Tutto porta a questo. La frase campeggia, grande, sul muro, in una stanza dell’Inalpi Arena dove lo champagne sta bagnando tutto e tutti. Una doccia alcolica è quella che spetta a chi, appena qualche momento prima, si buttava a terra sul cemento indoor di Torino, vincitore della corona di fine anno. È un fermo immagine, quello dei festeggiamenti del team di Jannik Sinner, una sintesi felice di ciò che è stato il lavoro di una stagione intera e anche di quello che l’ha preceduta. Celebrazione che è caos e sollievo, orgoglio e gratitudine. Emozioni forti, come quelle sfociate in lacrime, a bordo campo, quando il rovescio incrociato di Carlos Alcaraz è terminato nel corridoio, sancendo così la fine. Del match e del 2025 del numero #2.
Un anno cominciato nel migliore dei modi, con la difesa del titolo a Melbourne. Un successo che scontato non lo è mai, nel tennis, e che nella sua straordinaria bellezza ha inevitabilmente alzato le aspettative nei confronti di un ragazzo che da anni ormai porta il giogo di una Nazione intera sulle spalle. A febbraio il caso Clostebol diventa incubo nella realtà, sono tre i mesi bui di squalifica che l’altoatesino accetta, un’attesa che finisce nell’abbraccio degli Internazionali d’Italia. Nessuno sapeva cosa aspettarsi, il binomio ‘stop forzato’ e ‘atleta’ non sono mai andati d’amore e d’accordo, ma sembra che nell’universo Jannik le regole seguano un iter tutto loro. È finale. Persa, ma è finale.
Il Roland Garros come Roma vede l’altoatesino e Carlos Alcaraz scontrarsi in una delle partite più straordinarie dell’anno e, perché no, anche degli ultimi tempi. Cinque ore e mezza di un tennis da incorniciare, una prova che sarà difficile da eguagliare e che i tifosi più nostalgici custodiranno nel cuore, con il pensiero rivolto ai grandi Roger e Rafa. Tre i match point annullati dallo spagnolo, o persi dall’altoatesino, questione di punti di vista. Tre i momenti che per un attimo hanno portato Sinner a un passo dalla leggenda, sulla terra rossa del Philippe Chatrier. Jannik consegna lo scettro a colui che è stato più incisivo e, seduto a bordo campo con le mani sul volto, ingoia il boccone più amaro di tutti, quel 5-3, 40-0 al quinto.
A Wimbledon, è un’altra storia. Ritorna e affronta i fantasmi di un passato che brucia ancora. Sono tre i set vinti nettamente dall’allora numero #1, ai danni di un Carlos Alcaraz che del Centre Court ne era il più recente difensore. Alza le braccia al cielo, verso chi lo accompagna in questo pazzo viaggio che è l’ATP Tour, e poi si china a terra, Jannik, sorretto dalla sua Head. Forse il momento più significativo, una liberazione spontanea da tutto quello che era stato Parigi e a cui Londra aveva finalmente messo la parola fine.
New York è teatro dell’ennesima fusione. Ma è il murciano a portare a casa quella coppa che dal 2022 ormai non era più sua. Sono così due gli Slam a testa.
E così arriva Torino, quella stanza dei festeggiamenti che mette un punto alla corsa stagionale. Nel secondo set, era 5-3 sotto, Jannik Sinner. La partita stava facendo il giro di boa, diretta verso un terzo set. Eppure, vince di dettagli, di seconde un po’ rischiate e di pennellate corte, colpi che sfiorano le linee. Adriano Panatta giocherebbe la carta del fuoriclasse, colui che, nel momento più opportuno, trova sempre il modo di compiere prodezze.
Si butta a terra, Jannik, nei pressi dell’incrocio delle righe. Una scena già vista, il ricordo del primo Australian Open, accolto con la schiena a contatto con la sua superficie del cuore. È una striscia di 31 successi consecutivi su cemento quella che lo avvicina alle prodezze di McEnroe (47), Djokovic (35), Federer (33) e Lendl (32).
“Se dovessi scegliere un altro numero 1, oltre a me, saresti sempre tu”, così l’altoatesino si rivolge a Carlitos, che risponde divertito “fatti trovare pronto per il prossimo anno, perché io, senza dubbio, lo sarò”. Un legame che nasce al Masters 1000 di Parigi, nel 2021, e che da allora sta riscrivendo la storia del tennis moderno. Perché, se questo 2025 ci ha insegnato qualcosa, è che Jannik e Carlos sono due metà della stessa storia: non c’è uno senza l’altro. Generazione dopo generazione, cicli di storia che portano in alto il nome di un prescelto e, solitamente, anche del suo eterno rivale. Uno yin e uno yang che non volevano stare assieme, ma che il campo da tennis ha voluto rendere una cosa sola, perché la rete ha bisogno di due metà. Uno spingersi a vicenda oltre il limite, la necessità di avere un metro di paragone.
L’orizzonte parla chiaro: li vede già agli estremi della rete, anche se di quali campi non ci è ancora dato saperlo.