“Me hubiera gustado seguir”. “Mi sarebbe piaciuto continuare”. È una frase, questa, che ci saremmo aspettati da Darren Cahill, al termine di una stagione che avrebbe dovuto siglare la separazione da Jannik Sinner. Una frase di circostanza ma sentita, che avrebbe probabilmente proseguito con uno di quei ma inamovibili. Sono i ma della famiglia, del tempo che passa, e di una carriera che ti tiene troppo lontano da casa. Eppure, nel 2026, al fianco del numero 2 al mondo, Cahill ci sarà e quella frase lascia il mondo delle possibilità per tornare al suo reale proprietario. Dal pianeta Sinner al pianeta Alcaraz, Juan Carlos Ferrero annuncia l’addio al team del tennista spagnolo e no, la sua non è una frase di circostanza dai ma ostinati, ma piuttosto l’esplicitazione di un desiderio rivolto a un futuro non corrisposto.
Con un post sui social per ciascuno, finisce la favola. Da un lato Carlitos, che con Juanki ha realizzato i sogni di una vita, crescendo dentro e fuori dal campo. Dall’altro, l’ex Mosquito, la gratitudine per tutte le persone che lo hanno accompagnato e per essere stato parte di un qualcosa di così speciale. Per entrambi, una eredità importante fatta di grandi soddisfazioni e momenti difficili, di quelle che lasceranno per sempre un segno. Dopo più di sette anni assieme, in fondo, prendere due strade separate non è facile, ma dietro a una scelta di questo calibro si celano motivazioni precise che forse emergeranno ai primi microfoni di Melbourne, se non prima, o forse mai. Certo è che da parte di Ferrero la volontà ci fosse, e non possiamo che presumere che sia stato Alcaraz a mettere un punto al rapporto professionale, o che ci siano stati degli impedimenti di altra natura che abbiano impedito al coach di una vita di dire sì all’anno prossimo.
Parlare di rapporti personali finiti, in un ambiente come lo sport dove l’entourage diventa una seconda famiglia, è impossibile. Del resto, lo stesso Ferrero non ne fa tesoro: “sono certo che i bei ricordi e le brave persone finiscano sempre per ritrovarsi”. Così, la parola fine è vera quanto un match point annullato: sembra tutto deciso, e invece il gioco continua. Un legame può terminare sulla carta, ma a conti fatti prosegue nello spirito, perché il lascito di un allenatore resta per sempre custodito nel gioco e nella mente del tennista che ha accompagnato.
La parola fine, poi, pesa ancora di più se la persona che ti ha affiancato dai campi meno conosciuti fino al Centrale degli Slam è sempre stata la stessa: quella che ti ha visto crescere e ti ha permesso di farlo con una racchetta in mano. Dal primo titolo ATP a Umago nel 2021, fino all’Open del Giappone di quest’anno, a bordo campo c’era sempre lui. Un rapporto, il loro, che tra Croazia e il paese del Sol Levante ha fruttato 24 titoli, di cui 6 Slam.
Riassumere in numeri e risultati il rapporto coach-tennista a volte è riduttivo, o magari lo è sempre. Sono vite intrecciate su un campo, agli estremi della rete, che al di fuori di quel microcosmo chiamato tennis professionistico vanno avanti imperterrite. Come nel 2022, al Miami Open. I numeri ci racconteranno che Carlos Alcaraz, quel torneo, lo ha vinto, diventando il più giovane vincitore della storia di quella competizione, a soli 18 anni. I numeri ci diranno che è stato il suo primo Masters 1000 ma non potranno mai descrivere l’arrivo a sorpresa di Juan Carlos in Florida, la dedica di Carlitos e l’abbraccio a fine match tra due persone che per un attimo soltanto hanno smesso di essere un tennista e un allenatore.
Un solo esempio che vale tutti gli altri, perché nel tennis, come nella vita, restano i ricordi, i gesti e le persone. Restano i momenti condivisi, le vittorie e le sconfitte, a volte soprattutto queste ultime. Tutto ciò che trasforma un rapporto professionale in qualcosa di più grande e umano e che continua a vivere oltre ogni match point o l’ultima stretta di mano.