La Formula 1, da qualche anno a questa parte, è il suo regno, ma l’inverno, quando il Circus si ferma, Carlo Vanzini torna al primo amore, quello sci che ha praticato a livello agonistico e che lo ha formato da giornalista. Le stagioni dei due sport, del resto, sono complementari: una finisce quando l’altra comincia, settimana più settimana meno, e ciò significa che si può essere sempre sul pezzo. “Da giornalista mi sono divertito parecchio a seguire gare – spiega – anche perché conoscevo di persona quasi tutti i protagonisti. Con molti di loro avevo gareggiato, certo in maniera indegna, ma avere le entrature dell’insider mi ha aiutato anche per la mia crescita personale. E poi località splendide, un ambiente che mi piace sempre…”.
E oggi, che contesto vedi?
In generale credo sia un momento storico, se penso a fuoriclasse come Marco Odermatt, Mikaela Shiffrin, le stesse Sofia Goggia e Federica Brignone. Si tratta di atleti eccezionali, lo dicono i risultati che ottengono e le capacità che evidenziano. Però c’è poca attenzione, nulla a che vedere coi tempi di Tomba, per dire. Oggi guadagnano i primi 5-10 del circuito, ma è comunque nulla rispetto alla notorietà e alla visibilità che hanno altre discipline.
Cosa manca allo sci?
Faccio un esempio stupido: è mai possibile che Odermatt – uno sciatore completo, un fenomeno, perché uno scia così che è merce rara – sui social abbia pochi più follower di me che non sono nessuno? Voglio dire, in Svizzera più volte ha battuto Federer come sportivo dell’anno, eppure i numeri sono quelli. O che Kilde, anche dopo l’infortunio di pochi giorni fa, ne abbia di meno? No, non è normale; è il simbolo di uno sport che non riesce a uscire dalla sua nicchia.
Detto da un ex sciatore, ex telecronista e conoscitore dell’ambiente è scoraggiante.
Secondo me, per certi versi, lo sci è finito perché vive di dilettantismo. Era un discorso che facevo anche quando lo seguivo direttamente o da sciatore, 30 anni fa. Credo ci sia sempre più l’esigenza di avere i team professionistici, come nel ciclismo, ma non solo. Penso a Red Bull, che investe in diversi sport, ma è un nome fra tanti: se ci fossero team strutturati, ci sarebbero investimenti che darebbero benefici a cascata, dai giovani che avrebbero più possibilità ai vivai, sino agli sci club.
E invece?
Al di là delle polemiche, è un dato di fatto che, quando si esce dalla categoria Allievi, si entra in un frullatore di gare, fees, serve disponibilità economica e supporto per andare avanti, mentre qualche anno fa, almeno sino a un certo punto, copriva le spese il comitato regionale. Io non baratterei lo sci per nessun altro sport, ma mi sembra troppo dimenticato, lasciato a sé stesso nella speranza che emerga un campione.
In Italia abbiamo appena festeggiato i cinquant’anni della nascita della Valanga azzurra.
Abbiamo vissuto grandi momenti, ma spesso ci siamo affidati al fenomeno del momento. Ricordo comunque squadre forti, come quella della tripletta in Alta Badia con Pramotton, Tomba e Tötsch. Oggi fatichiamo, ci aggrappiamo all’esperienza di Dominik Paris, alle ragazze, a Casse e Bosca, ma si fa fatica ad avere un ricambio. Qualcosa a un certo punto si inceppa, non riusciamo a esprimere giovani come in passato, e qui credo si torni al punto delle squadre professionistiche, perché quando fai quella vita e al massimo puoi puntare a entrare in un gruppo sportivo militare e a qualche sponsor anche quando sei fra i primi trenta, alla fine sei sempre lì.
Gli organizzatori a volte ci mettono del loro. Coppa del Mondo in Alta Badia, 18 dicembre, secondo gigante, prima manche: un lunedì, alle 10.
Appunto, ed è un peccato perché il pubblico in pista c’è sempre e questo sport lo adora.
Affinità e divergenze tra la Formula 1 e lo sci?
Se dalla Formula 1 ti ritrovi nel parterre dello sci, da giornalista e non solo, ti sembra di essere al parco giochi: è vero che si sono regole anche lì, ma contatto con gli atleti è diretto, mentre in Formula 1 è blindato. Però sono tante anche le affinità dal punto di vista agonistico: pensa alle traiettorie, all’accelerazione, al concetto di uscita dalle curve. Certo c’è la differenza tra l’individuo e la macchina, ma se metti uno sciatore in pista in auto, puoi stare sicuro che è un ottimo guidatore.
Qualcuno lo ha già dimostrato.
Beh, Kristian Ghedina corre con le gran turismo, Luc Alphand ha vinto una Dakar… Ma quando andavamo a gareggiare, anche noi se incrociavamo una pista da kart ci andavamo subito.
Piloti sulla neve?
Leclerc si allena sulla neve in Val Gardena, ma non è l’unico appassionato. Tempo fa portai Marc Gené a Bormio: non aveva mai visto una discesa libera, rimase impressionato. “Sono più matti di noi”, commentò, perché gli sciatori arrivano a velocità enormi senza protezioni, non ci sono né halo né celle di sopravvivenza.
Inevitabile tornare all’incidente di Schumacher.
Più volte ho sentito dire che per ironia della sorte uno che ha rischiato la vita a 300 all’ora per tutta una carriera si è poi fatto male sciando. No, nessuna ironia della sorte: lo sci ha alti rischi, per chi lo conosce è ovvio che sia così, ci sono tanti aspetti da considerare, sia per chi compete sia per chi scia da turista. I rischi si possono ridurre con la conoscenza e con il comportamento che si tiene, sugli sci come in auto.
Ti manca commentare lo sci?
In questo momento non cambierei, il mio ruolo attuale è l’evoluzione del mio percorso professionale. Però, quando riesco, cerco la possibilità di stare nell’ambiente anche dal vivo. Per il resto le gare le guardo su Eurosport e i colleghi sono bravissimi, ma è inevitabile che mi venga ancora da commentarle anche davanti alla tv…