Che Lazio-Roma non possa essere una partita come le altre è nell’ordine delle cose, ma il derby di mercoledì sera in Coppa Italia ha assunto le sembianze di un evento sfuggito di mano a tutti. L’aspetto sportivo, che ha visto prevalere la Lazio, si potrebbe quasi definire una parentesi all’interno di una vera e propria battaglia: le tensioni si sono verificate sia fuori che dentro il campo, accompagnando l'avvicinamento al match, l’incontro stesso e anche il post-partita. Si è partiti con gli ormai consueti - purtroppo - saluti romani a Ponte Milvio della ben nota frangia neofascista del tifo laziale, appendice ideologica di quelli visti ad Acca Larenzia pochi giorni fa. Poi, il lancio di petardi e fumogeni dentro lo stadio Olimpico, con attimi di tensione tra due gruppi di tifosi di opposta fazione, i giallorossi dei Distinti Sud e i biancocelesti della Tribuna Tevere, che sono stati molto vicini a venire a contatto. Dopo un passaggio di José Mourinho sotto ai propri sostenitori nell’insolita veste del pacificatore, il fischio d’inizio ha segnato una tregua momentanea, che è però durata meno dei canonici 90 minuti. Il romanista Bove è stato colpito da una bottiglietta mentre usciva per una sostituzione, poi nel finale sono arrivati tre espulsi in una piccola rissa. Episodi che sono serviti a rinvigorire le tensioni per il gran finale fuori dallo stadio, dove alcuni tifosi della Roma sono stati caricati dalla polizia dopo aver creato ulteriori disordini. La quasi contemporaneità con un altro derby - quello madrileno tra Real e Atlético nella Supercoppa spagnola - offre l’occasione per un altro impietoso confronto tra l’Italia e l’estero. Oltre mille agenti sono stati schierati per garantire l’ordine pubblico nella Capitale e sebbene effettivamente le due tifoserie non sono mai venute a contatto, i problemi, come abbiamo visto, non sono mancati. Sebbene più in piccolo, gli eventi che hanno circondato Lazio-Roma di ieri sera riportano alla mente le stesse dinamiche già viste la primavera scorsa per Napoli-Eintracht di Champions League. Ovvero l’incapacità cronica da parte delle autorità italiane di riuscire a gestire un evento di questa portata senza che degeneri. Una situazione che è sintomo innanzitutto di un approccio che all’estero è stato da tempo abbandonato, quello della repressione come unica possibilità.
Secondo il Corriere della Sera, la polizia sta già lavorando all’identificazione di diversi responsabili dei disordini dentro lo stadio, così da emettere dei Daspo (curioso come in questi casi sia molto più facile individuare e sanzionare i colpevoli, a differenza degli addirittura più frequenti episodi di cori razzisti). Ma dopo vent’anni di questa metodologia d’azione, dovrebbe essere chiaro che la sanzione e l’allontanamento dallo stadio a posteriori non impediscono a simili disordini di ripresentarsi in futuro. Allo stesso modo, la strategia del vietare le trasferte ha dimostrato di recente ulteriori falle, quanto avvenuto proprio a marzo a Napoli con i tifosi tedeschi ne è la riprova. Posto che in Italia le tifoserie di calcio non sono più aggressive rispetto ad altri paesi (basterebbe fare un giro in Turchia, nei Balcani o in Grecia per confrontarsi con ambienti ben più preoccupanti), l’interrogativo che bisogna porsi è perché in Germania o nel Regno Unito le forze dell’ordine riescono a dialogare con gli ultras e prevenire episodi del genere? Un’analisi di entrambi questi casi esteri sarebbe troppo lunga, ma in comune hanno sicuramente un approccio molto meno repressivo al confronto col tifo organizzato: il caso inglese è emblematico, dato che proprio il superamento delle nefaste iniziative del governo Thatcher ha permesso di mettersi alle spalle il tristemente noto fenomeno degli hooligans degli anni Ottanta. Lazio-Roma è l’ennesima occasione per ripensare la gestione dell’ordine pubblico attorno agli eventi calcistici nel nostro paese, se non per reale volontà politica almeno per migliorare la propria immagine davanti agli occhi della Uefa, a otto anni dagli Europei che l’Italia dovrà ospitare assieme alla Turchia.