Tra Francesco Bagnaia e Fabio Quartararo ci sono due punti. Restano tre gare. Dietro, Aleix Espargarò a 20 lunghezze, Enea Bastianini a 39, Jack Miller a 40. Ognuno coi suoi demoni a dare tutto sé stesso, mentre noi stiamo a guardare con una punta di buonismo pensando che, se si potesse assegnare più di un titolo nello stesso anno, sarebbe il caso di farlo per loro.
Davanti c’è ancora Fabio, campione in carica, fiato corto. Fabio che è sempre al limite tra lacrime e sangue, il sangue che gli sgorga tutt’attorno di un rosso Ducati e le lacrime che piangerebbe per essere più leggero sul dritto.A Buriram paga il bagnato e una moto che non riesce a far lavorare le gomme, ma è da metà stagione, quando le nuove Desmosedici hanno cominciato a volare, che gioca di rimessa. Risponde, ma non attacca. Bagnaia no, lui è la Ducati fatta ad essere umano. Lo vedi principe con gli occhi buoni, calmo, pulito come una Panigale appena uscita dalla fabbrica e invece poi si accende, è carne e fuoco. Ha vinto e sprecato più di tutti gli altri, zero o cento, primo o mi stendo. Bagnaia è tutto cuore anche se guida pulito, condannato a vincere perché è questo che vogliono a Bologna. Ha passato un anno a giocare a tennis col muro, un muro che rispondeva sempre. Ma adesso comincia ad intravederne le crepe.
Poi c’è Aleix. Aleix che è diventato un eroe povero, venuto su dal niente e costretto ad adeguarsi ad un mondo più affamato di lui, uno che in pista si porta i figli, la moglie. È l’italiano partito per l’America dopo la guerra, dalle campagne a New York. È, Aleix, l’unico a pensare che l’anno prossimo non potrà ripetersi. Meno fortunato rispetto agli altri perché di strada ne ha fatta di più: la distanza implica imprevisti, più cammini e più ne trovi. E invece eccolo, a meno venti dopo 17 gare. Coriaceo, insistente. Atleta.
Un altro partito da lontano quest’anno è Enea Bastianini: in ufficiale contro le previsioni, in gioco per il mondiale tra matematica e lettere, talento. Anche lui, come Bagnaia che gli sarà a fianco l’anno prossimo, è uno che punta a vincere, troppo giovane e veloce per accontentarsi dei punti. Ha carattere Enea, non ci pensa minimamente a fare giochi di squadra. Quando si trova Pecco davanti vede un rosso che va oltre alle carene. È cattiveria agonistica, va bene. È una tavola apparecchiata solo con i coltelli per l’anno prossimo.
Questi piloti sono così: marmo duro aggrappato alla montagna, roba su cui puoi solo tirare grosse facciate. È una MotoGP che ti obbliga ad andare avanti così, con i paraocchi e la corazza spessa come un cavallo da guerra. È la stessa MotoGP che ha costruito Valentino Rossi nei suoi anni da mondiale, l’ultimo quel 2015 che tanto ricorda questa stagione. Non c’è lo stesso veleno, ma la stessa intensità sì. Ed è incredibile che un anno così fatichi a trovare il suo pubblico, perché chi si è innamorato di Valentino Rossi l’ha fatto per queste gare, questi mondiali pieni d'incognite e di vita. Valentino a Barcellona ha corso l’ultima gara della stagione e da domani tornerà a guardare le moto da vicino. Con Pecco che è il suo pilota, Quartararo il suo erede in Yamaha, l’Aprilia l’inizio della sua storia. A Valencia siamo tutti convocati e lo è anche Rossi, perché la verità, signori, è che stiamo vedendo il meglio che lo sport del motore possa offrire.