Era il 21 settembre 2000. In radio passavano Music, di Madonna, e Lady, dei Modjo. Al cinema veniva proiettato Chiedimi se sono felice, di Aldo, Giovanni e Giacomo. In Italia, celebravamo le medaglie di Domenico Fioravanti e Davide Rummolo, alle Olimpiadi di Sydney. Il mondo del motociclismo, intanto, piangeva il ritiro di uno dei piloti più forti e iconici della storia mentre un altro, Valentino Rossi, cominciava a vincere nel mondo dei grandi.
Riavvolgiamo un attimo il nastro e torniamo a qualche mese prima: è la seconda manche del Gran Premio d’Australia, in Superbike. Al quarto giro, in regia decidono di trasmettere l’on-board di Carl Fogarty, inconsapevoli di stare per mostrare al mondo gli ultimi metri della sua carriera. L’impatto con Robert Ulm. Il caos della moto che si ribalta nel prato. I tifosi da tutto il mondo mantengono il fiato sospeso prima di vedere il corpo di Carl, a terra, soccorso dai medici. Più avanti, lui stesso ricorderà quella come la gara più brutta della sua vita: gli infortuni rimediati a Philip Island, infatti, non gli permetteranno più di ritrovare la forma di un tempo e, in seguito a un test segreto al Mugello, il 18 settembre, se ne renderà conto.
21 settembre 2000. Carl Fogarty annunciava ufficialmente il suo ritiro dalle corse. Da allora sono passati 23 anni. E a ricordarcelo è lo stesso Foggy, che nelle scorse ore ha postato sui propri profili social un servizio realizzato all’epoca da Nico Cereghini, per Grand Prix - storico programma televisivo sul motorsport - in cui rendeva omaggio al campione inglese, costretto a fermarsi, forse, all’apice della sua carriera. Le immagini sgranate e il costante rumore bianco in sottofondo non possono che riportare alla mente quei tempi, così vicini eppure troppo lontani dai giorni d’oggi: i duelli con Scott Russell e, poi, con Pierfrancesco Chili; i suoi occhi, così penetranti da essere ben visibili perfino sotto la visiera; poi la Ducati…
Un binomio, quello dell’inglese e della rossa, inciso nella storia del motociclismo. Oltre ai record - l’unico capace di vincere quattro mondiali in sella a una Ducati e di raggiungere quota 59 vittorie in Superbike, traguardo demolito poi da Rea, ma quasi vent’anni dopo - la coppia rimane ancora oggi impressa nell’immaginario dei tifosi. Un rapporto che giovò parecchio a Borgo Panigale dove, che con le vittorie di Foggy, si sono riempiti le tasche nell’epoca in cui ancora vigeva il motto “vinci la domenica, vendi il lunedì”. Sì, perché il pilota di Blackburn, in sella alla 916 - e, poi, alla 996 - fece innamorare migliaia di persone con la sua guida.
Proprio Cereghini dirà del suo stile: “Come guida lui la moto non la guida nessuno: spiritato, violento, piega e raddrizza la sua Ducati come fosse un cavallo da rodeo”. Tanto riservato nella vita privata, quanto animalesco in pista. Una mentalità che lo portò a dominare le derivate di serie, venendo spesso paragonato a un’altra leggenda delle due ruote, Mick Doohan. Uno scontro, quello tra i due, che non si concretizzò mai. O meglio, un’occasione ci fu: a Donington, nel 1993, quando Foggy prese parte al Gran Premio come wildcard in sella a una Cagiva - poiché, all’epoca, l’azienda varesina era proprietaria di Ducati. Alla partenza, però, Doohan si auto-eliminò causando un incidente con le due Suzuki di Kevin Schwantz e Alex Barros. Il pilota inglese arrivò a sfiorare il podio, mancato solo per aver terminato la benzina a pochi metri dal traguardo - su una moto che non aveva mai guidato prima. Quel quarto posto rimase il suo miglior risultato in 500, poiché, fino a quel 21 settembre 2000, correrà solamente in Superbike, macinando chilometri e vittorie, ottenendo il soprannome di King Carl - che non smette di accompagnarlo.