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“Tutto porta a questo”: Jannik Sinner, doccia di champagne per lavare via il Clostebol e la dura legge di Carlos Alcaraz

  • di Francesca Zamparini

  • Foto di Ansa

17 novembre 2025

“Tutto porta a questo”: Jannik Sinner, doccia di champagne per lavare via il Clostebol e la dura legge di Carlos Alcaraz
La stagione di Jannik Sinner si chiude con il titolo alle Finals di Torino, culmine di un anno difficile quanto straordinario, segnato dalla squalifica per Clostebol ma che all’attivo conta due Slam, tra cui il primo Wimbledon. Le sfide con Carlos Alcaraz a Roma, Parigi, Londra e New York hanno scandito un duello che è già destinato a definire un’era. Così – mentre il numero #2 saluta la stagione da Maestro – il futuro appare già scritto: lui e Alcaraz, due facce della stessa medaglia, pronti a spingersi oltre nel 2026

Foto di Ansa

di Francesca Zamparini

Tutto porta a questo. La frase campeggia, grande, sul muro, in una stanza dell’Inalpi Arena dove lo champagne sta bagnando tutto e tutti. Una doccia alcolica è quella che spetta a chi, appena qualche momento prima, si buttava a terra sul cemento indoor di Torino, vincitore della corona di fine anno. È un fermo immagine, quello dei festeggiamenti del team di Jannik Sinner, una sintesi felice di ciò che è stato il lavoro di una stagione intera e anche di quello che l’ha preceduta. Celebrazione che è caos e sollievo, orgoglio e gratitudine. Emozioni forti, come quelle sfociate in lacrime, a bordo campo, quando il rovescio incrociato di Carlos Alcaraz è terminato nel corridoio, sancendo così la fine. Del match e del 2025 del numero #2.

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Jannik Sinner vince le ATP Finals a Torino.

Un anno cominciato nel migliore dei modi, con la difesa del titolo a Melbourne. Un successo che scontato non lo è mai, nel tennis, e che nella sua straordinaria bellezza ha inevitabilmente alzato le aspettative nei confronti di un ragazzo che da anni ormai porta il giogo di una Nazione intera sulle spalle. A febbraio il caso Clostebol diventa incubo nella realtà, sono tre i mesi bui di squalifica che l’altoatesino accetta, un’attesa che finisce nell’abbraccio degli Internazionali d’Italia. Nessuno sapeva cosa aspettarsi, il binomio ‘stop forzato’ e ‘atleta’ non sono mai andati d’amore e d’accordo, ma sembra che nell’universo Jannik le regole seguano un iter tutto loro. È finale. Persa, ma è finale. 

Il Roland Garros come Roma vede l’altoatesino e Carlos Alcaraz scontrarsi in una delle partite più straordinarie dell’anno e, perché no, anche degli ultimi tempi. Cinque ore e mezza di un tennis da incorniciare, una prova che sarà difficile da eguagliare e che i tifosi più nostalgici custodiranno nel cuore, con il pensiero rivolto ai grandi Roger e Rafa. Tre i match point annullati dallo spagnolo, o persi dall’altoatesino, questione di punti di vista. Tre i momenti che per un attimo hanno portato Sinner a un passo dalla leggenda, sulla terra rossa del Philippe Chatrier. Jannik consegna lo scettro a colui che è stato più incisivo e, seduto a bordo campo con le mani sul volto, ingoia il boccone più amaro di tutti, quel 5-3, 40-0 al quinto. 

A Wimbledon, è un’altra storia. Ritorna e affronta i fantasmi di un passato che brucia ancora. Sono tre i set vinti nettamente dall’allora numero #1, ai danni di un Carlos Alcaraz che del Centre Court ne era il più recente difensore. Alza le braccia al cielo, verso chi lo accompagna in questo pazzo viaggio che è l’ATP Tour, e poi si china a terra, Jannik, sorretto dalla sua Head. Forse il momento più significativo, una liberazione spontanea da tutto quello che era stato Parigi e a cui Londra aveva finalmente messo la parola fine.

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New York è teatro dell’ennesima fusione. Ma è il murciano a portare a casa quella coppa che dal 2022 ormai non era più sua. Sono così due gli Slam a testa.

E così arriva Torino, quella stanza dei festeggiamenti che mette un punto alla corsa stagionale. Nel secondo set, era 5-3 sotto, Jannik Sinner. La partita stava facendo il giro di boa, diretta verso un terzo set. Eppure, vince di dettagli, di seconde un po’ rischiate e di pennellate corte, colpi che sfiorano le linee. Adriano Panatta giocherebbe la carta del fuoriclasse, colui che, nel momento più opportuno, trova sempre il modo di compiere prodezze. 

Si butta a terra, Jannik, nei pressi dell’incrocio delle righe. Una scena già vista, il ricordo del primo Australian Open, accolto con la schiena a contatto con la sua superficie del cuore. È una striscia di 31 successi consecutivi su cemento quella che lo avvicina alle prodezze di McEnroe (47), Djokovic (35), Federer (33) e Lendl (32). 

“Se dovessi scegliere un altro numero 1, oltre a me, saresti sempre tu”, così l’altoatesino si rivolge a Carlitos, che risponde divertito “fatti trovare pronto per il prossimo anno, perché io, senza dubbio, lo sarò”. Un legame che nasce al Masters 1000 di Parigi, nel 2021, e che da allora sta riscrivendo la storia del tennis moderno. Perché, se questo 2025 ci ha insegnato qualcosa, è che Jannik e Carlos sono due metà della stessa storia: non c’è uno senza l’altro. Generazione dopo generazione, cicli di storia che portano in alto il nome di un prescelto e, solitamente, anche del suo eterno rivale. Uno yin e uno yang che non volevano stare assieme, ma che il campo da tennis ha voluto rendere una cosa sola, perché la rete ha bisogno di due metà. Uno spingersi a vicenda oltre il limite, la necessità di avere un metro di paragone. 

L’orizzonte parla chiaro: li vede già agli estremi della rete, anche se di quali campi non ci è ancora dato saperlo.

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