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Che cosa ci resta di Suzuka, della FIA e di una lezione che non vogliamo imparare

  • di Giulia De Ieso Giulia De Ieso

10 ottobre 2022

Che cosa ci resta di Suzuka, della FIA e di una lezione che non vogliamo imparare
Se il rischio di una Formula Uno spettacolare è la perdita di credibilità. Ma questa volta è ancora più grave: in questo caso non si parla di penalità, secondi, reprimende o altro, ma di vite umane. Sotto la pioggia battente di Suzuka, quando ancora i piloti giravano in pista con decisamente poca visibilità, sono scesi in pista due trattori e un marshall

di Giulia De Ieso Giulia De Ieso

Se il rischio di una Formula Uno spettacolare è la perdita di credibilità. Dopo il rinvio in settimana dell’epilogo del polverone “budget cap”, ancora una volta la Federazione ne combina “una delle sue”: una penalità, quella assegnata a Charles Leclerc, assegnata nel giro di pochi secondi durante le interviste pre-podio, proclamando Max Verstappen campione del mondo. Quando a Singapore, appena la scorsa settimana, per decidere i 5 secondi di penalità nei confronti di Perez, che non aveva rispettato la distanza dalla Safety Car, ci vollero 3 ore. E ancora, più grave: in questo caso non si parla di penalità, secondi, reprimende o altro, ma di vite umane. Sotto la pioggia battente di Suzuka, quando ancora i piloti giravano in pista con decisamente poca visibilità, sono scesi in pista due trattori e un marshall.

Urla, urla furioso alla radio Pierre Gasly. “Avrei potuto uccidermi! Mi sono spaventato, se avessi perso la macchina non sarei qui. Dovrebbero mantenerci in sicurezza.” Da misure e spiegazioni poi, il pilota francese, con il terrore negli occhi lucidi: in quel momento, erano circa due metri a dividere la vita dalla morte. E poi la rabbia, quella che spezza più il cuore, quella di Philippe Bianchi: “Nessun rispetto per la vita dei piloti, nessun rispetto per la memoria di Jules”, scrive sui social. Immagina vedere, sulla stessa pista, le stesse dinamiche che hanno portato all’incidente di tuo figlio. Fiumi d’acqua in pista, una gru, le bandiere gialle: era il 5 ottobre 2014, appena 8 anni fa.

Jules Bianchi incidente Suzuka 2014
L'incidente di Jules Bianchi a Suzuka 2014

Cosa ci resta di chi è andato via troppo presto? Di Jules ci rimangono i sogni, un futuro chiamato Ferrari, i sorrisi per i primi punti a Montecarlo, le foto in kart con un piccolo Charles Leclerc, il numero 17 che non vedremo mai più su nessun musetto. Quei nove mesi di agonia, di lotta, cercare di aggrapparsi alla vita con le unghie e con i denti. E il rimpianto per delle candeline mai spente, per i podi e le vittorie mai arrivate, il dolore per aver perso non solo un nuova stella della Formula Uno ma anche un figlio, un amico, un compagno di vita per molti. Jules oggi è in ogni halo che salva i piloti di ogni categoria, è in ogni successo di Leclerc, nella Ferrari Driver Academy, di cui è stato il primo allievo, che non ha mai tolto il suo volto dal sito: il ricordo di Jules è vivo, pilota e ragazzo, non è solo un nome da menzionare due volte l’anno. Ma questo non è ancora abbastanza per la FIA che, in fondo, di colpe anche per quell’incidente non ne ha mai ammesse. Forse qualcuno ancora preferisce piangere i morti invece che proteggere i vivi, che ogni domenica “sono nella mani di Dio” nonostante l'altissima sicurezza della Formula 1 di oggi. 

Preghi chi è credente e speri, tra i sospiri, chi è agnostico, questa è la verità. E a chi ancora continua a voltarsi davanti ai propri errori, quelli di oggi come quelli di otto anni fa, ricordi che nessuna anima dovrebbe abbandonare questo mondo a 25 anni, che nessun padre dovrebbe mai seppellire il proprio figlio. E che alla domanda “Qualcuno ha mai davvero pagato per la morte di suo figlio?”, Philippe Bianchi risponde: “Non credo. Ma tanto niente mi riporterebbe indietro Jules in ogni caso".

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