Carlos Checa, classe 1972 di San Fruitos de Bages - Catalunya - in patria è un idolo. È stato il primo spagnolo a vincere la Otto ore di Suzuka nel 2008, in sella alla Honda; il primo spagnolo a conquistare un Mondiale Superbike nel 2011 - su Ducati - interrompendo la supremazia di Max Biaggi e Noale. Quindici stagioni nel Motomondiale (24 podi, 2 vittorie) e sei nelle derivate di serie, dove Carlos - a cavallo dei quarant'anni - ha chiuso in bellezza un'onorevolissima carriera, coronandola con il titolo iridato. Un'esperienza infinita quella di Checa che, negli anni in cui la MotoGP diventava 500 e i due tempi diventavano quattro, ha guidato Yamaha, Honda, Ducati. L'ex pilota, recentemente, ha partecipato al podcast Fred's Cycling Obsession, ed è tornato a parlare delle sue corse, paragonandole alla MotoGP odierna. L'ha fatto senza puntare su letture nostalgiche, che sarebbero state più che comprensibili ma che avrebbero anche rischiato di banalizzare il discorso. Se più volte abbiamo sentito Carl Fogarty e altri campioni della sua generazione (comunque precedente a quella di Checa) scagliarsi contro aerodinamica ed elettronica, ecco che Carlos ha cercato di ponderare le sue opinioni in tema tecnico.
"Diciamo che questo sport è diventato più professionale - ha esordito Checa - e la guida è sempre più efficace, e più efficace significa meno spettacolare, perché quando si sbanda si perde tempo. Magari dovrebbe essere adottata una regolamentazione completamente diversa e potremmo migliorare un po’ in quell’area. Forse stiamo in parte esagerando con tanta tecnologia, penso che stiamo facendo un po’ gli errori della Formula 1, anche se lì hanno già cominciato a limitarla. Sulle moto sembrava molto difficile che si arrivasse a tanto, ma Gigi Dall'Igna è uscito dagli schemi ed è riuscito a cambiare concettualmente il modo di guidare le moto, e tutti gli altri sono rimasti un po' indietro". Poi Carlos, riagganciandosi sempre al discorso dei controlli elettronici e della facilità di guida, ha raccontato un aneddoto piuttosto impressionante: "I primi anni dei quattro tempi me li ricordo benissimo. Penso che siamo passati da 180 cavalli a circa 220-230. Gli inizi furono molto brutali, avevi tutta quella potenza ma l'elettronica non funzionava bene. Ricordo che una volta in Australia nel 2002 dissi al team di togliermi l'elettronica e nelle ultime due curve di Phillip Island la mia moto mi diede uno strattone che quasi mi uccise. Lì ho capito che la potenza andava gestita, con un lavoro molto accurato".
Infine Checa dall'elettronica è passato alle gomme, rievocando anche in questa occasione una precisa esperienza personale per far capire quanto gli pneumatici incidano in MotoGP: "La Ducati mi calzava come un guanto (Carlos ha disputato la stagione 2005 in sella alla Ducati ufficiale, come compagno di squadra di Loris Capirossi, ndr) ma solo con le Dunlop... davvero, con le Michelin è sempre stato difficile per me, erano pneumatici che non ti avvisavano". Ed è a questo punto che Checa, riportando alla luce la lotta al titolo del 2007 - ovvero quando in top class ancora non vigeva il monogomma e la sfida tra Valentino Rossi e Casey Stoner era anche una battaglia tecnologica tra Michelin e Bridgestone - si è sbilanciato: "Con la Birdgestone alla fine del 2005 abbiamo fatto davvero un buon lavoro, perfezionando lo sviluppo. Poi quando Stoner è arrivato e ha vinto il Mondiale è stato per via delle gomme, il suo successo non aveva nulla a che vedere con la moto. Nel 2006 quando correva da Cecchinello lo chiamavano 'Rolling Stoner', per via delle tante cadute. Quindi non possiamo parlare di moto senza parlare delle gomme".