze dei freni, vetri sfondati, cose così.
La parte più divertente è che il rimorchio con tutti i nostri bagagli, compreso mio passaporto, è incidentato da qualche parte, così siamo rimasti in tuta, senza tende, a un grado sotto zero nel deserto.
Ci ho pensato a restare, qui ho tanti amici e in passato ho già fatto assistenza proprio a loro, per imparare a muovermi alla Dakar, ma oggi non me la sento.
Questa gara sono venuta per finirla, se non è così, preferisco tornare a casa.
Mi rivedo piena di polvere, sporca di olio e liquidi vari, il casco sudato, gli strumenti tutti incasinati davanti a me e non lo so se può essere un arrivederci.
Ci penserò, ma non troppo perché le macchine per la Dakar 2026 vanno iscritte entro Maggio.
Fa male. Ma sono fiera di me.
Ho navigato una speciale della Dakar nel deserto assieme a Fabrizia Pons: cioè, che cosa potevo volere di più in questa vita?
Sto bene, a pezzi, ma bene.
Grazie per esserci stati, i pensieri sono arrivati a scaldare la tenda gelata ogni sera.
Mi sembrava di avere tanti fratelli: questo fa la Dakar.
Ti lega alla parte bella degli esseri umani. Ti lega forte.
Per quella parentesi di tempo alla Dakar torniamo tutti indietro a prima di essere diventati chi siamo da adulti, tutti più o meno alla pari al campeggio del disagio.
Sono sicura che deve esserci qualcosa di magico in quella cioccolata calda della mensa piloti, perché appena te ne vai inizi a sentirne la mancanza.
Credevo di essere venuta qui per chiudere qualcosa in senso gestaltiano, che poi non so neanche io bene che cosa.
Insomma, per chiudere, per appendere il casco al chiodo e finalmente trasformare il mio box in qualcosa da signorina, che ne so: cosa tengono le donne in box?
Mi ero detta che in ogni caso, questa, sarebbe stata l’ultima.
Però: come sono felice quando cadono le stelle nelle dune e c’è odore di benzene nell’aria.