Qatar, Abdullah bin Nasser bin Khalifa Stadium, sabato 13 gennaio. A Doha è appena terminata la seconda partita dell’AFC Asian Cup 2024, più nota come Coppa d’Asia, la competizione calcistica quadriennale che mette di fronte le migliori nazionali asiatiche. La Cina, 79esima nel ranking Fifa, non è riuscita ad andare oltre lo 0-0 contro il modesto Tagikistan, 106esimo e al debutto assoluto nella competizione. I Dragoni allenati dal serbo Aleksandar Jankovic hanno deluso sotto tutti i punti di vista, rischiando peraltro di perdere la partita e regalare una storica vittoria alla selezione centroasiatica. Il tunnel dell’orrore nel quale si è infilata la nazionale di calcio cinese sembra non conosce fine. Il presidente cinese Xi Jinping vuole che la Cina partecipi, ospiti e persino vinca i Mondiali, ma il suo Paese ha partecipato al massimo torneo di pallone soltanto una volta, nel 2002, finendo ultima nel suo girone (gruppo C con il Brasile futuro campione, la Turchia terza qualificata e la Costa Rica) con tre sconfitte rimediate e zero gol segnati. In tempi più recenti la Cina ha incassato un sonoro 3-0 casalingo dalla Corea del Sud, a novembre, in una gara valida proprio per le qualificazioni ai Mondiali 2026, seguito, a gennaio, da un’umiliazione ancora peggiore in un’amichevole in preparazione dell’Asian Cup, rimediando un ko per 2-1 da Hong Kong, città cinese di 7,5 milioni di persone. E pensare che nel 2015 Xi aveva approvato ampie riforme con l’intenzione di trasformare la Cina in una potenza calcistica globale, stimolando un flusso di investimenti senza precedenti nel mondo pallonaro d’oltre Muraglia. In quel periodo i grandi magnati cinesi facevano a gara per investire nelle squadre di calcio locali, mettendo sul tavolo centinaia di milioni di dollari per acquistare giocatori di livello (da Fredy Guarin a Hulk, da Oscar a Carlos Tevez), pagare salari da favola e costruire strutture all’avanguardia, in un connubio tutto made in China tra club calcistici e grandi aziende nazionali. Il folle gioco al rialzo si sarebbe poi inceppato a causa della crisi del mercato immobiliare cinese – lo stesso che avrebbe portato sull’orlo della bancarotta Evergrande, l’azionista di maggioranza del Guangzhou, club di spicco allenato da Marcello Lippi e Fabio Cannavaro – del rallentamento dell’economia del gigante asiatico - che avrebbe spinto Xi a chiudere i rubinetti delle spese folli - e soprattutto dall’avvento della pandemia di Covid-19. Il risultato è che oggi la Cina, intesa come nazionale calcistica maschile, fatica persino ad avere la meglio persino contro Hong Kong e Tagikistan. Mentre la serie A cinese, la Chinese Super League, è rimasta un campionato anonimo, ormai privo di campioni rilevanti (ad eccezione del brasiliano Oscar, ex Chelsea, e pochi altri nomi) e di livello più che mediocre. Ma per quale motivo un Paese che ha mostrato un vivo interesse per il calcio, che può contare su una popolazione di 1,4 miliardi di persone, che ha pompato enormi quantitativi di denari nel sistema calcistico e che, aspetto ancor più rilevante, ha un leader potente e determinato a vedere la sua nazione avere successo nello sport, non riesce ad avere una nazionale competitiva? Le risposte sono molteplici. C’entrano, certo, investimenti sbagliati e crisi economiche. Ma, a quanto pare, c’entra anche e soprattutto l’ombra della corruzione.
La Cina ha esordito nell’AFC Asian Cup 2024 pochi giorni dopo che l’ex commissario tecnico della stessa nazionale, Li Tie, era apparso sulla Cctv, l’emittente statale cinese, svelando un clamoroso caso di corruzione calcistica. L'ex centrocampista dell'Everton era diventato ct della nazionale cinese nel gennaio 2020, guidando le ambizioni di Xi Jinping di rendere il Dragone una superpotenza calcistica. Quattro anni dopo quell'improbabile obiettivo è più lontano che mai, e il 46enne Li sta affrontando una lunga prigionia. In un documentario in quattro puntate, Li ha confessato di aver pagato centinaia di migliaia di dollari in tangenti per assicurarsi il ruolo di tecnico della Cina, e di essere anche stato coinvolto nel cosiddetto match fixing, pratica che consiste nel truccare le partite. "Mi dispiace molto. Avrei dovuto tenere la testa a terra e seguire la strada giusta. Ma alcune cose all'epoca erano pratiche comuni nel calcio cinese", ha dichiarato l’ex dirigente, vestito con abiti scuri e cupo in volto, licenziato nel dicembre 2021 dopo l'ennesima qualificazione ai Mondiali evaporata come neve al sole. L’ultima calciopoli cinese ha riguardato almeno 10 alti dirigenti della Chinese Football Association (CFA), incluso l'ex presidente Chen Xuyuan (anch’egli apparso nel documentario), con un focus sull’indagine promossa lo scorso anno dalla principale agenzia disciplinare del Partito Comunista Cinese, la Commissione centrale per l'ispezione della disciplina. Il documentario, inoltre, è andato in onda dopo che il Xi, nel corso di una riunione di Partito, aveva espresso la necessità di "non mostrare pietà" nella campagna contro la corruzione, che a livello statale – e non solo calcistico – è entrata nell’undicesimo anno. "La corruzione nel calcio cinese non esiste solo in alcune singole aree. È ovunque, in ogni aspetto", ha confessato Chen. Il dirigente finito in disgrazia, accusato a settembre di corruzione, ha spiegato di aver ricevuto nel 2019 circa 100mila dollari da alcuni funzionari di club la notte prima di diventare capo della CFA. Li, l’ex ct, ha invece ammesso di aver truccato le partite per assicurarsi il successo delle squadre che allenava e di aver acquistato il suo lavoro come capo allenatore della squadra nazionale maschile cinese alla "modica" cifra di 3 milioni di yuan (più di 400.000 dollari), recapitati sotto forma di tangenti. Un altro episodio si concentra su quanto accaduto nel 2015. Quando, in una sola partita, il club Hebei China Fortune spese circa 14 milioni di yuan corrompendo gli avversari dello Shenzhen Football Club (dal manager ai giocatori), secondo quanto ricostruito da Meng Jing, all’epoca presidente dell’Hebei. "Il settore del calcio, in Cina, è stato afflitto da livelli sistemici e devastanti di corruzione", ha dichiarato un ispettore nell'episodio finale della miniserie. La CFA, nel frattempo, ha chiesto agli attuali dirigenti di guardare il documentario con la massima attenzione e di presentare saggi scritti su quanto hanno appreso. Le autorità del Paese, invece, sperano che l'ultima purga possa aiutare a rilanciare le fortune calcistiche della Cina. "Solo attraverso sforzi congiunti e costanti da parte di tutte le parti i campi lussureggianti del calcio cinese possono inaugurare una vibrante primavera", ha dichiarato la voce narrante del documentario, trasmesso per "rispondere alla domanda sul perché il calcio maschile cinese non sia in grado di ottenere ottimi risultati". In attesa di un futuro radioso, il presente è complicato. Senza nuove stelle emergenti, e ancora dipendenti dall'attaccante 32enne Wu Lei, le aspettative dei Dragoni di superare il loro girone in Coppa d'Asia - e ancor più di qualificarsi ai prossimi Mondiali – sono bassissime.