È mattina, ad attenderci in uno dei due grandi open space della redazione di Sky Sport al secondo piano c’è Carlo Vanzini, la voce della Formula 1 in Italia. Al nostro arrivo Carlo è in compagnia di Alberto Pierro, Producer di Sky Sport F1. Parlano della prossima stagione. Carlo ci porta in una stanza vetrata, al riparo dal vociare della redazione, per l’intervista concordata la settimana prima. Dice che non è stato complesso passare dall’essere uno sciatore a lavorare nei motori, di essere un appassionato vero, di sentire il fuoco per questo mestiere. I minuti scorrono e lui parla della sua squadra, del rapporto con le critiche e dei momenti che lo hanno reso orgoglioso. Poi entra nel vivo, parlando della stagione appena terminata: dalla crescita di Ferrari al titolo costruttori vinto dalla McLaren. Il registratore segna 56 minuti quando Carlo dice di dover andare. Gli lanciamo un’ ultima domanda: “Chi vince il mondiale 2025?”.
Carlo Vanzini: 53 anni, Caporedattore Sky Sport, telecronista, Project Leader per Sky Sport F1. Il tuo primo amore però è stato lo sci…
“Fin da piccolo mi ha preso, come sport, come attività agonistica. È diventata una cosa più seria dai 15 anni in poi quando mi ha portato a uscire di casa, a vivere da solo e persino a girare il mondo tra Giappone, America ed Europa. È stata una esperienza molto formativa”.
Poi hai iniziato col giornalismo. Com’è successo?
“Avrei potuto fare il maestro di sci o rimanere in Polizia, ero parte del gruppo sportivo. Per una serie di coincidenze invece incontrai la famiglia di Federica Brignone, è stata la mia sliding door. Il papà, oltre a volermi far allenare degli atleti mi fece entrare in contatto con la rivista ‘Sci’, dove la moglie organizzava dei test... lei mi chiese se sapessi scrivere, e io avendo fatto il ‘Diaro del giorno’ per il Cus di Milano durante le Universiadi risposi di sì. Le inviai un articolo e mi chiese di pubblicarlo subito. Non immaginavo quella strada, ma alla fine mi è piaciuta”.
E poi?
“Ero freelence, nel frattempo avevo lasciato la Polizia e il posto fisso, guadagnavo pochissimo. Nel giro di un anno e mezzo circa però, riuscii ad avere la collaborazione con la rivista ‘Sci’, quella con RTL 102.5, una trasmissione di sci sul circuito Odeon TV. Poi mi piaceva molto fare la radio. Una fortuna che ho avuto è che iniziando così ho potuto fare la carta stampata, la radio, il web e la tv…”.
Hai seguito Mondiali e Olimpiadi. Quanto ti ha aiutato l’aver praticato lo sci nel commento?
“Vai a scoprire o lavorare su degli aspetti che quando fai l’atleta dai per scontato. Impari come rapportarsi con l’atleta da allenatore, ti fa ragionare molto. L’altro grande vantaggio che ho avuto è che parte degli atleti che commentavo erano miei amici e questo mi ha permesso di fare cose che altri non potevano fare sia con la tv che con la radio. Potevo andare in camera di Ghedina e seguirlo tutto il giorno perché sapevano che non gli avrei rotto le palle. Ho bussato a mille porte e qualcuna si è aperta. Di certo se non bussi nessuno ti apre”.
Passiamo ai motori. Come si arriva alla cabina della F1?
“Partendo da molto lontano. Mio nonno aveva un’agenzia di pratiche automobilistiche, la prima affiliata con l’Aci. Poi sicuramente con mio papà, che mi portava a vedere i gran premi. Lui faceva Motocross e io a 10 anni avevo già una piccola moto. Quando andavo in montagna giravo insieme a un amico più grande che gareggiava nel mondiale e in discesa mi diceva sempre ‘accelera e non frenare, è lì il bello’. I motori sono un po' come lo sci, c’è l’adrenalina, il rischio…quando eravamo in giro spesso andavamo a fare gare di go-kart e molti sciatori sono diventati piloti, Luca Alfano ha vinto la Dakar, Kristian Ghedina ha fatto la Superstars Series con BMW”.
Com’è nata la passione per la F1?
“Sono sempre stato appassionato di F1 sin da piccolo. Quando andavo in montagna, avevamo l’usanza di trovarci in quattro o cinque e guardare i gp a casa di un amico. Alla partenza, quando facevano il giro di formazione e si schieravano per partire avevo il batticuore, sensazioni che non è facile avere e che non provavo neanche quando facevo le mie gare. Auguro a chiunque di provare un’emozione simile nella vita, che ti faccia stare così in angoscia. Erano anche periodi diversi, c’erano incidenti, purtroppo anche alcuni gravi e la F1 era una gabbia di leoni. Vedevo i piloti come cavalieri con la corazza che tiravano giù l’elmo e andavano a combattere”.
Oggi sono ancora degli eroi?
“Si, ma diversi. Sono eroi di un automobilismo con tanta più sicurezza. Delle volte vediamo botti pesantissimi e nel mentre sto già facendo delle considerazioni su ciò che succederà; poi mi dico ‘aspetta, fammi vedere come sta’ e tutto passa in secondo piano. Io ho avuto modo di fare un weekend in Porsche, ho picchiato a 50 km\h e ho avuto male al collo per tre giorni. Forse, oggi c’è meno percezione del rischio grazie alla sicurezza. In passato erano eroi proprio perché quella percezione la avevano. Detto ciò, restano dei supereroi”.
Quanto lavoro ti è servito per stare al passo con tutto ciò che accadeva in pista?
“È stato un rimettersi in gioco relativo perché passare da uno sport di adrenalina a un altro non è stato così complicato. All’inizio mi è stata molto d’aiuto la presenza di persone che lavoravano sullo sci come Ercole Colombo, Giampiero Agosti o Nicola Basso. Ho iniziato a viaggiare con loro ed è stata una fortuna. Con loro c’era gente come Giorgio Piola, Angelo Orsi, il fotografo di Senna, Giorgio Terruzzi... andare a cena con loro era come studiare. Mi hanno aiutato a conoscere le persone, a entrare…poi dopo sta a te”.
Ci sono aneddoti che ricordi di quei giorni?
“Il primo è legato a Jacques Villeneuve, con cui condividevamo la passione per lo sci: eravamo a Montecarlo e stavo facendo una chiacchierata con lui quando arriva una persona che lavorava in tv, oggi mio collega, che ci interrompe e fa una domanda. Jacques non gli risponde, si gira e continua a parlarmi. Lui ci interrompe nuovamente e Jacques, infastidito, gli chiede di aspettare. Finita l’intervista, si gira verso questa persona e gli chiede di fargli la domanda. Lo guarda, non gli risponde e se ne va. Questa persona mi rincorre e dice ‘Adesso voi delle radio oltre alla pubblicità vi permettete anche di fare domande’. Ci scontrammo, lì vicino c’era una rete e lo appesi per la rabbia…tutto in maniera civile (ride, ndr). Poi, anche quando Giorgio Terruzzi mi fece intervistare per primo Schumacher. Lavorando per le radio ero quasi sempre uno degli ultimi e quel gesto per me contò tanto. Evidentemente le mie domande, che erano molto dirette, piacevano”.
Cos’è per te la cabina di commento, oltre al luogo di lavoro?
“Sono le mie Maldive, il mio luogo di vacanza (ride, ndr) perché quando sono lì entro nel mio mondo. Avendo la responsabilità di tutta la squadra il lavoro è tanto, tra incontri in pista, discussioni…Qualsiasi cosa venga detta ha un peso ed essendo il responsabile, rispondo di ciò viene detto. In postazione di commento entro in un altro mondo. Potrei invidiare i miei colleghi che fanno solo quello, però a me piace”.
Come si gestiscono i momenti di tensione?
“Ci sono stati momenti di forte tensione ma io penso di aver avuto sempre la coscienza pulita. Non ho mai fatto un favore a nessuno così come non sono mai andato contro nessuno perché non mi era simpatico. Se sbaglio lo ammetto e chiedo scusa, se penso di non aver sbagliato difendo la posizione. Una volta mi venne chiesto di non mandare più alle interviste una persona perché non gradita e io dissi ‘ok, non te la mando ma vado in onda adesso e dico che volete imporci delle scelte’. Così facendo, quel collaboratore rimase al suo posto. Per me non esistono le imposizioni: è successo poche volte e per fortuna adesso meno”.
Prima citavi la squadra. Molti dicono che tu sia molto bravo a gestire i tuoi ragazzi in pista. Cosa significa per te?
“Ho avuto la fortuna di scegliere le persone con cui lavoro in base alle loro caratteristiche, mentre spesso queste ti vengono imposte. Sono orgoglioso di aver scelto Matteo Bobbi per parlare di tecnica, nonostante fosse un campione del mondo GT nel mondo televisivo nessuno lo conosceva. Credevo fosse importante avere una persona appassionata di tecnica, ma non un tecnico. Matteo sa farlo e ad oggi lui è indispensabile. Anche il percorso fatto da Federica e Davide è stato fantastico. Una delle prime volte dissi loro che sarebbero diventati una coppia di co-conduzione, una novità assoluta. Dovevano diventare un po' Sandra e Raimondo e ci sono riusciti”.
Quest’anno però c’è stato un grande cambiamento con Vicky e Davide…
“Si, dopo 13 anni di abitudine cambiare significa prima disabituare, poi re-abituare, ci vuole tempo ma pian piano ci stiamo arrivando. Anche l’inserimento di Ivan Capelli per dare credibilità è stato importante. Questo lavoro è come un puzzle e devi far combaciare tutto. Mi piace molto, nonostante tutti i limiti del caso”.
Hai citato i cambiamenti. Come si gestiscono invece le critiche?
“Quando vedo i commenti a certi non rispondo, mentre blocco subito chi offende, perché non merita nemmeno una risposta. Poi magari la gente che mi dà della merda mi scrive anche “mi hai bloccato”. È normale provare antipatia e so che se ti entra dentro può essere insopportabile, ma c’è un limite. Magari uno ti offende e tu ci rifletti, però a me non sta bene. Non puoi venire a offendere senza sapere chi sono o cosa sta affrontando. Se una critica è costruttiva invece, la accetto e la apprezzo. Io sono il primo critico di me stesso e quando finisco una gara so cos’ho sbagliato, dove ho esagerato. A volte però conta anche essere coordinati bene, perché quando si racconta una gara l’adrenalina può farti esagerare. In quei casi, basterebbe dirmi stop in cuffia”.
Quanto pesano i social sotto questo punto di vista?
“Il nostro lavoro è diventato complicatissimo per i social, bisogna star molto attenti all’uso delle parole, ai contesti. Durante il periodo Covid, in Messico commisi un errore e nonostante qualche minuto dopo mi corressi, qualcuno diffuse solo la prima parte della considerazione. Ho ricevuto telefonate in cui mi dicevano che sarei stato giudicato a Norimberga, insulti… I social possono essere una macchina infernale”.
Tecnicamente, come si prepara una telecronaca?
“Adesso arriva in maniera molto naturale: prima mi informo sul luogo in cui si corre, poi dalle Fp2 in poi guardo le statistiche, grazie anche al lavoro di Michele Merlino. Sono tutte cose che servono per preparare anche il “Road to”. Tutto può essere uno spunto, dagli anniversari alle statistiche del circuito. Anche il dialogo è importante e in tal senso ho un connubio bellissimo con Roberto Chinchero. Parliamo da sempre, poi chiudiamo la cabina e di fatto continuiamo in diretta. Poi c’è Marc Genè, una persona squisita. Ormai andare in onda è un divertimento e credo che la spontaneità si senta. Pensa che l’ultima volta ho chiamato Matteo in diretta dicendo “Volevo ringraziarti per tutto quello che hai fatto per Sky” e in tantissimi mi hanno scritto pensando che lasciasse”.
Il Carlo che guardava i primi giri di una gara aveva un idolo?
“Si, era Nelson Piquet, anche per il suo temperamento, era il più scanzonato di tutti mentre nello sci Ingemar Stenmark e Alberto Tomba. Anche Kimi Raikkonen mi piaceva tanto, in generale amo ciò che mi emoziona. Quando la gente mi dice che sono ferrarista rispondo sempre che a Silverstone, con il ritorno alla vittoria di Lewis, ho urlato più delle altre volte. Quando commento non ho mai nulla di preparato, vado in base alle emozioni. Magari sono cazzate, magari è una cosa bella”.
E tra i piloti attuali?
“Dicono che sia innamorato di Charles. È uno di quelli che ti fa emozionare, ma soprattutto vorrei chiarire che io gli voglio molto bene, è un legame nato ancor prima di conoscerlo perché me ne parlava tantissimo Jules (Bianchi, ndr), con il quale avevo un bellissimo rapporto. Ma lo stesso Lando, che ha un talento mostruoso e fa dei giri che sono stupendi. Abbiamo la fortuna di avere dei piloti capaci di fare cose sensazionali. Poi chiaramente siamo una tv italiana, la nostra nazionale è la Ferrari”.
McLaren ha vinto il titolo ma Ferrari le ha quasi rubato la scena. Un tuo giudizio sul 2024 della Scuderia e una previsione per il 2025?
“La Ferrari ha fatto una bella stagione, e avrebbe potuto vincere entrambi i campionati se non avesse avuto quel vuoto da Canada a Spa, dove peraltro è arrivato un podio. Se avesse mantenuto il trend di inizio e fine stagione sarebbe stata in lotta. Se Charles avesse fatto la media punti di quelle 18 gare su tutto il campionato avrebbe avuto gli stessi punti di Max, togliendogliene anche. Dopo la pausa estiva Ferrari e Leclerc sono stati quelli che, nei rispettivi campionati, han fatto più punti di tutti. Non vuol dire che 2025 vincerà al 100%, ma non può non essere tra i favoriti”.
Visto com’è finito il 2024 sarà lotta tra Ferrari e McLaren?
“Togliendo i numeri, McLaren potrebbe essere la favorita, anche se quest’anno ha commesso tanti errori e deve migliorare. Ferrari invece, anche grazie al lavoro di Vasseur mi sembra più a posto. Sarà un campionato tra i più belli in assoluto, perché sulla carta abbiamo quattro squadre e sette/otto piloti in lotta. Penso che la Red Bull ci sarà soprattutto grazie a Max, Mercedes è tornata e nel 2025, se trova continuità, sarà forte. Sulla carta può essere un mondiale eccezionale, poi magari arrivano 24 vittorie della McLaren”.
Ultima domanda, risposta secca. Chi lo vince il mondiale nel 2025?
“Un pilota vestito di rosso”.