A volte semplicemente ce lo dimentichiamo. Presi come siamo dalle notizie che si inseguono una dopo l’altra, dalla fame di qualcosa che ci possa regalare un colpo di scena, un cambio di prospettiva in un contesto, come quello della Formula 1 di oggi, di cui pensiamo di conoscere già tutto. Ci dimentichiamo che dietro alle vittorie di Max Verstappen a alle pareti che cadono del suo team, dal caso Horner alle divisioni interne a Red Bull, c'è dell'altro. Ci sono i sogni e le speranze di altri diciannove piloti schierati sulla griglia di partenza, piccoli o grandi che siano, e lì dietro, da qualche parte, ci sono anche quelli di decine e decine di giovani talenti che alla Formula 1 aspirano come il più grande dei desideri di sempre, la stella polare per cui hanno rischiato e investito tutto. Guardano la griglia e sanno che i posti sono quelli che sono, che non aumenteranno per loro, e che spesso le opportunità non saranno proporzionate al loro talento. Che dovranno farsi trovare pronti, a tutto e in qualsiasi momento, e che comunque forse neanche questo basterà.
Così in un weekend che sembrava dover essere dominato ancora una volta delle guerre interne a Red Bull, con l'indagine su Helmut Marko e gli aggiornamenti sulla posizione di Chris Horner, è arrivato un ragazzo di diciotto anni a ricordarci il senso di tutto. Un'operazione d'urgenza per appendicite ha costretto Carlos Sainz a rinunciare al secondo Gran Premio della stagione, aprendo la possibilità a Oliver Bearman, classe 2005, di fare il proprio debutto in Formula 1 su una Ferrari, seconda forza del campionato, sogno di un bambino inglese cresciuto tra le fila della Ferrari Driver Academy.
Ollie che era andato a letto felice della sua pole position in Formula 2 e che svegliandosi, con la notizia sulle condizioni di salute di Sainz, ha visto la sua vita cambiare in un secondo. Non si è potuto preparare come gli altri, saltando le FP1 e le FP2, non ha potuto adattarsi, fare domande, trovare il suo spazio e il suo tempo. Si è dovuto far trovare pronto davanti al destino e lo ha fatto senza paura, con l’incoscienza dei suoi diciotto anni, e con un sorriso che non ha più lasciato andare per tutto il fine settimana. A preoccuparsi per lui, mentre Ollie sfiorava i muri nella notte di Jeddah, ai box della Ferrari c'era papà David tra sospiri e sguardi attenti agli schermi, in un clima di enorme stress per lui che quel sogno lì, quello di suo figlio Oliver, lo ha visto nascere e crescere, cambiare e prendere vita.
Ci ha ricordato di che cosa è fatta la Formula 1, il weekend di Jeddah di questo ragazzino inglese. Di opportunità e di capacità di saperle cogliere, di passione e di coraggio, di forza e spirito. Forza come quella di Carlos Sainz che, a meno di un giorno dall'operazione per appendicite, si è presentato nel box della Ferrari per sostenere la squadra. Dolorante, affaticato, ma incredibilmente solidale nei confronti di un team che presto lascerà, mostrando a tutto il mondo la propria dedizione alla passione, con un piede davanti all'altro camminando, piano, nel paddock di Jeddah. E spirito come quello di Lewis Hamilton che quel ragazzo vestito di rosso lo aspettato, al termine della gara, per abbracciarlo e congratularsi con lui, per guardarlo negli occhi e dirgli poche, semplici parole di incoraggiamento. Lo stesso incoraggiamento arrivato per messaggio da Sebastian Vettel, uno dei miti di Oliver, poco prima del Gran Premio di Jeddah, in un piccolo gesto che dà senso al tutto.
Ollie che questo weekend doveva solo divertirsi e portare la macchina a casa, in un debutto già abbastanza complicato per lui, ma che come ogni pilota che si rispetti non si è fermato lì, ma ha voluto di più. Di più in qualifica, quando sbuffando ha ammesso la propria delusione nel non essere riuscito ad entrare in Q3 per pochi millesimi, e di più in gara, dove da un undicesimo posto di partenza ha lottato fino a chiudere in settima posizione. Di più perché i piloti sono questo, forza e spirito, nel corpo di un diciottenne con il volto di un bambino e il sorriso più grande visto quest'anno. Un sogno, il suo e il nostro, e una lezione che ci ha insegnato a Jeddah e che difficilmente dimenticheremo.