Nel circo mediatico del football – circo che ormai da qualche tempo fa 24h, nutrendosi soprattutto delle conferenze stampa degli allenatori e dei podcast allestiti da ex calciatori – la stagione 2024/25, in Europa, sarà ricordata per il filosofare sfidante di alcuni giochisti (trono assoluto per Ruben Amorim del Manchester United, seguito da Roberto De Zerbi edizione francese e il fu juventino Thiago Motta), ma anche, soprattutto in Italia, dalle metaforiche lacrime dei più forti. È stato un campionato di Var e lamentele quello che Napoli e Inter proveranno a vincere stasera. Oddio, ce lo auguriamo, che finalmente ci provino, perché il Ciapa no è anche divertente, però…
Recriminazioni – tante - che hanno visto come obiettivi due distinte entità: l’arbitro (agganciato ovviamente alla sala Var), il più classico dei nemici esterni, e le società, il “nemico” interno. Partendo dalle società, sempre di più target sensibili per l’allenatore-manager che si vuole tutelare, è inevitabile partire anche dal grande Giampiero Gasperini, specialista del settore e navigato uomo di campo che ogni tanto invia una pubblica missiva alla famiglia Pecassi sottolineando come il suo rapporto con l’Atalanta possa essere giunto al capolinea. Poi tutto rientra, in genere, ma il Gasp è uno che sa punzecchiare.

Sempre Gasp – ma qui si cambia categoria. Ecco arbitri e Var – qualche mese addietro tuonò, letteralmente, dopo Atalanta-Torino 1-1: “Ci hanno tolto più di qualcosa. Dobbiamo capire se arbitra quello che è in campo o quello al Var. Chi arbitra in campo non conta più niente, le sue decisioni non valgono più. Se c’è una decisione che mi ha dato più fastidio delle altre? Non fare il furbo, dai, la state mandando in onda. Da dove caschi, dalle nuvole? Nei falli di mano non si capisce più niente. Dietro questo non capire più niente vale tutto. Si può girare la minestra come volete”. Tema forte, quello del rapporto arbitro-Var, basta chiedere a Sir Claudio Ranieri che, in virtù di un rigore non concesso alla Roma in Atalanta-Roma 2-1 (ma qui Gasp, guarda un po’, non si è sfogato), potrebbe rimetterci la qualificazione Champions. Ma poi si sale, passando dalla zona calda delle prime quattro, alla zona bollente delle prime due della classifica. Napoli e Inter, per bocca di Antonio Conte e Simone Inzaghi, hanno prodotto molto, in termini di lamentazioni. Conte ripete da mesi che la rosa è quello che è (persino le strutture in cui la squadra si allena), che se si vince in queste condizioni (ma di chi stiamo parlando? Della Pergolettese?) si realizza un miracolo. Inzaghi, di contro, quando ha visto che si cominciavano a perdere punti assurdi (Orsolini che sblocca Bologna-Inter grazie anche a un gentile omaggio di Bisseck) ha puntato il dito addirittura contro una rimessa laterale giocata dieci metri più avanti del dovuto.

E se la rimessa laterale truffaldina evocata da Inzaghi – come del resto il silenzio stampa al termine di Inter-Lazio 2-2 – sembra frutto di una stagione stressante e interminabile (Inter, di fatto, sempre in campo), la relativa tranquillità con cui Conte – forte di un Napoli nono nel 2023-24 – ci ripete da inizio anno che con ‘sta ciurma di giocatori sta facendo gli straordinari appare studiata, parte di un copione già conosciuto e ampiamente testato (Conte ama ricostruire un ambiente diroccato, ma poi adieu se non arrivano i big). Ok gli infortuni – oltremanica Big Ange Postecoglu, recente vincitore di Europa League con gli Spurs, ha detto e potrebbe dire tanto –, ma Scott McTominay, tanto per fare un nome “nuovo”, che fior di giocatore è? Di contro, Romelu Lukaku, delizia ma anche croce degli Azzurri, non è stato fortemente voluto da Conte medesimo? E perché don Antonio, nell’evocare così spesso il Napoli nono dei tre allenatori, non ricorda che tre quinti della rosa che sta allenando due anni fa vinceva uno Scudetto a mani basse ricevendo anche il plauso incondizionato di tutti? Ok, nel circo mediatico di cui sopra tutti fanno la loro parte. Amorim, fresco di fallimento a uno United che si appresta a vendere i pezzi pregiati, ha minacciato (perché ormai trattasi di minaccia) che se resta a Manchester la sua “filosofia” footballistica (hegeliano o kantiano, Ruben?) non cambierà di un millimetro. Bene, bravo, ideologico fino all’autolesionismo. E da noi? Da noi Conte e Inzaghi si giocheranno uno Scudetto che hanno anche provato a non vincere. Uno dei due, questo è ovvio, ora non lo vincerà davvero. Speriamo non pianga.
